[Internazionale] il denaro e' diventato obsoleto ?

cybergodz cybergodz at ecn.org
Thu Nov 17 12:55:08 CET 2011


Vi giro un articolo di Anselm Jappe sul denaro.
Ai posteri...

(consiglio una lettura attenta - il che non significa accettazione 
acritica, ovviamente)

***
http://www.sinistrainrete.info/cultura/1695-anselm-jappe-il-denaro-e-diventato-obsoleto.html

Il denaro è diventato obsoleto?
Anselm Jappe

I media e le istanze ufficiali ci stanno preparando: molto presto si 
scatenerà una nuova crisi finanziaria mondiale e sarà peggiore che nel 
2008. Si parla apertamente di «catastrofi» e «disastri». Ma che cosa 
accadrà dopo? Come saranno le nostre vite dopo un crollo su vasta scala 
delle banche e delle finanze pubbliche? L’Argentina ci è già passata nel 
2001. A prezzo di un impoverimento di massa, l’economia di questo paese 
ha potuto successivamente risalire un po’ la china: ma in quel caso, non 
si trattava che di un solo paese. Attualmente, tutte le finanze europee 
e nord-americane rischiano di sprofondare insieme, senza alcun salvatore 
possibile.

In quale momento il crack delle borse non sarà più una notizia appresa 
dai media, ma un evento di cui ci si accorgerà uscendo per strada? 
Risposta: quando il denaro perderà la sua funzione abituale. Sia 
rarefacendosi (deflazione), sia circolando in quantità enormi ma 
svalutate (inflazione). In entrambi i casi, la circolazione delle merci 
e dei servizi rallenterà fino a potersi arrestare totalmente: i loro 
possessori non troveranno più chi potrà pagarli in denaro, in denaro 
«valido» che gli permetta, a sua volta, di acquistare altre merci e 
servizi. Essi terranno quindi per sé quei servizi e quelle merci. Ci 
saranno magazzini pieni, ma senza clienti; fabbriche in grado di 
funzionare perfettamente, ma senza nessuno che ci lavori; scuole in cui 
i professori non si presenteranno più, perché privi di salario da mesi. 
Allora ci si renderà conto di una verità che era talmente evidente da 
non essere più vista: non esiste alcuna crisi nella stessa produzione. 
La produttività aumenta continuamente in tutti i settori. Le superfici 
coltivabili della terra potrebbero nutrire tutta la popolazione del 
globo e allo stesso modo le officine e le fabbriche producono molto più 
di quanto sia necessario, desiderabile e sostenibile. Le miserie del 
mondo non sono dovute, come durante il Medio Evo, a catastrofi naturali, 
ma ad una specie di incantesimo che separa gli uomini dai loro prodotti.

Quello che non funziona più è l’«interfaccia» che si pone tra gli uomini 
e ciò che producono: il denaro. Nella modernità, il denaro è diventato 
il «mediatore universale» (Marx). La crisi ci mette di fronte al 
paradosso fondativo della società capitalista: in quest’ultima la 
produzione di beni e servizi non è un fine, ma soltanto un mezzo. Il 
solo fine è la moltiplicazione del denaro, è investire un euro per 
riscuoterne due. E quando questo meccanismo va in panne, è l’intera 
produzione «reale» che soffre e che può anche bloccarsi completamente. 
Allora, come il Tantalo del mito greco ci troviamo di fronte a ricchezze 
che si ritraggono proprio quando ci vogliamo mettere sopra le mani: 
perché non possiamo pagarle. Questa rinuncia forzata è sempre stata la 
sorte del povero. Ma ora, situazione inedita, questa sorte potrebbe 
toccare all’intera società, o quasi. L’ultima parola del mercato è 
allora di lasciarci morire di fame in mezzo ad alimenti stipati ovunque 
e che marciscono, ma che nessuno deve toccare.

Ciononostante, quelli che disprezzano il capitalismo finanziario ci 
assicurano che la finanza, il credito e le borse non sono altro che 
escrescenze su un corpo economicamente sano. Una volta scoppiata la 
bolla, avremo turbolenze e fallimenti, ma tutto ciò alla fine non sarà 
che un salutare salasso, e in seguito si ricomincerà con un’economia 
reale più solida. Davvero? Oggi, noi otteniamo pressochè tutto pagando. 
Almeno quella maggioranza della popolazione che vive in città non 
sarebbe in grado di nutrirsi da sé, né di riscaldarsi, né di 
illuminarsi, né di curarsi, né di spostarsi. Nemmeno per tre giorni.Se 
il supermercato, la compagnia di elettricità, il distributore e 
l’ospedale non accettano che denaro «buono» (per esempio una moneta 
estera forte, e non i biglietti stampati dalla propria banca nazionale e 
totalmente svalutati), e se non ce n’è più molto, arriveremo rapidamente 
alla miseria. Se siamo aabbastanza numerosi, e pronti per l’ 
«insurrezione», possiamo ancora prendere d’assalto il supermercato, o 
collegarci direttamente alla rete elettrica. Ma quando il supermercato 
non sarà più approvvigionato e la centrale elettrica si bloccherà perché 
non potrà pagare i suoi lavoratori e i suoi fornitori, che fare? Si 
potrebbero organizzare il baratto, nuove forme di solidarietà, scambi 
diretti: sarebbe anche una bella occasione per rinnovare il «legame 
sociale». Ma chi può credere che ci si arriverà nel giro di poco tempo e 
a una larga scala, in mezzo al caos e ai saccheggi? Si andrà in 
campagna, dicono alcuni, per appropriarsi direttamente delle risorse 
primarie.

