[Redditolavoro] Fw: udienza shock Thyssen torino

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Sat Feb 14 14:25:21 CET 2009



Processo Thyssen: il tempo torna al 6 dicembre 2007, il fuoco, 7 vittime
ALBERTO GAINO
TORINO
La morte irrompe nel processo e l'avvolge in un silenzio raggelante. La
morte ha gli occhi e la bocca spalancati di Aldo Schiavone, steso a terra,
le gambe nude, come il resto del corpo, accavallate, ridotto a un fagotto.
Lucido e gonfio, quel corpo non ha più nulla di umano, del giovane che vi è
cresciuto dentro e vi è diventato uomo. La mamma e la zia, terz'ultima fila
dal fondo della maxi-aula, guardano con le mani strette al viso che riducono
gli occhi a fessure. Viste da dietro, nei loro abiti neri, sembrano figure
ancora più esili. Le lacrime scorrono sui visi di madri, padri, fratelli
delle vittime. Anche un giudice popolare, l'unico uomo del collegio, porta
un fazzoletto di carta agli occhi. Altri hanno lo sguardo lucido. Nessuno
fiata, si resta tutti muti in quell'immensa aula di legni chiari, caldi,
diventata improvvisamente cinema dell'horror. Impietoso quanto necessario
per guardare dentro la morte. Cinque minuti e 10 secondi di visione del dvd
girato dalla polizia scientifica nell'immediatezza dell'incendio alla
Thyssen. Sembra passato un secolo dall'«incidente» che scuote il processo,
appena due ore prima: la difesa chiede che si allontanino tutti i testimoni
per sentire il primo, un ispettore capo di polizia. Ed allora una mamma,
Maria Grazia Rodinò, scatta in piedi: «Non me ne vado, voglio testimoniare,
vedere e ascoltare tutti. Fate semmai venire gli imputati, se hanno il
coraggio di presentarsi».

Il presidente Maria Iannibelli concede una sospensione. L'avvocato di parte
civile Sergio Bonetto rinuncia alla testimonianza di due madri e un padre;
per gli altri 15 parenti-testimoni matura un accordo con la difesa: verranno
sentiti la prossima udienza (il 17) e potranno poi restare in aula. Ieri si
perdono soltanto il peggio, l'ispettore capo Massimo Galasso che racconta
come, entrando nel capannone, «non mi accorsi di aver scavalcato un
cadavere: lo presi per un sacco della spazzatura». Mario Barbetta, «primo
addetto» della linea vicina a quella della morte, racconta il «muro di
fuoco» cui si è trovato di fronte accorrendo in bici alle urla di Boccuzzi,
il superstite: «Il calore era insopportabile, ho riconosciuto Giuseppe De
Masi solo dalla voce. Rosario Rodinò chiedeva aiuto». In aula si ascolta la
telefonata di Barbetta al 118: sullo sfondo l'urlo di Rosario è straziante:
«Non voglio morire». Il testimone si guarda le mani, lo sguardo a terra,
singhiozza: «Rocco Marzo diceva che non riusciva a respirare. L'ho
accompagnato alla lettiga. Non avrei riconosciuto nemmeno lui se non mi
avesse parlato. Come Angelo Laurino e Roberto Scola, stesi a terra:
rantolavano. Erano tutti bruciati in faccia, nudi o quasi. Non posso
dimenticarli. Sono stato ricoverato in psichiatria e ancora oggi sono
seguito da uno specialista. Il mio tormento è di non aver potuto fare
niente».

Il «primo addetto» è anche testimone del degrado dello stabilimento «dal
settembre 2007. In estate, con la cassa integrazione e dopo l'annuncio della
chiusura per luglio 2008, se n'era andato il 90 per cento dei manutentori.
Prima avevamo cinque capiturno, la notte dell'incendio ce n'era uno solo per
tutto lo stabilimento: Rocco Marzo. I princìpi di incendio erano routine
dove si saldava. La procedura consegnataci dall'azienda era: dovevamo
provare noi a spegnerli con estintori, se non ci riuscivamo si chiamava la
squadra antincendio dello stabilimento. Era vietato rivolgerci ai vigili del
fuoco. Una volta che dissi in portineria di telefonare al 115 fui
richiamato». E ancora: «Gli ultimi mesi c'era di tutto per terra: carta,
olio, gomma. Si tirava a lucido lo stabilimento solo quando dovevano venire
gli ispettori dell'Asl. Per l'azienda contava solo avere il personale
sufficiente, non importava se era inesperto, per mandare avanti le
macchine». E' un duro colpo per la difesa che aveva sollecitato un teste
(dirigente di polizia) a ricordare come, fra gli oggetti sequestrati nel
pulpito di comando della linea, vi fossero uno zainetto con una play station
2, una presa scart e alcuni giochi.



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