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Wed Jul 11 12:31:17 CEST 2012
Taranto, si dimettono i vertici dell'Ilva. Attesa a breve la chiusura delle
indagini
L'azienda non ha spiegato i motivi del passo indietro del direttore Luigi
Capogrosso e del presidente del cda Nicola Riva, entrambi indagati per
disastro ambientale nell'ambito di un'inchiesta che nei prossimi giorni
arriverà a conclusione. E gli operai temono il sequestro dell'impianto
di Francesco Casula | 10 luglio 2012
Che cosa succede al vertice dell'Ilva di Taranto? Dopo le recenti dimissioni
del direttore dello stabilimento siderurgico più grande d'Europa, l'ingegner
Luigi Capogrosso, l'azienda ha comunicato che Nicola Riva, nipote del patron
Emilio, ha lasciato l'incarico di presidente del consiglio di
amministrazione della società. "Le dimissioni - si legge nel comunicato
inviato alla stampa - sono state accettate dal Consiglio che ha ringraziato
il Rag. Nicola Riva per l'attività svolta e ha cooptato il Dott. Bruno
Ferrante (originario di Lecce, ex prefetto e già candidato sindaco di
centrosinistra a Milano, ndr), il quale ha contestualmente assunto la carica
di Presidente con i relativi poteri".
Questa la nota stampa. Ma perché Nicola Riva ha lasciato la guida dell'azienda
di famiglia? Questo l'azienda non l'ha spiegato. Riva e Capogrosso sono
entrambi indagati dalla procura di Taranto per disastro ambientale nel
procedimento che pende dinanzi al gip Patrizia Todisco. Un'inchiesta che
dopo la perizia ambientale e quella sanitaria che hanno messo per la prima
volta nero su bianco l'allarmante situazione nel capoluogo e nella provincia
ionica, sembra oramai a un passo dalla chiusura. Alla luce di quanto emerso
dalle relazioni dei tecnici, il pool di magistrati, formato dal procuratore
Franco Sebastio, dall'aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano
Buccoliero e Giovanna Cannarile, potrebbe chiedere al giudice l'applicazione
di una serie di misure che potrebbero arrivare fino al sequestro degli
impianti.
Nelle perizie infatti è scritto che dallo stabilimento si diffondono gas,
vapori, polveri, contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori
e per la popolazione della provincia ionica. Dal solo parco minerali - l'area
di stoccaggio delle montagne di polvere di ferro e di carbone a pochi metri
dal quartiere Tamburi - si diffondono senza controllo ogni anno 668
tonnellate di polveri nocive. Dall'intero stabilimento le emissioni non
controllate sarebbero pari a 2mila tonnellate all'anno.
Le voci di un sequestro stanno creando non poca tensione tra i quindicimila
lavoratori della fabbrica e dell'indotto. Nelle scorse ore, infatti, gli
operai hanno chiesto un incontro al prefetto Claudio Sammartino e al sindaco
Ippazio Stefano spiegando che è "sempre più forte la preoccupazione" dei
dipendenti per un "probabile e paventato provvedimento della magistratura
ionica finalizzato alla chiusura parziale dell'area a caldo dello
stabilimento e/o riduzione della marcia degli impianti, con drammatiche
conseguenze per il personale addetto".
Per i lavoratori, insomma, la paura maggiore è quella di perdere
"immediatamente e irrimediabilmente il posto di lavoro". Un fatto che
secondo gli operai dovrebbe essere considerato "inaccettabile" anche "da
qualsiasi persona di buon senso e dalle istituzioni". "E' presto per
commentare - ha affermato sulle dimissioni di queste ore il portavoce del
cartello ambientalista Altamarea, Alessandro Marescotti - Sappiamo che i
periti nominati dalla procura hanno documentato che l'inquinamento a Taranto
causa ogni mese la morte di due persone. La magistratura non potrà rimanere
inerte. A Taranto - ha aggiunto Marescotti - deve cominciare la messa in
sicurezza di emergenza della falda acquifera sotto l'area industriale. Mare
e pascoli sono contaminati dalla diossina. Occorre bonificare. Questa sarà
la salvezza della città e della sua classe operaia".
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