[Redditolavoro] Fermo: omicidio politico
Partito Comunista dei Lavoratori
pclavoratoribologna at gmail.com
Wed Jul 13 12:04:26 CEST 2016
Fermo: omicidio politico
La matrice dell’omicidio di Emmanuel Chidi Nnamdi è fascista e la
responsabilità criminale è politica
Chi riesca a trarsi in salvo dall'organizzazione terroristica jihadista
sunnita Boko Haram, e tenti di costruire un percorso di vita altrove, con
una famiglia appena formata e con una speranza da coltivare, trova la
morte, per mano di un uomo che per difendere l’indifendibile odio che lo
anima per prima cosa ritiene utile dire: “Avevo avuto l’impressione che
Emmanuel e Chimiary stessero rubando un’auto”.
Questo signore si chiama Amedeo Mancini, 38 anni, è un imprenditore
agricolo, e viene fermato per omicidio preterintenzionale dopo la morte del
trentaseienne nigeriano aggredito martedì pomeriggio a Fermo, nei pressi
del Seminario. Ed era certo perché s’evitasse un furto, che Mancini ha
creduto utile dare della «scimmia» a Chimiary, moglie di Emmanuel. Un metro
e novanta, il leghista che solo per ultima ratio è anche un ultras della
Fermana, vicino all’estrema destra locale, colpito da un Daspo che da
quattro anni gli impedisce di andare allo stadio e che sostiene di essersi
difeso; e che del resto si ritrova anche una testimone che sostiene che il
primo a prendere un cartello stradale e a colpire sia proprio Emmanuel.
Bisogna aggiungere, ad onor della cronaca, che la tale che lo ha affermato,
Pisana Bachetti, s’era fatta conoscere in passato per aver dichiarato (e
ripresa per questo nelle gazzette locali) d’aver visto quattro ragazzi
cinesi impegnati nella cattura di gatti randagi con un retino da pesca;
narrazione fantastica rivelata assolutamente infondata.
L’unica cosa vera è che Emmanuel è morto e che l’autopsia dimostra che è
stato ammazzato di botte. L’emorragia interna irreparabile che l’ha
ammazzato, infatti, non è stata provocata dalla caduta all’indietro ma dal
pugno sferrato con violenza inaudita in pieno volto.
Matteo Renzi, il giorno dopo l’omicidio, non ha fatto attendere il proprio
tweet: «Il governo oggi a Fermo con don Vinicio e le istituzioni locali in
memoria di Emmanuel. Contro l’odio, il razzismo e la violenza». Seguito dal
ministro dell’Interno Angelino Alfano: «Il cuore dell’Italia non è
rappresentato da chi ha commesso questo omicidio». E l’atto di umanità a
posteriori che concede a Chimiary lo status di rifugiata, con l’accorata
richiesta del presidente della Repubblica Mattarella che stabilisce
l’«assistenza per la vedova».
La morte ha spesso pretese di mondare le coscienze, che, quando collettive,
rendono tale sforzo inane ed ipocrita: erano otto mesi che Chiamary
attendeva i documenti, ma perché ciò accadesse ha dovuto assistere alla
morte di suo marito, massacrato. E non solo: mentre questa tragedia si
consumava, non poteva non realizzarsi la farsa del
mai-opportuno-al-silenzio Carlo Giovanardi, che non solo non ha ammesso la
matrice razzista dell’omicidio, ma l’ha considerata ‘semplicemente’ come
l’opera di «un balordo», seguito dal leghista Gian Marco Centinaio che ha
pensato utile tenere la rendicontazione dei reati degli immigrati.
Muore delle politiche razziste che coltivano il peggior humus criminale un
uomo che sperava che la propria fuga fosse terminata, mentre la piccola
città della provincia marchigiana più che dell’omicidio di Emmanuel ha
temuto per il proprio decoro, cosa di cui Fermo si è preoccupata non meno
di quanto non abbiano fatto i molti – anche sul fronte istituzionale – che
pur esprimendo condanna e riprovazione per l’accaduto hanno chiesto che i
toni si smorzassero perché non si pensasse a quello come un avamposto di
razzisti. In fondo, la fine violenta di un migrante deve pur passare, e si
spera velocemente, se l’estate già rischia di registrare un calo di
presenze e di consumi.
Ma ciò che ha fatto più fa male è stato derubricare tale orrore a questione
attinente alla rissa, alla scazzottata ferale, e si siano tentate molte
espressioni differenti, pur di non considerare questo omicidio come crimine
fascista e razzista.
Fascista, perché nutrito di quella subcultura della discriminazione che in
Italia si è avuta solo con la propaganda fascista, che dal 1938,
utilizzando simboli e tecniche anche pubblicitarie, incoraggiava e
stabiliva in disegno politico la campagna di discriminazione razziale messa
in atto dal regime con la promulgazione delle leggi razziali
(discriminazioni, è ancora utile ricordare, che il fascismo teorizza in
ridicole pretese scientifiche: la rivista “La difesa della razza”, fondata
nell'agosto 1938 in coincidenza con l'emanazione della legislazione
antisemita a partire dal settembre dello stesso anno, ospita infatti i
contributi di intellettuali e scienziati razzisti vicini al regime. Essi
avevano il compito di fornire le basi teoriche per legittimare la
discriminazione razziale contro i neri delle colonie africane e gli ebrei
italiani).
