<div dir="ltr"><h1 class=""><span style="color:rgb(204,0,0)">Rullano i tamburi sulla Libia. Preparare la mobilitazione</span></h1><p><img src="cid:ii_il4am6p60_1531fc76a610bb29" height="306" width="471"><br></p><p><b>Rullano i tamburi di una nuova guerra di Libia.
<br>La convocazione oggi a Roma del Consiglio supremo di Difesa, con la
presenza della Presidenza della Repubblica, del capo del governo, dei
ministri degli Esteri e della Difesa, delle alte gerarchie militari, è
un sintomo inequivocabile dell'accelerazione degli avvenimenti.
<br></b>
<b><br>Sul governo Renzi si stringe la morsa di una contraddizione irrisolta. <br></b></p><p><img src="cid:ii_il4an2kj1_1531fc80d3471765" height="378" width="471"><br></p><p><b>LE PAURE DI RENZI
</b><br>
<br>Da un lato Renzi teme un avventura militare in Africa. Il suo
populismo di governo, ossessionato dall'umore dei sondaggi, si nutre
della ricerca del consenso. Un'avventura militare in Libia, col costo
prevedibile di perdite umane a fronte di imprevedibili sbocchi, potrebbe
causare perdita di consensi, innescare una opposizione diffusa alla
guerra, aprire una contraddizione sullo stesso versante dell'elettorato
cattolico. Renzi ha terrore di una simile eventualità, tanto più alla
vigilia delle elezioni amministrative e soprattutto della prova per lui
decisiva del referendum istituzionale. Per questo la linea su cui ha
sinora attestato il governo è quella della prudenza. Una linea che
privilegia la ricerca dell'intesa diplomatica tra i governi di Tobruk e
Tripoli a favore di un governo di unità nazionale, legittimato dall'ONU,
che possa a sua volta “richiedere” il soccorso militare straniero in
una “cornice legale”. In questa cornice l'Italia pretenderebbe un ruolo
politico egemone nella missione, già avallato dagli USA, limitando il
più possibile il proprio coinvolgimento militare ad una funzione di
addestramento di milizie libiche locali. Il massimo della gloria (per
Renzi e per l'ENI) al minimo prezzo.
<br>
<br>Ma dall'altro lato questo disegno cozza ogni giorno di più con la dinamica degli avvenimenti politici.
<br>
<br>
<br><b>L'IMPAZIENZA USA E LO SCAVALCAMENTO FRANCESE
</b><br>
<br>Il governo di unità nazionale che dovrebbe insediarsi a Tripoli
fatica a strappare il consenso costituzionale previsto del Parlamento di
Tobruk. Lunedì prossimo è previsto un nuovo tentativo dall'esito
incerto. Ma soprattutto cresce la pressione interventista di altre
potenze imperialiste.
<br>
<br>Gli USA hanno retto sinora il gioco di Renzi. Perché Obama cerca in
Renzi, anche al di là della partita libica, un contrappeso alla Merkel
in Europa. E Renzi cerca a sua volta nell'appoggio dell'amministrazione
americana una leva importante per il proprio gioco negoziale, sia nella
UE che nel Mediterraneo (da qui la contropartita offerta agli USA del
prolungamento della presenza italiana in Afghanistan e della spedizione
militare a Mosul). Ma l'imperialismo americano ha difficoltà a reggere
in tempi indefiniti una posizione di attesa. Non vuole avventurarsi
direttamente - almeno sotto l'attuale amministrazione - in nuove
spedizioni militari rovinose come in Iraq. Ma ha bisogno di garantire
“risultati” da esibire sul fronte interno e internazionale nella guerra
all'Isis. Non può subire, dopo la Siria, una nuova espansione dell'Isis
in Nord Africa, se non al prezzo di un ulteriore aggravamento della
propria crisi di “gendarme del mondo”. Da qui l'attivazione preparatoria
delle basi NATO in Europa, a partire dalla base di Sigonella, e
l'inizio di operazioni selettive di guerra dai cieli sulla Libia.
Accanto a una pressione sempre più incalzante sul governo italiano per
spingerlo ad una maggiore disponibilità interventista.
<br>
<br>Parallelamente cresce la pulsione interventista di Gran Bretagna e
Francia. L'imperialismo francese, in particolare, sgomita da tempo con
l'imperialismo italiano per l'egemonia sul Nord Africa. Lo stesso
interventismo di Sarkozy in Libia nel 2011 seguì questa logica. Per la
vecchia potenza coloniale francese si tratta di garantire uno sbocco sul
mare alla propria area d'influenza centro africana. A supporto di Total
contro ENI. Oggi la Francia cerca di inserirsi nell'impasse della trama
diplomatica a guida italiana per conquistare posizioni sul fronte
libico. Da qui l'accertata presenza di truppe speciali francesi a
Bengasi in supporto diretto al generale Haftar, sponsorizzato
dall'Egitto. Il caso Regeni allarga gli spazi di inserimento della
Francia quale sponda egiziana in concorrenza con l'Italia. La presenza
di proprie truppe sul campo rafforza il peso negoziale della Francia e
la sua possibile incidenza sulle soluzioni politico-militari della crisi
libica. Per l'imperialismo italiano è una minaccia seria.