Peccato che la Comunità europea abbia pagato per decenni i contadini per 
tagliare i loro alberi, sradicare le loro vigne, e abbattere il loro 
bestiame… Dopo il crollo dei paesi dell’Est, milioni di persone sono 
sopravissute grazie a parenti che vivono in campagna e nei piccoli 
campi. Chi potrà dire altrettanto per Francia o Germania?

Non è certo che si arriverà a simili estremi. Ma anche un crollo 
parziale del sistema finanziario ci metterà di fronte alle conseguenze 
del fatto che ci siamo consegnati, piedi e mani legate, al denaro, 
affidandogli il compito esclusivo di assicurare il funzionamento della 
società. Il denaro è esistito fin dall’alba della storia, ci si assicura 
: ma nelle sociètà precapitaliste non giocava che un ruolo marginale. 
Solo negli ultimi decenni siamo arrivati al punto che quasi tutte le 
manifestazioni della vita passano per il denaro e che questo si è 
infiltrato negli angoli più reconditi dell’esistenza individuale e 
collettiva. Senza il denaro che fa circolare le cose, noi siamo come un 
corpo senza sangue.

Ma il denaro è «reale» solo quando è espressione di un lavoro veramente 
eseguito e del valore in cui questo lavoro si rappresenta. Il resto del 
denaro non è che una finzione che si basa sulla sola fiducia reciproca 
degli attori – una fiducia che può svanire, come si vede attualmente. 
Assistiamo a un fenomeno non previsto dalla scienza economica: non alla 
crisi di una moneta, e dell’economia che questa rappresenta, a vantaggio 
di un’altra, più forte. L’euro, il dollaro e lo yen sono tutti in crisi, 
e i rari paesi ancora contrassegnati con AAA dalle agenzie di rating non 
potranno salvare da soli l’economia mondiale. Nessuna delle ricette 
economiche proposte funziona, da nessuna parte. Il libero mercato 
funziona tanto poco quanto lo Stato, l’austerità quanto il rilancio, il 
keynesismo quanto il monetarismo. Il problema va posto ad un livello più 
profondo. Assistiamo a una svalutazione del denaro in quanto tale, a una 
perdita del suo ruolo, alla sua obsolescenza. Ma non attraverso una 
decisione consapevole di una umanità finalmente stanca di quello che già 
Sofocle chiamava «la più funesta invenzione degli uomini», bensì per 
effetto di un processo non padroneggiato, caotico ed estremamente 
pericoloso. É come se si togliesse la sedia a rotelle a qualcuno dopo 
avergli impedito per lungo tempo l’uso naturale delle sue gambe. Il 
denaro è il nostro feticcio: un dio che noi stessi abbiamo creato, ma 
dal quale crediamo di dipendere e al quale siamo pronti a sacrificare 
tutto pur di placare le sue ire.

Che fare? I venditori di ricette alternative non mancano: economia 
sociale e solidale, sistemi di scambio locale, demurrage,[1] aiuto 
reciproco… Nel migliore dei casi tutto ciò potrebbe valere per piccole 
nicchie, ma anche questo solo finchè intorno il resto funziona ancora. 
Ad ogni modo, una cosa è sicura: non basta «indignarsi» di fronte agli 
«eccessi» della finanza o all’ «avidità» dei banchieri. Anche se questa 
è ben reale, non è la causa, ma la conseguenza dell’esaurirsi della 
dinamica capitalista. La sostituzione del lavoro vivo – la sola fonte 
del valore, il quale, sotto forma di denaro, è l’unico fine della 
produzione capitalista – con tecnologie – che non creano valore – ha 
quasi finito per prosciugare la fonte della produzione di valore. 
Sviluppando le tecnologie, sotto la pressione della concorrenza, alla 
lunga il capitalismo ha segato il ramo su cui stava seduto. Questo 
processo, che fa parte della sua logica di base fin dall’inizio, ha 
oltrepassato una soglia critica negli ultimi decenni. La non-redditività 
dell’impiego di capitale ha potuto essere occultata solo con un ricorso 
sempre più massiccio al credito, che è un consumo anticipato dei 
guadagni sperati per il futuro. Ora, anche questo prolungamento 
artificiale della vita del capitale sembra aver esaurito tutte le sue 
risorse.

Si può dunque porre la necessità – ma anche constatare la possibilità, 
la chance – di uscire dal sistema fondato sul valore e il lavoro 
astratto, sul denaro e la merce, sul capitale e il salario. Ma un simile 
salto nell’ignoto fa paura, anche a quelli che non smettono mai di 
fustigare i crimini dei «capitalisti». Per il momento, ciò che prevale è 
piuttosto la caccia al cattivo speculatore. Anche se non si può che 
condividere l’indignazione di fronte ai profitti delle banche, bisogna 
dire che essa resta ben al di qua di una critica del capitalismo inteso 
come sistema. Non è affatto stupefacente che Obama e George Soros dicano 
di comprendere l’indignazione. La verità è ben più tragica: se le banche 
sprofondano, se falliscono a catena, se cessano di distribuire denaro, 
noi tutti rischiamo di sprofondare con loro, perché da molto tempo ci è 
stata sottratta la possibilità di vivere altrimenti che spendendo del 
denaro. Sarebbe bene riapprenderla – ma chissà a quale «prezzo» questo 
avverrà!

Nessuno può dire onestamente di sapere come organizzare la vita di 
decine di milioni di persone quando il denaro avrà perduto la sua 
funzione. Almeno, però, sarebbe bene ammettere il problema. Forse 
bisogna prepararsi al «dopo-denaro» come al dopo-petrolio.

Traduzione a cura di Alessandro Simoncini


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