Fascista, perché l’assassino era anche un leghista, appartenente dunque al
peggiore partito xenofobo d’Europa, che nel proprio patrimonio dispone di
personaggi anche 'materialmente' pericolosi, come un Borghezio che dà fuoco
(primo luglio 2000) dopo una manifestazione dei 'Volontari verdi' contro
l'immigrazione clandestina, ai pagliericci di alcuni extracomunitari
accampati sotto il ponte 'Principessa Clotilde', nel capoluogo piemontese.
Fascista, in quanto, fascista e per davvero, Mancini partecipa alle
iniziative e ai cortei di Casa Pound e ad altre attività (di lui si ha una
una foto scattata durante una protesta di Casa Pound nel novembre 2013 ed è
presente anche ad un tavolino del Blocco Studentesco), e quel giorno,
durante l'aggressione, indossa una maglia dei ZetaZeroAlfa, la band
ufficiale del centro sociale di destra il cui leader è Gianluca Iannone. E
la semantica, e il perché del suo ricorso, non è una motivazione fragile e
casuale.
Non è un ultras confuso, Mancini, come si insiste nella descrizione
mainstream, ma un facinoroso con un’idea politica precisa: nel maggio del
2015 fu visto al comizio di Matteo Salvini a Porto San Giorgio nel servizio
d’ordine contro le contestazioni dei centri sociali delle Marche, e
presente alle iniziative di Casa Pound Fermo; e per quanto
nell’interrogatorio ai magistrati, in posizione difensiva, si spinge in
affermazioni quali: “Non sono politicizzato, sono un po’ di destra, un po’
di sinistra, ma i fascisti hanno fatto delle cose buone come le bonifiche”,
la sua posizione all’interno di quell’organizzazione, non è sconosciuta.
E se «Amedeo» non può essere di certo un «un simpaticone», dato che usava
«tirare noccioline ai negri», passa tutt’al più per un violento pur come
tanti, un razzista pur come tanti, un omicida dunque che non è inusuale
lasci in terra un uomo in coma per via della propria rabbia, e che nelle
tensioni sociali che percorrono tutti, alla fine merita un fondo di
comprensione, dal momento che non poteva che agire diversamente trattandosi
di legittima difesa, nonostante in prima istanza tale versione diverga, e
per quella fornita dallo stesso Mancini alla polizia, e per le altre
testimonianze raccolte dalle forze dell’ordine.
Tutto, insomma, fuorché fascista. Tutto purché non si indaghi davvero su
quelle fucina di criminali che le sedi nere costruiscono. “Ucciso da un
ultras”, avevano infatti titolato l’Avvenire, il Corriere della Sera e La
Repubblica. E solo con una ricerca più attenta sarebbe stato possibile
leggere che lui, come altri, erano “noti da tempo alle forze dell’ordine
come elementi della destra fascista”. Dove si collochi Mancini, quanto sia
attiguo alle formazioni politiche che canalizzano, e non da oggi, le
insicurezze e le paure tutte contro le classi più deboli e soprattutto
contro gli immigrati, è una questione che pare davvero affligga poco.
Il fascismo che arma la mano del rancore sociale non è motivo di
riflessione alcuna. Appartenere ad una struttura che si rifà nelle
tematiche, nella dialettica interna - e fuori, nelle aggressioni reiterate
fino al delitto - al Ventennio, risulta marginale rispetto alla presenza di
(e da) ultras sugli spalti della Fermana calcio, e questo perché i conti
non sono mai stati chiusi, non certo a Piazzale Loreto.
La legalità borghese non persegue le sedi fasciste, ha maglie larghe per i
reati dei militanti che afferiscono a quelle realtà. Ha acconsentito
inoltre a che partiti come la Lega Nord si offrissero in proposte politiche
quali l’“autoctonicità” regionale, la lotta all’immigrazione, in contenuti
che nel tempo da beceri si sono resi sempre più lividi, pericolosi,
passando dalla questione della sicurezza ad ossessioni demografiche sui
territori da attuarsi e perseguirsi in folle selezione identitaria.
La democrazia, nella rispettabile confezione che lascia intatte tutte le
logiche capitalistiche dal punto di vista ideologico e politico, non chiude
con il fascismo quando consente al padronato, in difesa dei propri
interessi, di costruire una realtà politica che fonda da almeno vent'anni
il proprio consenso elettorale sulla difesa della comunità “naturale” e
autoctona dalle presenze straniere, nella vulgata razzista e xenofoba.
E nella delirante difesa della “civiltà in pericolo” si riappropria di
vecchi metodi e parole d’ordine - tipicamente fasciste - ed è dunque
legittimo che invochi la legge e l’ordine, nel bisogno che si renderebbe
necessario di autorità e di guida.
Il collante di tutto ciò - l’insofferenza verso gli immigrati - diventa
strumento di 'elezione' che vuole e pretende gli immigrati esclusivamente
come forza lavoro senza diritti.
Il fascismo è dunque tollerato proprio perché non è stato mai abbandonato
nei metodi e nel linguaggio, nella violenza che all’odio di classe
sostituisce l’odio della classe per se stessa, imbevendone la vita
contemporanea, lasciando che le nostre vite passino e guardino in un inizio
luglio un uomo che muore su un marciapiede, per l’azione isolata di un
altro uomo che invece in quel terreno di coltura marcescente, purtroppo,
non è affatto solo e non sarà affatto l’unico.
Chiara Pannullo
Fonte:
www.pclavoratori.it
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