<br>
<br>
<br><b>L'INTERVENTISMO ITALIANO
</b><br>
<br>Su questo sfondo generale cresce, non a caso, un fronte
interventista in Italia. La stessa grande stampa borghese che esalta i
successi di Renzi contro il movimento operaio, ma gli suggerisce
prudenza nel negoziato con Bruxelles e con la Germania, chiede a Renzi
di uscire dall'immobilismo in Libia. Gli articoli di Panebianco sul
Corriere della Sera non sono un fatto isolato. La grande stampa borghese
non ha i problemi di consenso di Renzi, e lo chiama alle proprie
responsabilità di comandante in capo dell'imperialismo italiano. È
l'orientamento de La Stampa. È, in forme più caute, l'orientamento di La
Repubblica. È sicuramente l'orientamento del Sole 24 Ore, organo di
Confindustria, che già ad inizio gennaio uscì con un editoriale
cristallino. «[...] Avere una presenza militare diretta in Libia
significherebbe poter partecipare con un peso reale all'inevitabile
tavolo negoziale che deciderà del suo futuro». Il grande capitale non
vuole sacrificare i propri interessi economici e strategici
all'ossessione elettorale del renzismo. Chiede a Renzi di non fare il
politicante ma “lo statista”. Gli chiede di non subire il senso comune
“pacifista” ma di preparare coraggiosamente l'opinione pubblica ad una
inevitabile missione militare (Panebianco).
<br>
<br>Il governo italiano è ben esposto a questa pressione. Renzi si è
presentato al capitalismo italiano come l'uomo del riscatto degli
interessi tricolori nel mondo. L'uomo che glorifica il made in Italy sui
mercati mondiali, che apre nuove frontiere agli investitori italiani
dall'Iran all'Argentina, che nella stessa partita negoziale in Europa
salvaguarda gli interessi del capitale finanziario italiano, come si
vede sulla questione banche (oltre che naturalmente i propri interessi
elettorali). In particolare, il governo Renzi va perseguendo un disegno
di (piccola) potenza italiana in Nord Africa: si è costruito il profilo
di principale alleato dello Stato sionista in Europa, e di primo
interlocutore finanziario e commerciale con l'Egitto. L'interesse
dell'Italia alla Libia non è solo la rivendicazione dei propri diritti
di vecchia potenza coloniale, ma si pone in continuità con questo
disegno strategico, in perfetta collisione con l'interesse francese. La
borghesia italiana chiama dunque Renzi ad onorare le sue promesse e ad
essere all'altezza dei propri sogni di gloria.
<br>
<br>
<br><b>UNA SPARTIZIONE “OTTOMANA” DELLA LIBIA?</b>
<br>
<br>Quale sarà dunque l'esito di questa irrisolta contraddizione tra
ambizione strategica e paura elettorale? Difficile dire. Ma il nodo si
fa sempre più stretto.
<br>Intanto si moltiplicano le voci di un possibile piano B, avvallato
dall'Italia, nel caso di definitivo fallimento dell'operazione
diplomatica. Un piano - illustrato dettagliatamente dall'informatissima
Repubblica - che punterebbe a scaricare il Parlamento laico di Tobruk a
vantaggio delle forze islamiste di Tripoli, e passerebbe per una
spartizione della Libia in tre (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) con la
Tripolitania presidiata da forze militari preponderanti italiane (fino a
5000 soldati). Inutile ricordare che la Tripolitania è il cuore degli
insediamenti ENI, e che la spartizione della Libia ricalcherebbe
esattamente l'antica organizzazione amministrativa ottomana. Non è
chiaro se in questa ipotesi la Francia si prenderebbe la Cirenaica (in
tandem con l'Egitto) o il Fezzan (quale prolungamento della propria area
di influenza in centro Africa). Ma il solo fatto che queste ipotesi
siano fatte circolare non è solo un fattore di pressione ultimativa sul
Parlamento di Tobruk per indurlo ad accettare la soluzione apparecchiata
di unità nazionale. È anche la misura indiretta dello stallo in atto, e
della fame imperialista che grava sulla Libia.
<br>
<br>
<br><b>L'URGENZA DELLA MOBILITAZIONE CONTRO LA GUERRA
</b><br>
<br>Per queste stesse ragioni è più che mai importante l'avvio della
mobilitazione contro la guerra, e la necessità di allargare il fronte
dell'opposizione su questo terreno a tutte le forze disponibili, anche
di carattere puramente pacifista. Le prime iniziative (16 gennaio) hanno
visto una partecipazione modesta, per quanto politicamente preziosa. Ma
la possibile accelerazione degli avvenimenti può diventare un fattore
di allargamento del fronte. È ciò di cui il governo ha terrore, e a
ragione. Perché un movimento di massa contro la guerra potrebbe
trasformarsi davvero in una slavina per il renzismo, capace di riaprire
tanti giochi.
<br>
<br>Di certo, il Partito Comunista dei Lavoratori farà come sempre la
propria parte, a partire dalle manifestazioni previste per il 12 marzo.
Portando in ogni mobilitazione unitaria una caratterizzazione classista e
coerentemente antimperialista. Ciò che significa prima di tutto
opposizione al proprio imperialismo e al tricolore dell'ENI.
</p><h5 class=""><span style="color:rgb(255,0,0)"><font size="4">Partito Comunista dei Lavoratori</font></span></h5><p><img style="margin-right: 0px;" src="cid:ii_il4aoq0a2_1531fc93adbf6f46" height="141" width="141"><br></p><p><a href="http://www.pclavoratori.it">www.pclavoratori.it</a> - <a href="mailto:info@pclavoratori.it">info@pclavoratori.it</a><br></p><p><br></p><p><b><br></b></p><p><br></p><p><br></p></div>