[Internazionale] LA MANIFESTAZIONE DEL PRIMO MARZO DUEMILADIECI....

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Mon Feb 15 13:29:50 CET 2010


MI CHIEDO: MA SARA' VERAMENTE POSSIBILE IN QUESTO PAESE AVERE UNA 
PARTECIPAZIONE MASSICCIA DEI CITTADINI MIGRANTI IL PRIMO MARZO?
OSSIA: SI ANDRA' OLTRE LA RIUSCITA MANIFESTAZIONE? VI SARA' UN ALTA 
PERCENTUALE DI SCIOPERO  DEI MIGRANTI ? DOVE SONO IN QUESTO MOMENTO I REALI 
LUOGHI DI LAVORO POLITICO TRA CITTADINI ITALIANI E CITTADINI MGRANTI (OLTRE LE 
POCHE ASSEMBLEE, POCO PUBBLICIZZATE)? QUAL E'  LA PIATTAFORMA SULLA QUALE I 
MIGRANTI STANNO DISCUTENDO MENTRE DICONO "PRIMO MARZO SENZA DI NOI"? IL RUOLO 
DELLE INFATICABILI DONNE MIGRANTI E CHE RISIEDONO DA VENT'ANNI QUI (MA NON SONO 
CITTADINE ITALIANE) CHE SI OCCUPANO DEGLI ANZIANI E DEI MALATI IN ITALIA) E CHE 
LAVORANO PRATICAMENTE TUTTO IL GIORNO, IN CHE MODO SARA' DELINEATO E COME 
SARANNO PARTECIPI DEL PRIMO MARZO? COME POTRANNO I MIGRANTI SENZA FACILITA' A 
SPOSTARSI E SENZA SOLDI PER IL TRENO, PARTECIPARE ATTIVAMENTE ALLA COSTRUZIONE 
DELLE MANIFESTAZIONI ( E POI ALLE STESSE) CHE VI SARANNO IL PRIMO MARZO 
PROSSIMO? QUASI NESSUNO POI HA CERCATO LA SPONDA DEI RIFUGIATI POLITICI, E 
RICHIEDENTI ASILO (IN ITALIA SONO MIGLIAIA)... A CHI SERVE QUESTA SCADENZA DEL 
PRIMO MARZO?

SPUNTI DI DICUSSIONE

JURI CARLUCCI
ASS. NAZ.AZAD

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OGGI VI E' ANCHE L'INTERESSANTE RESOCONTO DELL'UNITA' SULLO SVILUPPO DELLA 
DISCUSSIONE PER IL PRIMO MARZO
DA PARTE DI ALCUNI ATENEI ITALIANI.

Atenei: "Lettera-appello contro il razzismo"

Noi docenti precari/e e docenti non precari/e delle università italiane 
abbiamo deciso di aderire alla giornata del primo marzo, “una giornata senza di 
noi”, presentando ai nostri studenti e alle nostre studentesse, dove possibile 
anche durante le ore di attività didattica nei giorni che precedono il primo 
marzo, dapprima la lettera dei lavoratori africani di Rosarno, riunitisi in 
assemblea a Roma alla fine di gennaio, e poi il testo che leggeremo alla fine 
della loro lettera e invitandoli/e a partecipare alle iniziative della 
giornata:

“I mandarini e le olive non cadono dal cielo" 
In data 31 gennaio 2010 ci siamo riuniti per costituire l´Assemblea dei 
lavoratori Africani di Rosarno a Roma. Siamo i lavoratori che sono stati 
obbligati a lasciare Rosarno dopo aver rivendicato i nostri diritti. Lavoravamo 
in condizioni disumane. Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né 
elettricità. Il nostro lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove 
dormivamo ogni mattina alle 6.00 per rientrarci solo la sera alle 20.00 per 25 
euro che non finivano nemmeno tutti nelle nostre tasche. A volte non riuscivamo 
nemmeno, dopo una giornata di duro lavoro, a farci pagare. Ritornavamo con le 
mani vuote e il corpo piegato dalla fatica. Eravamo, da molti anni, oggetto di 
discriminazione, sfruttamento e minacce di tutti i generi. Eravamo sfruttati di 
giorno e cacciati, di notte, dai figli dei nostri sfruttatori. Eravamo 
bastonati, minacciati, braccati come le bestie...prelevati, qualcuno è sparito 
per sempre. 

