[Redditolavoro] Rullano i tamburi sulla Libia. Preparare la mobilitazione

Partito Comunista dei Lavoratori pclavoratoribologna at gmail.com
Fri Feb 26 23:54:12 CET 2016


Rullano i tamburi sulla Libia. Preparare la mobilitazione


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*Rullano i tamburi di una nuova guerra di Libia. La convocazione oggi a
Roma del Consiglio supremo di Difesa, con la presenza della Presidenza
della Repubblica, del capo del governo, dei ministri degli Esteri e della
Difesa, delle alte gerarchie militari, è un sintomo inequivocabile
dell'accelerazione degli avvenimenti. *

*Sul governo Renzi si stringe la morsa di una contraddizione irrisolta. *


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*LE PAURE DI RENZI *

Da un lato Renzi teme un avventura militare in Africa. Il suo populismo di
governo, ossessionato dall'umore dei sondaggi, si nutre della ricerca del
consenso. Un'avventura militare in Libia, col costo prevedibile di perdite
umane a fronte di imprevedibili sbocchi, potrebbe causare perdita di
consensi, innescare una opposizione diffusa alla guerra, aprire una
contraddizione sullo stesso versante dell'elettorato cattolico. Renzi ha
terrore di una simile eventualità, tanto più alla vigilia delle elezioni
amministrative e soprattutto della prova per lui decisiva del referendum
istituzionale. Per questo la linea su cui ha sinora attestato il governo è
quella della prudenza. Una linea che privilegia la ricerca dell'intesa
diplomatica tra i governi di Tobruk e Tripoli a favore di un governo di
unità nazionale, legittimato dall'ONU, che possa a sua volta “richiedere”
il soccorso militare straniero in una “cornice legale”. In questa cornice
l'Italia pretenderebbe un ruolo politico egemone nella missione, già
avallato dagli USA, limitando il più possibile il proprio coinvolgimento
militare ad una funzione di addestramento di milizie libiche locali. Il
massimo della gloria (per Renzi e per l'ENI) al minimo prezzo.

Ma dall'altro lato questo disegno cozza ogni giorno di più con la dinamica
degli avvenimenti politici.


*L'IMPAZIENZA USA E LO SCAVALCAMENTO FRANCESE *

Il governo di unità nazionale che dovrebbe insediarsi a Tripoli fatica a
strappare il consenso costituzionale previsto del Parlamento di Tobruk.
Lunedì prossimo è previsto un nuovo tentativo dall'esito incerto. Ma
soprattutto cresce la pressione interventista di altre potenze
imperialiste.

Gli USA hanno retto sinora il gioco di Renzi. Perché Obama cerca in Renzi,
anche al di là della partita libica, un contrappeso alla Merkel in Europa.
E Renzi cerca a sua volta nell'appoggio dell'amministrazione americana una
leva importante per il proprio gioco negoziale, sia nella UE che nel
Mediterraneo (da qui la contropartita offerta agli USA del prolungamento
della presenza italiana in Afghanistan e della spedizione militare a
Mosul). Ma l'imperialismo americano ha difficoltà a reggere in tempi
indefiniti una posizione di attesa. Non vuole avventurarsi direttamente -
almeno sotto l'attuale amministrazione - in nuove spedizioni militari
rovinose come in Iraq. Ma ha bisogno di garantire “risultati” da esibire
sul fronte interno e internazionale nella guerra all'Isis. Non può subire,
dopo la Siria, una nuova espansione dell'Isis in Nord Africa, se non al
prezzo di un ulteriore aggravamento della propria crisi di “gendarme del
mondo”. Da qui l'attivazione preparatoria delle basi NATO in Europa, a
partire dalla base di Sigonella, e l'inizio di operazioni selettive di
guerra dai cieli sulla Libia. Accanto a una pressione sempre più incalzante
sul governo italiano per spingerlo ad una maggiore disponibilità
interventista.

Parallelamente cresce la pulsione interventista di Gran Bretagna e Francia.
L'imperialismo francese, in particolare, sgomita da tempo con
l'imperialismo italiano per l'egemonia sul Nord Africa. Lo stesso
interventismo di Sarkozy in Libia nel 2011 seguì questa logica. Per la
vecchia potenza coloniale francese si tratta di garantire uno sbocco sul
mare alla propria area d'influenza centro africana. A supporto di Total
contro ENI. Oggi la Francia cerca di inserirsi nell'impasse della trama
diplomatica a guida italiana per conquistare posizioni sul fronte libico.
Da qui l'accertata presenza di truppe speciali francesi a Bengasi in
supporto diretto al generale Haftar, sponsorizzato dall'Egitto. Il caso
Regeni allarga gli spazi di inserimento della Francia quale sponda egiziana
in concorrenza con l'Italia. La presenza di proprie truppe sul campo
rafforza il peso negoziale della Francia e la sua possibile incidenza sulle
soluzioni politico-militari della crisi libica. Per l'imperialismo italiano
è una minaccia seria.


