[Redditolavoro] amianto salento - le denuncie di operai e delle vedove

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Wed Mar 9 18:57:05 CET 2011


Trentaquattro anni in fabbrica senza mai vedere una mascherina»



CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell'azienda senza mai vedere uno 
straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette 
"controlla-polvere"». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli 
storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava 
in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, 
convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase 
ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, 
alternandosi nei tre turni giornalieri.

«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l'anziano, «un miraggio, come lo 
erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, 
ma quello che c'era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto 
di vista sanitario. Negli anni '50 gli operai venivano sottoposti a visite 
mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell'ultimo periodo, 
alla fine degli Anni '80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro 
anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell'udito, 
anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un 
controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato 
hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le 
spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il 
giorno».

Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all'epoca si 
preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, 
«ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno 
stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della 
vita. All'epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa 
delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente 
ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening 
tra gli ex lavoratori. L'ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha 
rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo 
quotidianamente con l'incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, 
«ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal 
mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra 
colleghi».

La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima 
Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in 
Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno 
dopo l'altro tre fratelli colpiti dal male dell'amianto. «In quella casa 
rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l'anziana, 
«io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava 
spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni 
di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all'interno 
della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi 
anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato 
le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».

La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all'età di due 
ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti 
e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a 
provocarmi quella malattia fosse stato l'amianto. Abbiamo tutti paura», 
conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre 
moriranno forse senza avere giustizia».


La rabbia di una vedova: «Sapevano e tacevano»
 CORSANO - Nella Eternit di Niederurnen il lavoro non era affidato solo agli 
uomini. C'era anche una consistente schiera femminile, e in questa c'era un 
gruppo di donne salentine. Giuseppa Florio è una di quelle, oggi ha 74 anni 
ed è vedova di un altro operaio Eternit, Marino Riso, entrato in azienda nel 
1956 e morto d'infarto nel 1993 a soli 61 anni con pleurite cronica 
conclamata. È vicina di casa dei coniugi Riso e anche lei si è sottoposta al 
controllo pneumologico della Asl eseguito nel presidio ospedaliero 
«Daniele-Romasi» di Gagliano del Capo dal dottor Walter Castellano.

«Ho lavorato in quella fabbrica dal 1958 al 1962», racconta Giuseppa Florio, 
«ero addetta allo stampaggio delle forme. Dal mio reparto uscivano vasi e 
tubi di piccole dimensioni e grazie alla collaborazione dei colleghi maschi 
a noi veniva affidato il lavoro sui pesi minori». Non è stato facile per lei 
lavorare in un ambiente senza diritti e quasi senza regole, con tante 
punizioni che si ripercuotevano anche sullo stipendio. «La nostra più grande 
paura nella fabbrica erano le visite degli ispettori addetti al controllo 
del materiale», spiega l'ex operaia, «se i manufatti erano difettosi 
venivano segnati e la punizione era la trasformazione del contratto da 
cottimo a giornata. In questo modo non venivano tenuti in considerazione gli 
sforzi di produzione e l'azienda pagava di meno».

Lei, come tutti gli ex lavoratori dell'amianto in Svizzera, è informatissima 
sulle vicende processuali torinesi e aspetta l'apertura di uno spiraglio per 
costituirsi parte civile in un altro filone penale. «Negli anni in cui io e 
mio marito abbiamo lavorato nella fabbrica di Niederurnen », racconta, «non 
abbiamo mai visto il barone De Marchienne, titolare della multinazionale. 
Una volta l'anno passavano per u n'ispezione i vertici degli stabilimenti 
svizzeri. Chissà», dice Giuseppa ormai senza più sorriso sulle labbra, «se 
qualcuno pagherà per aver tenuto nascosto tutto questo ai lavoratori». 
[m.c.]



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