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Thu Jun 30 06:44:07 CEST 2011
LA FIAT DA SPUTTANARE
Dal blog di Samanta di Persio
http://sdp80.wordpress.com/
Antonio D' Amico ha lavorato per 32 anni in Fiat. A settembre del 2002 dopo
una vita di sacrifici, sarebbe andato in pensione.
Anche il figlio Rosario lavora in Fiat. Lavoravano nello stesso reparto: la
lastratura di Pomigliano D' Arco dove si assemblano le lamiere, circa 300
persone.
A fine febbraio del 2002, "uno dei ragazzi con contratto a termine -
racconta Rosario - guidava un carrello non mi sembrava che avesse
padronanza, mancò poco che mi venne addosso".
Alle 6.35 del 6 marzo del 2002, lo stesso ragazzo guidava un carrello
elevatore, nell' area UTE (una zona centrale dove gli operai possono fare
una pausa e dove i responsabili distribuiscono il lavoro), con una velocità
superiore ai 6 km orari e investì Antonio D' Amico.
Portava due contenitori con lamiere, probabilmente superavano l' altezza
consentita del metro e sessanta, dunque la visibilità era limitata. Il tutto
avveniva sotto gli occhi di Rosario e sotto quelli di almeno altri trenta
operai.
Quel carrello aveva il marchio CE, c' erano tre pedali, con un doppio
sistema di frenata che garantivano un sistema ABS, un pulsante sullo sterzo
per la retromarcia.
"Ma il ragazzo non ha visto mio padre - continua Rosario - e non ha fatto
nulla per impedire l' impatto. Mio padre finì a terra sbattendo la testa.
Abbiamo un' ambulanza in azienda, ma non era attrezzata, dotata di ossigeno.
Mio padre non ce la faceva a respirare, era fra le mie braccia e mi sentivo
impotente. Sono trascorsi venti minuti prima che ne arrivasse un' altra.
Intanto venne chiamata l' impresa di pulizia e pulirono tutta l' area dov'
era avvenuto il fatto. Mio padre è morto dopo 40 minuti di agonia, giunse
all' ospedale già senza vita".
"Quando arrivò la magistratura non c' erano più prove, furono sequestrati
settanta carrelli e questo mi consolava perché significa che qualcosa non
andava. Nel mio reparto allora, il 75% degli operai erano precari, il
sistema lavoro richiederebbe una formazione e un patentino per poter guidare
i carrelli, ma di fatto non era così. In quel periodo avevamo in produzione
la nuova Punto, l' azienda contava molto sulle vendite, perciò c' era
bisogno di produrre a ritmi elevati. Ci sono registrazioni nelle quali si
vede benissimo che i carrelli viaggiano ad una velocità almeno doppia
rispetto a quella prevista per norma. Ciò significa che un operaio produceva
per due."
Il ragazzo precario venne licenziato, ma fu assunto da una ditta esterna,
all' interno della Fiat alcune lavorazioni vengono esternalizzate. I
colleghi di lavoro non avevano visto, parliamo di circa trenta persone.
L' avvocato della contro parte è il presidente degli ordini degli avvocati
della regione Campania.
Sono dieci anni che il processo va avanti, con rinvii. Il ragazzo è stato
condannato in primo grado, ma Fiat in appello ha chiesto l' annullamento
perché il giudice non si è attenuto alle regole processuali. In azienda sono
accaduti altri infortuni mortali, ma offrendo un posto di lavoro, in una
regione dove non ci sono molte alternative alla Camorra, le famiglie hanno
accettato.
Che resta ? La medaglia al lavoro. La mortificazione e umiliazione di
Rosario come figlio, lavoratore e cittadino italiano. Una disperata voglia
di visibilità, di dire a milioni di persone:
"Non riesco proprio a capire perché non posso avere giustizia dopo aver
perso il diritto ad un genitore ed il diritto al lavoro, perché in questo
Paese ci vogliono prove su prove e forse la giustizia ha la sua
responsabilità di inefficienza ? Ma se non avessi assistito io all'
incidente, mio padre sarebbe morto per cause sconosciute ?"
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