Ci hanno sparato addosso, per gioco o per l´interesse di qualcuno. Abbiamo 
continuato a lavorare. Con il tempo eravamo divenuti facili bersagli. Non ne 
potevamo più. Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti nella 
loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani. Non potevamo più 
attendere un aiuto che non sarebbe mai arrivato perché siamo invisibili, non 
esistiamo per le autorità di questo paese. Ci siamo fatti vedere, siamo scesi 
per strada per gridare la nostra esistenza. 

La gente non voleva vederci. Come può manifestare qualcuno che non esiste? Le 
autorità e le forze dell’ordine sono arrivate e ci hanno deportati dalla città 
perché non eravamo più al sicuro. Gli abitanti di Rosarno si sono messi a darci 
la caccia, a linciarci, questa volta organizzati in vere e proprie squadre di 
caccia all´uomo. 

Siamo stati rinchiusi nei centri di detenzione per immigrati. Molti di noi ci 
sono ancora, altri sono tornati in Africa, altri sono sparpagliati nelle città 
del Sud. Noi siamo a Roma. Oggi ci ritroviamo senza lavoro, senza un posto dove 
dormire, senza i nostri bagagli e con i salari ancora non pagati nelle mani dei 
nostri sfruttatori. Noi diciamo di essere degli attori della vita economica di 
questo paese, le cui autorità non vogliono né vederci né ascoltarci. I 
mandarini, le olive, le arance non cadono dal cielo. Sono delle mani che li 
raccolgono.

Eravamo riusciti a trovare un lavoro che abbiamo perduto semplicemente perché 
abbiamo domandato di essere trattati come esseri umani. Non siamo venuti in 
Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro sudore serve all´Italia 
come serve alle nostre famiglie che hanno riposto in noi molte speranze. 
Domandiamo alle autorità di questo paese di incontrarci e di ascoltare le 
nostre richieste: 

 domandiamo che il permesso di soggiorno concesso per motive umanitari agli 11 
africani feriti a Rosarno, sia accordato anche a tutti noi, vittime dello 
sfruttamento e della nostra condizione irregolare che ci ha lasciato senza 
lavoro, abbandonati e dimenticati per strada. Vogliamo che il governo di questo 
paese si assuma le sue responsabilità e ci garantisca la possibilità di 
lavorare con dignità. L´Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma” 

Dapprima in Francia, poi in Italia, in Spagna, in Grecia e in altri paesi 
europei, la giornata del primo marzo è stata proclamata “una giornata senza di 
noi” con l’intento da parte dei/delle migranti che vivono in questi paesi di 
far percepire, per un giorno, l’importanza della loro presenza economica e 
sociale sia attraverso lo sciopero sia attraverso altre forme di protesta come 
l'astensione dai consumi. Ispirata alla giornata del primo maggio del 2006, 
quando in varie città degli Stati Uniti i/le migranti privi/e di documenti di 
soggiorno erano riusciti/e a bloccare la vita economica e sociale di quelle 
città attraverso una massiccia astensione dal lavoro e fluviali manifestazioni 
in cui ricordavano a tutti che “We are America”, questa giornata ci sembra di 
particolare importanza anche per iniziare una necessaria riflessione sulle 
forme della nostra esistenza comune di cittadini/e e non cittadini/e, migranti 
e non. 

Per questo, abbiamo deciso di assumere come parte del nostro testo quello 
sottoscritto da alcuni lavoratori africani di Rosarno. Riteniamo, infatti, che 
quanto accaduto a Rosarno nei primi giorni di gennaio – le intimidazioni e le 
violenze sui migranti, la rivolta dei lavoratori africani, la “caccia al nero” 
dei giorni successivi, il coinvolgimento di alcune parti della mafia nella 
“gestione dell’ordine pubblico”, il trasferimento d’urgenza di tutti i 
lavoratori africani, la loro detenzione nei centri di identificazione ed 
espulsione e la minaccia di espulsione per quelli privi di permesso di 
soggiorno – sia il precipitato, soltanto più visibile, delle scelte politiche 
con cui negli ultimi anni i governi che si sono succeduti hanno affrontato e 
voluto gestire il fenomeno globale delle migrazioni. Il risultato, 
innanzitutto, di una volontà di generale clandestinizzazione della presenza 
dei/lle migranti e dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che ha permesso, 
non solo a Rosarno, ma nel Sud come nel Nord del paese, tra i campi di agrumi e 
le serre così come nelle fabbriche e le piccole imprese, o nelle famiglie, 
forme di assoluto sfruttamento della forza lavoro possibili grazie a un’
illegalità diffusa del mercato del lavoro generata proprio dalle leggi che 
normano l’immigrazione. 

