[Internazionale] In ricordo di Hrant Dink, colomba pacifista
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Wed Jan 20 02:58:55 CET 2010
SERVIZIO A CURA DELLA ASSOCIAZIONE NAZIONALE AZAD
ROMA 20 GENNAIO 2010
REDAZIONE JURI CARLUCCI
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UE: BCE-COMMISSIONE, 2,6 MLN PER PROGRAMMA BALCANI E TURCHIA
(ANSAmed) - BRUXELLES, 19 GEN - La Banca centrale europea (Bce) e la
Commissione europea hanno siglato un accordo per realizzare un programma di
assistenza tecnica ai Paesi candidati all'Ue e potenziali candidati, cioe'
Balcani occidentali e Turchia. Nell'ambito dell'iniziativa, della durata di due
anni e con un finanziamento di 2,65 milioni di euro, la Bce e le banche
centrali di Eurolandia forniranno assistenza tecnica alle banche centrali e
alle autorita' di controllo di Croazia, Macedonia, Albania, Bosnia Erzegovina,
Montenegro, Turchia, Serbia e Kosovo. Nel 2010 saranno organizzate iniziative
di formazione intensiva per circa 150 controllori dalle istituzioni
beneficiarie. Entro la fine dell'anno, la Bce sosterra' l'adozione di misure
specifiche a livello nazionale e nel 2011 realizzera' alcune simulazioni
tecniche regionali. ''La stabilita' dei sistemi bancari nei Paesi interessati -
ha detto Olli Rehn, commissario per l'Allargamento - e' di grande importanza
per raggiungere una crescita economia sostenibile''. Attraverso il nuovo
programma ''sosteniamo gli sforzi dei Paesi a mantenersi sulla strade
dell'integrazione europea durante la crisi economica''.(ANSAmed) Y62
19/01/2010 16:31
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il sole 24 ore
Strategie
L'Italia in Turchia: meno scambi ma più investimenti
Il nostro Paese è in controtendenza per l'afflusso di capitali esteri ad
Ankara: +4,6% rispetto al -60% complessivo nel 2009
I rapporti economici tra Italia e Turchia mostrano due tendenze
apparentemente contrastanti secondo gli ultimi dati dell'Ice. Da una parte, gli
scambi commerciali tra i due paesi sono calati del 31% (cifre aggiornate allo
scorso novembre); dall'altra, gli investimenti diretti italiani in Turchia sono
cresciuti del 4,6% rispetto allo stesso periodo del 2008.
Questo è un segnale di vitalità per le nostre imprese; tanto più se si
considera che gli investimenti diretti esteri sono crollati complessivamente di
quasi il 60% nel 2009 in confronto all'anno precedente, scendendo a quota sette
miliardi di dollari. L'Italia figura al quinto posto della graduatoria con
oltre 250 milioni di dollari, dietro Gran Bretagna e Germania che hanno
registrato entrambe cali vertiginosi superiori al 70 per cento.
Il nostro Paese è inoltre il quarto partner commerciale della Turchia con
scambi pari a circa 12 miliardi di dollari, con un saldo attivo tra
esportazioni ed importazioni di un miliardo e mezzo. L'Italia è il quinto
fornitore della Turchia con una quota di mercato superiore al 5% dietro Russia,
Germania, Cina e Stati Uniti; è anche il terzo mercato di sbocco per i prodotti
turchi, anche se buona parte di questi sono fabbricati per conto di aziende
italiane.
Non solo export
Il calo del 30% negli scambi commerciali è certamente un effetto della
recessione mondiale e delle difficoltà congiunturali nell'economia turca. Basti
ricordare che il Pil è diminuito dell'8,4% nei primi nove mesi del 2009 e che
sia l'export sia l'import hanno accusato perdite superiori al 30% rispetto
all'anno precedente. L'aumento degli investimenti diretti italiani, tuttavia,
certifica il ruolo strategico della Turchia. Ankara è non solo un mercato
importantissimo per l'export nazionale, ma offre anche ricche opportunità per
investimenti a lungo termine, collaborazioni e alleanze sempre più strette tra
le aziende dei due paesi. Le difficoltà momentanee della crisi non hanno quindi
frenato l'interesse degli imprenditori italiani verso il paese guidato da
Erdogan.
Le privatizzazioni
Un altro stimolo per i capitali esteri potrebbe arrivare nel 2010 dalle
privatizzazioni. Queste hanno già garantito un flusso di oltre 22 miliardi di
dollari negli ultimi cinque anni. I numeri del 2009 sono lontani da quelli del
2008 (una caduta del 65% da sei miliardi a 2,2, ma le entrate potenziali del
2010 sono di almeno dieci miliardi di dollari. Il Governo, infatti, intende
privatizzare i due ponti d'Istanbul, tratte autostradali, porti e
zuccherifici.
