[Redditolavoro] OPERAI TOYOTA GIAPPONE OGGI

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Fri Dec 21 23:49:02 CET 2007



OPERAI TOYOTA GIAPPONE; GLI STRAORDINARI SUPERANO IL NORMALE...
da falce @ 2007-12-21 - 22:35:28


La storia di Kenichi, ammazzato dalla fatica alla Toyota

Il modello giapponese si fonda sul supersfruttamento dei dipendenti: gli straordinari superano l'orario normale. E le morti aumentano (Pio D'Emilia)

Tokyo. Venerdì 30 novembre, aula 52 del Tribunale Distrettuale di Nagoya, provincia di.... Toyota. Hiroko Uchino, 31 anni, impiegata, scoppia in lacrime. Ci sono voluti 5 anni per avere giustizia, molti altri, probabilmente, per avere i soldi. Ma ne è valsa la pena. «Sono sicura che Kenichi è da qualche parte, qui, vicino a noi. E che finalmente riuscirà a riposare in pace». Kenichi era il marito di Hiroko. Operaio alla Toyota, aveva appena 30 anni quando è stramazzato al suolo, nel capannone della fabbrica di Tsutsumi, ucciso dagli straordinari. Il suo cartellino, negli ultimi tre mesi, ne aveva registrato una media di 140 ore.

Ma a queste, pagate, bisogna aggiungere quelle prestate a titolo gratuito, che in giapponese si chiamano «sabisu zangyo»: lavoro prestato per «spirito di gruppo». A volte gli straordinari superano l'orario di lavoro pattuito contrattualmente. Un fenomeno che il governo giapponese, avendo recepito gran parte della normativa internazionale, ufficialmente combatte. Ma alla Toyota, dove si sentono da sempre primi della classe, se ne fregano, e continuano a imporre ai dipendenti ritmi da lavori forzati. Fino a farli morire di infarto a 30 anni, come è successo a Kenichi. Il tribunale, e non succede spesso, ha dato ragione alla vedova: c'è nesso causale tra la morte di Kenichi ed il fatto che lavorava 16 ore di lavoro al giorno.

«Non è cambiato nulla - spiega al manifesto Satoshi Kamata, giornalista e scrittore, autore negli anni '70 di «La fabbrica della disperazione: come fa la Toyota a sorpassare la concorrenza» - alla Toyota tutto è rimasto uguale: ritmi forsennati, pressioni e ricatti, ingerenza nella vita privata. Gli operai prima di sposarsi debbono sottoporre ai superiori il curriculum del coniuge, e aspettare una sorta di nulla osta». Kamata, che per scrivere il libro si fece assumere per sei mesi come stagionale sotto falso nome, è tra i pochi giornalisti che ha seguito il caso Uchino, dedicandogli un saggio da qualche giorno in libreria. «In Giappone per fortuna si pubblicano molti libri, alla gente piace leggere. Altrimenti staremmo freschi: la stampa è legata alla pubblicità e non c'è possibilità di scrivere contro una società come la Toyota, che spende centinaia di milioni ogni anno. Per fortuna ora c'è internet, più difficile da tenere sotto controllo, anche se molti ci provano, con ogni mezzo».

Sarà per questo che in Giappone c'è il più alto numero di blog al mondo. Banda larga diffusa dappertutto, senso di sfiducia nei confronti della società e delle istituzioni, senza poter tradurre sofferenza e insoddisfazione in mobilitazione di massa. Non resta che il computer, per farsi sentire. O il suicidio, più o meno volontario.

«Negli ultimi tempi Kenichi era stravolto, aveva sempre mal di testa ed era diventato scontroso - scrive Hiroko nel suo blog - gli dicevo di riposarsi, di rifiutare gli straordinari, di darsi malato e prendere le ferie. Ma lui niente. Diceva che era un dovere, che lo facevano tutti, se si fosse rifiutato non avrebbe fatto carriera rischiando il trasferimento o, peggio, il licenziamento». «Proprio così - spiega Tadao Wakatsuki, capo di un nuovo, piccolo sindacato fondato all'indomani della morte di Uchino - le condizioni di lavoro, invece che migliorare peggiorano. Alla Toyota, mica in una miniera di carbone cinese».

Wakatsuki, che dopo essere andato regolarmente in pensione a 65 anni è stato immediatamente riassunto come lavoratore part time, continuando a fare lo stesso lavoro ma guadagnando un terzo del salario, sostiene che la morte da superlavoro, fenomeno in preoccupante aumento, in realtà non è che una forma subdola di suicidio. «La gente è disperata, oramai un reddito non basta più per campare e trovare un impiego fisso è sempre più difficile. Pur mantenere il posto la gente è disposta a tutto: anche a scavarsi la fossa con le proprie mani». Viene voglia di chiedere lumi alla Toyota. Ma sia l'ufficio stampa che i dirigenti della fabbrica di Tsutsumi declinano ogni commento. Ma non perdono l'occasione per invitarti all'ultima passerella dei loro robot. Non solo quelli che oramai hanno sostituito gli operai alla catena di montaggio - senza peraltro alleviare più di tanto il carico di lavoro - ma anche quelli, meraviglia delle meraviglie, che sanno prendere a calci un pallone, apparecchiare la tavola e persino suonare il violino. Piccole grandi sodddisfazioni, che una società che ha realizzato 3 mila miliardi di yen di profitto può sicuramente permettersi.

In Giappone, si muore ancora sul lavoro. Il 2006 ha segnato l'ennesimo aumento dei casi «accertati» (quelli cioè dove l'ufficio del lavoro ha riconosciuto il famoso «nesso causale» tra la morte e il tipo/durata di lavoro svolto), con oltre 400 casi. Nel 2005 erano la metà. «E' un fenomeno in aumento, anche se il governo stia facendo di tutto per estirparlo», spiega Tsutomu Inaga, giovane funzionario del ministero del lavoro. Poi però ammette anche lui di lavorare troppo: questo mese ha accumulato 91 ore di straordinari, che, essendo lui un dirigente, non gli verranno mai pagate. «Lo fanno tutti, qui da noi, anche nel settore pubblico, fino a 100 ore al mese. Ma almeno a chi non è dirigente le pagano».

(il manifesto, 20.12.07)
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