[Redditolavoro] NEL NOSTRO LAVORO, PRIMA O POI,
CAPITA A TUTTI QUELLA BRUTTA
clochard
spartacok at alice.it
Sat Dec 15 19:07:32 CET 2007
Da altra lista:
“NEL NOSTRO LAVORO, PRIMA O POI, CAPITA A TUTTI QUELLA BRUTTA. NON TI
PREOCCUPARE CHE QUASI TUTTI ARRIVANO ALLA PENSIONE………AL LIMITE CON QUALCHE
PEZZO IN MENO.”
Questa frase sibillina mi venne pronunciata da un collega anziano ad un
passo (un anno, il tempo di formarmi) dalla pensione.
Lui ci arrivava senza pezzi mancanti ma “solo” con due o tre vertebre fuori
posto e non so quanti infortuni con l’alta, bassa e media tensione. Un
ottimo elettricista, Luciano, col tempo imprestato alle riparazioni
elettromeccaniche che lo avevano fatto divenire, nella ditta dove avevo
iniziato a prestare servizio, un semidio della ricerca guasti.
Strano lavoro quello al quale mi stava iniziando; i manutentori sono una
categoria di mezzo nelle unità produttive:
Sono fuori dal ciclo produttivo vero e proprio
- Sono indispensabili, spesso insostituibili, anche spendendo l’ira di Dio,
con ditte di riparazione esterne
- Costano un po’ di più di un operaio normale
- Hanno un basso livello conflittuale perché convinti di essere dei
privilegiati
- Schiattano come mosche ma sono facilmente ricollocabili a qualsiasi età
nel mercato del lavoro
- Sono la categoria di lavoratori dove è più evidente la proporzionalità
indiretta tra il numero di infortuni e il numero di ore spese in formazione
del lavoratore.
Mi piacerebbe dirvi che io non ero cascato nel tranello del “sono un tecnico
mica un operaio” ma invece non è così. Il meccanismo funziona e il fatto di
essere fuori dalla frastornante produzione e quindi da capireparto col fiato
sul collo, il fatto di lavorare in “relativa autonomia organizzativa” e la
soddisfazione di vedere chiuso il tuo ciclo produttivo con la rimessa in
servizio della macchina ti fa dimenticare che al posto di uno hai il fiato
sul collo di tutti i capireparto dei reparti che servi, che rischi dieci
volte di più del lavoratore che fa il lavoro di produzione più pericoloso
della tua unità produttiva e che non è il misero (spesso) superminimo a
farti guadagnare di più ma la caterva di ore di straordinario che fai senza
neanche chiederti il perché.
In fabbriche dove ho lavorato ho conosciuto colleghi addetti alla
manutenzione di reparti automatizzati a ciclo continuo che si svegliavano la
notte e si vestivano per andare al lavoro convinti di aver ricevuto una
telefonata mentre stavano in ferie al mare con la famiglia.
Intendiamoci, non siamo una categoria di coglioni, di crumiri si, nella
maggior parte dei casi, ma non di coglioni; la coscienza del rischio che
corri non tarda ad arrivare e se non ci arrivi da solo ci pensano gli
infortuni a farti realizzare che morire per il lavoro è una volata.
La cosa che non passa è la coscienza di lotta collettiva per condizioni di
lavoro meno pericolose (non dico affatto pericolose perché 10 anni di
fabbrica hanno consolidato in me l’idea che ci sono lavori intrinsecamente
pericolosi e che in alcuni casi parlare di totale abbattimento del rischio
è solo una buffonata), la cosa più semplice e immediata è farsi monetizzare
il rischio….e l’azienda non vede l’ora che il lavoratore chieda soldi al
posto di adeguamenti strutturali molto più costosi. Anche il più moderno
impianto automatizzato, se non adeguatamente mantenuto, nell’arco di pochi
mesi già inizia a presentare difettosità, adeguamenti più o meno strutturali
per velocizzarne la produzione e bypass delle emergenze per lavori di
riparazione volanti a “basso impatto di produzione” (tradotta in soldoni la
cosa vuol dire che tu, pur di mettere in funzione la macchina il prima
possibile per non perdere produzione, metti una toppa che poi rischia di
divenire definitiva almeno fino alla successiva rottura della macchina) .
