[Ezln-it] A 14 anni dal massacro a El Bosque non ci sono colpevoli

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Mon Jun 11 17:11:45 CEST 2012


La
Jornada – Lunedì 11 giugno 2012
A 14 anni
dal massacro a El Bosque non ci sono colpevoli
In
Chiapas si vuole che cessi la persecuzione giudiziaria contro le comunità
indigene
Hermann
Bellinghausen
 
Centinaia
di indigeni domenica hanno sfilato nel municipio El Bosque, negli Altos del
Chiapas, per chiedere che cessi la persecuzione giudiziaria contro abitanti
innocenti di San Pedro Nixtalucum, e la liberazione del professor Alberto
Patishtán Gómez e dello zapatista Francisco Santiz López, di Tenejapa. Questo,
a 14 anni dal massacro di El Bosque, uno dei crimini di Stato meno indagati
degli ultimi anni avvenuto tre giorni dopo il massacro di El Charco, in
Gueriero, durante il governo di Ernesto Zedillo. Erano trascorsi sei mesi dalla
tragedia di Acteal, ed Alberto Albores Guillén era già il mandatario statale.
 
Intanto,
il dirigente contadino e direttore della rivista Lucha indigena en Perù, Hugo Blanco, ha espresso il suo appoggio
alla seconda settimana mondiale per la liberazione di Santiz López e Patishtán
Gómez: "In Messico le prigioni non sono per i narcotrafficanti, ma per gli
indigeni che non hanno fatto niente di male, come Patishtán e Santiz
López". Il loro "reato" è stato "pensare che il Messico deve
essere per tutti i messicani, dove tutti lavorino e vivano tranquillamente,
senza sfruttare né essere sfruttati, godendo dei frutti che dà la terra",
in un paese "dove tutti possano ricevere un'educazione e assistenza per la
propria salute, dove non ci siano milionari né mendicanti, dove tutti si
interessino di tutti, come nelle comunità indigene".
 
Il
Messico, ha detto Blanco, "è diventato un modello per il potente paese del
nord, il più consumatore" di stupefacenti, "dove risiedono i baroni
della droga; il paese che invia sostanze chimiche per la produzione di cocaina,
dove si lava il denaro e da dove si mandano armi ai narcotrafficanti". Ed
aggiunge: Il "Messico serve da laboratorio per la 'guerra falsamente
chiamata al narcotraffico'. Si è mobilitato l'Esercito in questa guerra nella
quale muoiono centinaia di innocenti. Il sogno dei baroni della droga degli
Stati Uniti è estendere questo modello a tutta l'America Latina per schiacciare
i popoli ed arricchirsi".
 
Il
10 giugno 1998, circa mille soldati e centinaia di poliziotti statali e
federali attaccarono le comunità Unión Progreso e Chavajeval, ed occuparono El
Bosque, governato dal consiglio municipale autonomo zapatista di San Juan de la
Libertad, i cui membri furono imprigionati. Ad Unión Progreso otto indigeni
furono assassinati, sei dei quali erano stati catturati vivi e poi giustiziati,
presumibilmente da truppe federali. Il numero delle vittime a Chavajeval,
almeno quattro, non si è mai saputo, perché non tutte erano basi di appoggio
zapatiste, morirono anche dei priisti ed i loro padroni non poterono alzare la
voce.
 
Il
pretesto delle autorità per quell'operativo fu un cruento assalto, all'alba,
sulla strada per El Bosque, compiuto dalla banda criminale della comunità Los
Plátanos, efficacemente addestrata come gruppo paramilitare, dedita alla
coltivazione e spaccio di marijuana con la protezione della polizia, come fu
documentato da La Jornada, e
ricorrente assalitrice nei mesi precedenti del vicino Unión Progreso. Dopo
l'assalto fuggirono in montagna circa 800 indigeni in condizioni
straordinariamente precarie. Inoltre, circa 200 persone di Los Plátanos erano
da due mesi rifugiate sulle aspre montagne della zona.
 
Carlos
Payán Velver, allora senatore perredista e membro della Commissione di
Concordia e Pacificazione (Cocopa), denunciò la "schizofrenia" del
governo zedillista che parlava continuamente di pace e volontà di dialogo e
contemporaneamente realizzare un operativo "più grave di Acteal",
poiché vi avevano partecipato truppe dell'Esercito con mortai, bazooka ed armi
di grosso calibro. Da parte sua, Andrés Manuel López Obrador, in quegli anni
dirigente nazionale del Partito della Rivoluzione Democratica, il giorno del
massacro dichiarò: "Niente giustifica la decisione del governo di ordinare
l'azione dell'Esercito" a El Bosque, Unión Progreso e Chavajeval.
L'incursione "è stata criminale ed irresponsabile", e con questo
Zedillo "ha disatteso il suo impegno di non usare la forza per rispondere
al conflitto chiapaneco".  
  
Come
dimostra oggi l'incessante lotta per la liberazione di Patishtán, quasi tre lustri
dopo quasi sono ancora perte le ferite di quel massacro sul quale non si è mai
indagato e per il quale nessuno è stato mai processato. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/11/politica/022n1pol
(Traduzione
"Maribel" - Bergamo)
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