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LA STAMPA
Osce a Turchia: legge su Internet troppo dura
VIENNA
Il rappresentante per la libertà di stampa dell’Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), l’ungherese Miklos Haraszti, ha
chiesto alle autorità della Turchia di «riformare o abolire» la legge su
Internet.
«Nella sua forma attuale, la legge 5651, conosciuta come legge turca su
Internet, limita non solo la libertà d’espressione ma in più restringe
gravemente il diritto dei cittadini all’accesso alle informazioni», ha
affermato Haraszti in un comunicato diffuso a Vienna, dove ha sede l’Osce.
Secondo un rapporto sulla limitazione dell’accesso a Internet in Turchia,
stilato dall’esperto internazionale Yaman Akdeniz per conto di Haraszti, «3.700
siti internet sono attualmente bloccati in Turchia, tra cui YouTube, GeoCities
e dei siti di Google». Il rapporto precisa che la legge non è stata approvata
in risposta «a siti pericolosi, come quelli che diffondono foto di pornografia
infantile».
Invece, la norma «bloccando l’accesso a dei siti nella totalità dei loro
contenuti in Turchia, impedisce l’accesso a numerose pagine di comunicazione e
socializzazione», spiega Haraszti.
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TERRA
Hrant Dink, colomba pacifista
Annalena Di Giovanni
ANNIVERSARIO.
Tre anni fa veniva ucciso il giornalista armeno e cittadino di Ankara,
fondatore della testata bilingue “Agos”. In una Turchia sempre più violenta e
nazionalista, aveva scelto di lottare per i diritti politici e culturali di
tutte le minoranze.
Quel giorno, mentre usciva dalla redazione del suo giornale, Agos, Hrant Dink
credeva ancora che in Turchia nessuno avrebbe ucciso una colomba. Era il 19
gennaio del 2007, tre anni fa, Istanbul. Lui, giornalista armeno e cittadino
turco, aveva appena scritto di avere paura. «Ricevo minacce ogni giorno. Come
le colombe - raccontava - anch’io non faccio che guardare alla mia destra e
alla mia sinistra, davanti a me e alle mie spalle. Ma so anche che, in questo
Paese, la gente non spara alle colombe». Poco dopo Hrant Dink, l’animatore più
radicale e aperto al dialogo fra turchi e armeni, veniva freddato da un ragazzo
venuto apposta da Trabzon, poco dopo identificato come Ogun Samast. Oltre alla
moglie e ai figli, e a una famiglia allargata di ragazzi cresciuti intorno alla
sua scrivania discutendo idee e punti di vista, Hrant Dink si lasciava dietro
un’eredità difficile da conservare: il giornale da lui fondato, Agos, in doppia
lingua, turco e armeno.
Dink non si era mai stancato di adoperarsi per il confronto su temi
assolutamente proibiti in Turchia, come il nazionalismo, i diritti delle
minoranze, il genocidio, ma anche il controllo che la chiesa armena adoperava
sulla sua piccola comunità istanbuliota nutrendosi della paura di convivere con
i concittadini turchi. Idee maturate dopo anni di lotte fra movimenti politici
di sinistra ed esplorazione della sua identità mista, di turco e armeno, di
essere umano diviso fra una memoria dolorosa e negata quella delle persecuzioni
contro gli armeni - e la scelta di non richiudersi nel vittimismo e nel
nazionalismo di nicchia: in un Paese che permetteva l’uso di una sola lingua e
di una solo identità, quella turca, Hrant aveva scelto di lottare per i diritti
culturali di tutte le minoranze, non solo degli armeni. E, allo stesso tempo,
di adoperarsi perché le minoranze stesse si avvicinassero ai turchi. Ma Hrant
si lasciava dietro anche un’odissea giudiziaria senza sconti. Era stato
ripetutamente minacciato di detenzione, in base all’articolo 301 del codice
penale, per aver umiliato pubblicamente l’identità turca coi propri scritti.
Processi che, invece di difenderlo, alimentavano l’odio e le minacce da parte
di neofascisti e nazionalisti di ogni sorta, pronti a ucciderlo pur di metterlo
a tacere. Con l’assassinio di Dink, però, qualcosa in Turchia si è rotto per
sempre: la paura di star zitti. Il giorno dopo della sua morte, migliaia di
persone si sono riversate in strada urlando «Siamo tutti armeni». Nella Turchia
dei generali e dei colpi di stato, dove chi non sta zitto viene messo a tacere,
era la prima volta che una simile ondata di protesta si riversava in strada.
Hrant Dink, nessuno lo ha dimenticato. Ma mentre continuano i processi contro
altri giornalisti, chi rischia di farcela è proprio lui, l’assassino di Hrant
Dink, Ogun Samast, grazie allo stallo del procedimento a suo carico. E, con
lui, chi alla colomba Dink ha tolto la scorta, la solidarietà, e persino la
dignità di poter scrivere alla sua gente senza venir accusato di infamare il
proprio Paese.
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