[Redditolavoro] Sarà perché con il sole e il vento non si costruiscono le bombe?
clochard
spartacok at alice.it
Sat Nov 17 00:13:15 CET 2007
Sarà perché con il sole e il vento non si costruiscono le bombe?
L´Italia indirizza alla ricerca sul nucleare un quarto del totale dei fondi
destinati alla ricerca energetica. E nel dibattito si tende a dimenticare i
problemi dei costi, della scarsità della materia prima e delle scorie che
durano un tempo difficilmente immaginabile, oltre che dei tempi di
realizzazione che potrebbero essere non sufficienti a frenare il meccanismo
già in atto dello sconvolgimento del clima globale
di Lucia Venturi
LIVORNO. «Le centrali atomiche sono decisamente competitive rispetto alle
altre tecnologie di produzione elettrica - sta scritto su una scheda
relativa ai costi nello speciale sul nucleare del Sole 24 ore di sabato, che
però poi continua - quando fanno parte di un programma statale oppure
operano in regime di monopolio» E quindi se i costi di costruzione se li
accolla lo stato o se comunque è garantito l’assist sulla concorrenza. E
ancora: «se la gestione delle scorie è a carico della collettività» (andando
di conseguenza in senso opposto al principio della responsabilità condivisa
vigente in Europa). E poi: «se si fanno numerosi impianti-fotocopia per
ridurne i costi di ingegnerizzazione» e infine «se ci sono sovvenzioni e
garanzie finanziarie pubbliche».
Perché come più volte e in diversi hanno sostenuto anche dalle pagine di
greenreport, ad oggi non c’è un imprenditore privato che in tutto il mondo
in assenza di queste precise condizioni investirebbe nella produzione
energetica nucleare. Ai costi c’è poi da aggiungere, in analogia con le
altri fonti energetiche che si basano sullo sfruttamento di fonti fossili,
il problema della finitezza del combustibile e della dipendenza da esso. L’uranio
non è una fonte rinnovabile, e quindi destinata ad esaurirsi e come le altre
fonti fossili non è distribuita in maniera omogenea, quindi soggetta a
criticità di natura geopolitica che ne determinano una dipendenza, in certi
casi assai pericolosa. Più sisnteticamente l’uranio è soggetto ad
esaurimento in tempi variabili a seconda dell’entità della domanda, a
fluttuazioni di costi di mercato che da questa e dalla scarsità dell’offerta
dipendono, (e negli ultimi 5 anni è decuplicato di prezzo), e dagli
equilibri politici, interni e non, che di volta in volta si instaurano.
Ne è un esempio la criticità cui è andata in contro la produzione nucleare
indiana che lo scorso anno ha dovuto sfruttare solo la metà della
potenzialità delle proprie centrali per il crescente deficit della materia
prima, dato che l’India non ha quantità sufficienti a garantirle l’autonomia
da importazioni e gli alleati comunisti del governo non vogliono cedere ad
un accordo di collaborazione con gli Usa.
Anche sul tema dei rifiuti, la scheda del sole 24ore è molto netta, quando
dice senza mezzi termini che: «il problema delle scorie non è stato ancora
risolto». E mette a confronto la durata e la necessità di conservazione in
sicurezza degli scarti radioattivi, che può essere anche di diecimila anni,
rispetto all’età della scrittura che ne ha circa la metà. In termini di
eredità per le generazioni a venire non si può certo parlare di un paragone
lusinghiero.
Ma per sapere cosa significa eredità nucleare, basterebbe chiedere alle
popolazioni bielorusse che ancora vivono come una drammatica quotidianità,
gli effetti dell’incidente di Chernobyl di ventuno anni fa.
Certo adesso si dice che incidenti come quello non sarebbero più possibili,
ma si dimentica però che di centrali che adoperano la stessa tecnologia e
che hanno gli stessi reattori Mbrk, ce ne sono di ancora funzionanti nell’Europa
a 27, nonostante i programmi (già finanziati dall’Ue) per la loro chiusura.
E si vorrebbe saldare così il capitolo sicurezza. Mentre quello sull’approvvigionamento
e sulle scorie si pensa di saldarlo con l’avvento dei reattori di quarta
generazione, ancora allo stato di chimera. Su cui anche il nostro Paese
destina più di un quarto (5,5 milioni su 20) dei fondi destinati alla
ricerca energetica. Distribuendoli con un rapporto 4 a 1 tra aziende che
investono in nucleare all’estero (non potendolo più fare in Italia) e l’università.
Le sirene del nucleare portano a loro favore anche i risultati di recenti
sondaggi che indicano che se in Italia si tornasse a votare oggi per il
referendum che si tenne nel 1987, le cose andrebbero in maniera assai
diversa. Senza però sbilanciarsi né con sondaggi né con previsioni su quale
sarebbe l’esito nella ricerca dei siti dove realizzare le centrali e i
depositi di stoccaggio per le scorie. Forse perché si sa già quale sarebbe l’esito.
Ma del resto, il nucleare ha il grande vantaggio di non emettere fumi
inquinanti e soprattutto anidride carbonica, il grande responsabile dell’aumento
dell’effetto serra e dei conseguenti cambiamenti climatici, e quindi per
supplire alla domanda energetica a livello mondiale, del resto in continuo
aumento, si dice, non se ne può fare a meno. E questo fa dimenticare i
problemi dei costi, della scarsità della materia prima e delle scorie che
durano un tempo difficilmente immaginabile, oltre che dei tempi di
realizzazione che potrebbero essere non sufficienti a frenare il meccanismo
già in atto dello sconvolgimento del clima globale.
Ma fanno dimenticare soprattutto che ci sono a portata di mano tecnologie
ben meno costose (se non altro in termini di carburanti), assolutamente meno
impattanti e che analogamente al nucleare non producono emissioni inquinanti
né gas climalteranti, come il vento e il sole.
Sarà perché con il vento e con il sole non si costruiscono bombe?
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