Sarebbe il caso di iniziare a parlare di regole di ingaggio per il lavoro in
fabbrica soprattutto per certi tipi di lavoro.
Il meccanismo che porta all’infortunio è estremamente semplice e lo ho
trovato descritto più volte in documenti sia di compagni che di
giuslavoristi; ritmi eccessivi, stanchezza dovuta agli straordinari,
mancanza di misure di sicurezza e, anche, complicità dei lavoratori che si
autotrasformano in cottimisti bypassando essi stessi, con la complicità
vigile dell’azienda, i dispositivi di sicurezza per andare più veloci e
produrre di più. Soprattutto l’ultimo punto merita una spiegazione
convincente perché, così come lo ho scritto, sembra quasi un tentato
suicidio cosciente e collettivo dei lavoratori; non è così.
I ritmi elevati così come il ricorso sistematico agli straordinari che,
nella quasi totalità delle aziende private italiche, avviene al di fuori di
qualunque contrattazione con la r.s.u. è giustificato dalla fame incessante
di profitto delle aziende, il darsi la zappa sui piedi da parte dei
lavoratori introducendo nel lavoro rischi aggiuntivi per produrre di più
senza neanche una remunerazione aggiuntiva non sembra essere giustificato da
nulla.
Debole risulta anche motivare il tutto con lo stato di ricatto cui sono
soggetti i giovani lavoratori, quasi sempre precari, perché il fenomeno è
ugualmente presente anche tra quelli più tutelati.
A mio giudizio lo stato schifoso di assoggettamento culturale e contrattuale
cui sono ridotti i lavoratori del privato è la chiave di volta di tutto; i
lavoratori, nella stragrande maggioranza, sono convinti dell’ineluttabilità
di questo stato di cose e hanno iniziato da tempo a trattare direttamente
con l’azienda il loro sfruttamento manco a dirlo a condizioni di ribasso.
Questo fenomeno si evidenzia nel comportamento soggettivo della maggior
parte dei lavoratori che da una parte maledicono l’azienda e dall’altra
fanno di tutto per mettersi in buona luce con la stessa in cambio, nella
maggior parte dei casi, della certezza di essere sfruttati il più a lungo
possibile.
Con il tempo si impara a riconoscere quanta impotenza si nasconde dietro gli
infuocati discorsi fatti nelle pause pasto tutti mirati ad aumento dei
salari e miglioramenti del posto di lavoro. Sembra quasi che una cappa di
rassegnazione e qualunquismo sia calata in maniera definitiva nelle piccole
unità produttive del centro e sud Italia (parlo di quelle che conosco). A
questa umanità noi sinistra rivoluzionaria non siamo attualmente in grado di
dare alcuna risposta e le cose continueranno a peggiorare se non ci
reinventiamo un linguaggio comprensibile che porti a soluzioni credibili e
vincenti sia sul piano meramente vertenziale che su quello politico.
Sicuramente serve formare quadri che stiano nelle situazioni di conflitto ma
sarebbe opportuno anche non lasciarli soli, o meglio, in compagnia di una
decina di sigle sindacali o politiche per lo più sconosciute e non in grado
di aiutare il lavoratore nelle più banali controversie con l’azienda. La
piccola media azienda ha schemi comportamentali molto semplici e diretti con
rapporti causa effetto immediati per non parlare dei grossi gruppi che in
certe situazioni si comportano peggio del più sgarrupato terzista. Loro il
tentato e riuscito sfruttamento lo esplicitano senza tanti giri di parole ed
è comprensibile quanto apparentemente ineluttabile. Perché non riusciamo ad
avere un rapporto antagonista con il padrone altrettanto visibile e
qualificabile?
Paolo Bernardini
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