*L'INTERVENTISMO ITALIANO *

Su questo sfondo generale cresce, non a caso, un fronte interventista in
Italia. La stessa grande stampa borghese che esalta i successi di Renzi
contro il movimento operaio, ma gli suggerisce prudenza nel negoziato con
Bruxelles e con la Germania, chiede a Renzi di uscire dall'immobilismo in
Libia. Gli articoli di Panebianco sul Corriere della Sera non sono un fatto
isolato. La grande stampa borghese non ha i problemi di consenso di Renzi,
e lo chiama alle proprie responsabilità di comandante in capo
dell'imperialismo italiano. È l'orientamento de La Stampa. È, in forme più
caute, l'orientamento di La Repubblica. È sicuramente l'orientamento del
Sole 24 Ore, organo di Confindustria, che già ad inizio gennaio uscì con un
editoriale cristallino. «[...] Avere una presenza militare diretta in Libia
significherebbe poter partecipare con un peso reale all'inevitabile tavolo
negoziale che deciderà del suo futuro». Il grande capitale non vuole
sacrificare i propri interessi economici e strategici all'ossessione
elettorale del renzismo. Chiede a Renzi di non fare il politicante ma “lo
statista”. Gli chiede di non subire il senso comune “pacifista” ma di
preparare coraggiosamente l'opinione pubblica ad una inevitabile missione
militare (Panebianco).

Il governo italiano è ben esposto a questa pressione. Renzi si è presentato
al capitalismo italiano come l'uomo del riscatto degli interessi tricolori
nel mondo. L'uomo che glorifica il made in Italy sui mercati mondiali, che
apre nuove frontiere agli investitori italiani dall'Iran all'Argentina, che
nella stessa partita negoziale in Europa salvaguarda gli interessi del
capitale finanziario italiano, come si vede sulla questione banche (oltre
che naturalmente i propri interessi elettorali). In particolare, il governo
Renzi va perseguendo un disegno di (piccola) potenza italiana in Nord
Africa: si è costruito il profilo di principale alleato dello Stato
sionista in Europa, e di primo interlocutore finanziario e commerciale con
l'Egitto. L'interesse dell'Italia alla Libia non è solo la rivendicazione
dei propri diritti di vecchia potenza coloniale, ma si pone in continuità
con questo disegno strategico, in perfetta collisione con l'interesse
francese. La borghesia italiana chiama dunque Renzi ad onorare le sue
promesse e ad essere all'altezza dei propri sogni di gloria.


*UNA SPARTIZIONE “OTTOMANA” DELLA LIBIA?*

Quale sarà dunque l'esito di questa irrisolta contraddizione tra ambizione
strategica e paura elettorale? Difficile dire. Ma il nodo si fa sempre più
stretto.
Intanto si moltiplicano le voci di un possibile piano B, avvallato
dall'Italia, nel caso di definitivo fallimento dell'operazione diplomatica.
Un piano - illustrato dettagliatamente dall'informatissima Repubblica - che
punterebbe a scaricare il Parlamento laico di Tobruk a vantaggio delle
forze islamiste di Tripoli, e passerebbe per una spartizione della Libia in
tre (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) con la Tripolitania presidiata da
forze militari preponderanti italiane (fino a 5000 soldati). Inutile
ricordare che la Tripolitania è il cuore degli insediamenti ENI, e che la
spartizione della Libia ricalcherebbe esattamente l'antica organizzazione
amministrativa ottomana. Non è chiaro se in questa ipotesi la Francia si
prenderebbe la Cirenaica (in tandem con l'Egitto) o il Fezzan (quale
prolungamento della propria area di influenza in centro Africa). Ma il solo
fatto che queste ipotesi siano fatte circolare non è solo un fattore di
pressione ultimativa sul Parlamento di Tobruk per indurlo ad accettare la
soluzione apparecchiata di unità nazionale. È anche la misura indiretta
dello stallo in atto, e della fame imperialista che grava sulla Libia.


*L'URGENZA DELLA MOBILITAZIONE CONTRO LA GUERRA *

Per queste stesse ragioni è più che mai importante l'avvio della
mobilitazione contro la guerra, e la necessità di allargare il fronte
dell'opposizione su questo terreno a tutte le forze disponibili, anche di
carattere puramente pacifista. Le prime iniziative (16 gennaio) hanno visto
una partecipazione modesta, per quanto politicamente preziosa. Ma la
possibile accelerazione degli avvenimenti può diventare un fattore di
allargamento del fronte. È ciò di cui il governo ha terrore, e a ragione.
Perché un movimento di massa contro la guerra potrebbe trasformarsi davvero
in una slavina per il renzismo, capace di riaprire tanti giochi.

Di certo, il Partito Comunista dei Lavoratori farà come sempre la propria
parte, a partire dalle manifestazioni previste per il 12 marzo. Portando in
ogni mobilitazione unitaria una caratterizzazione classista e coerentemente
antimperialista. Ciò che significa prima di tutto opposizione al proprio
imperialismo e al tricolore dell'ENI.
Partito Comunista dei Lavoratori


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