Ricordiamo di seguito alcuni dei provvedimenti e dei fatti che stanno alla 
base di quanto accaduto a Rosarno così come di quanto accade quotidianamente 
nel resto d’Italia: l’istituzione dei centri di detenzione nel lontano 1998, 
con cui si apriva il capitolo del doppio binario giuridico, uno per i 
cittadini, un altro per i non cittadini, passibili di pene detentive in assenza 
di reato; il nesso inscindibile tra contratto di lavoro e permesso di 
soggiorno, con la legge del 2001, che spianava la strada a ogni forma di 
ricattabilità da parte dei datori di lavoro sulla forza lavoro migrante, 
compresa la ricattabilità sessuale delle lavoratrici migranti impiegate nel 
lavoro domestico; gli innumerevoli provvedimenti delle recenti norme previste 
dai pacchetti sicurezza ispirati tutti a un orizzonte di discriminazione e 
razzismo (l’aggravante di clandestinità, il reato di clandestinità, il 
prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, l’interdipendenza tra 
permesso di soggiorno e atti dello stato civile, tra cui il riconoscimento dei 
figli e il matrimonio, l’istituzione di corpi speciali privati per il 
mantenimento dell’ordine pubblico); i respingimenti verso la Libia iniziati nel 
maggio del 2009 volti a risolvere il problema degli arrivi sulle coste italiane 
con la deportazione verso i campi di concentramento della Libia finanziati 
dallo stato italiano di donne, uomini e bambini, spesso potenziali rifugiati 
provenienti dai luoghi di guerra delle ex-colonie italiane. 

La criminalizzazione dei migranti privi di permesso di soggiorno produce 
effetti a cascata su tutti/e i/le migranti che vivono in Italia, rendendo 
precaria la condizione degli/delle stessi/e migranti “regolari”, esponendoli/e 
a continue discriminazioni e alla possibilità sempre presente di ricadere nell’
“irregolarità”. “Come può manifestare qualcuno che non esiste?” si chiedono i 
lavoratori africani nella lettera che vi abbiamo letto, descrivendo prima di 
questa domanda l’esistenza quotidiana “di chi non esiste”, dalla giornata 
lavorativa alle notti prive di acqua e elettricità e costellate di episodi di 
violenza e intimidazioni. 

“Come può esistere chi non esiste” è, infatti, secondo noi, la domanda di 
fondo diventata sempre più impellente in Italia e generata da una forma 
pervasiva di razzismo istituzionale che permette e legittima forme di razzismo, 
intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai erodendo la vivibilità comune 
delle nostre città. O, meglio, come possono esistere tutti e tutte coloro che, 
pur essendo “attori della vita economica di questo paese”, con differenti 
dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita 
non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del 
permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione, 
dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di 
rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita 
affettiva concedendo ai migranti “affetti di serie b”, sino ai mesi di 
detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e all’
ultima proposta del “permesso di soggiorno a punti”)?

Aderiamo a questa giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la 
vita di tutti e di tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e 
lavoratrici, disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa 
e in altri paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, 
anziché come studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare 
i/le migranti come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, 
assunti/e con bassi salari e senza garanzie. La scandalosa difficoltà nell’
accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una 
politica delle “quote” anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo 
esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei 
confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci 
impegniamo a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università 
ai/alle migranti. 

Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo 
istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile 
costruire spazi di convivenza futuri.

Docenti precari/e e docenti non precari/e delle Università italiane 
firmatari:
Fabio Amaya (Università di Bergamo) Anna Curcio (Università di Messina) 
Umberto Galimberti (Università di Venezia) Maria Grazia Meriggi (Università di 
Bergamo) Sandro Mezzadra (Università di Bologna) Renata Pepicelli (Università 
di Bologna) Luca Queirolo Palmas (Università di Genova) Antonello Petrillo 
(Università Suor Orsola Benincasa, Napoli) Federico Rahola (Università di 
Genova) Fabio Raimondi (Università di Salerno) Maurizio Ricciardi (Università 
di Bologna) Anna Maria Rivera (Università di Bari) Gigi Roggero (Università di 
Bologna) Pier Aldo Rovatti (Università di Trieste) Devi Sacchetto (Università 
di Padova) Anna Simone (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli) Federica 
Sossi (Università di Bergamo) Alessandro Triulzi (Università di Napoli L’
Orientale) Tiziana Terranova (Università di Napoli L’Orientale) Fulvio Vassallo 
Paleologo (Università di Palermo) .

Per adesioni: www.PetitionOnline.com/march1st/petition.html
per informazioni: semir at libero.it
15 febbraio 2010

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