[Ezln-it] Intervista a Rosa Lopez, prigioniera politica del Chiapas

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Fri Jun 1 22:34:15 CEST 2012


Intervista a Rosa Lopez Diaz, prigioniera politica:
http://www.autistici.org/nodosolidale/news_det.php?l=it&id=2184


Di seguito riportiamo la versione integrale di un'intervista realizzata 
a distanza da Luisa Betti, giornalista de Il Manifesto, con Rosa Lopez 
Diaz, detenuta in Chiapas e attivista del collettivo dei prigionieri 
politici "Solidarios de la Voz del Amate".

Altre info in italiano sul caso di Rosa Lopez Diaz:
http://www.autistici.org/nodosolidale/altre_pagine.php?l=it&id=2

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Febbraio-aprile 2012

1. Rosa, tu da dove vieni? Qual è la tua provenienza, cosa fa la tua 
famiglia, mi puoi raccontare la tua vita prima del tuo arresto?

Io vengo da una famiglia umile e di scarse risorse, sono indigena di 
lingua tzotzil e ho 33 anni. A giovane età mia madre mi insegnò a fare 
le tortillas e a 5 anni già le preparavo per tutta la famiglia, andavo 
al mulino di Nixtamal (dove si tritano i chicchi di mais, ndt), bollivo 
i fagioli, pulivo la casa, lavavo le cose dei miei genitori e dei miei 
fratelli visto che io ero la maggiore di tutti e quindi li accudivo 
perchè mia madre vendeva tortillas al mercato e mio padre si dedicava a 
lavorare e a coltivare il campo per portare avanti la famiglia; così 
passarono gli anni e ai 14 mi misi a lavorare in una casa come serva 
dove facevo i lavori domestici e mi pagavano 100 pesos (circa 6 euro) al 
mese e passati alcuni anni conobbi Rafael e mi innamorai, almeno questo 
ho sentito. Non ci frequentammo per molto tempo, solo alcuni mesi, e 
decidemmo di sposarci con il consenso dei miei genitori. Passati alcuni 
mesi arrivarono le botte, i maltrattamenti, rimasi incinta della mia 
prima figlia quando avevo 17 anni e così passarono gli anni e rimasi 
nuovamente incinta alla fine ebbi 5 figli con lui. I nostri costumi e le 
nostre tradizioni ci dicono di sopportare l'uomo e tutte le umiliazioni 
fino a che uno dei due non muore. Solo così si rimane liberi, però io 
sopportai un crudele tradimento: addirittura davanti a me passava con 
l'altra donna ed io sola, facendomi coraggio, perchè non potevo 
andarmene per i miei figli e per le tradizioni fino a che un giorno mi 
disse che non servivo a nulla e che l'altra era meglio e che gli stava 
affittando una casa. Io rimasi zitta. Alla fine un giorno lui mi disse 
che andava a lavorare ed io andai al mercato e per caso li incontrai 
insieme facendo acquisti e portavano per mano una bambina, che era la 
loro figlia. Quel giorno rientrai a casa molto arrabiata e la sera 
arrivò lui e mi picchiò mentre io ero incinta e il giorno seguente se ne 
andò a lavoro, la mia vita era già un inferno. Da diversi anni lavoravo 
facendo gli orli alle camice, lavando cose fuori casa per mantenere i 
miei figli e lui ancora mi picchiava fino a che un giorno mi disse: “Me 
ne vado, ti lascio, parto per gli Stati Uniti con l'altra, ti manderò i 
soldi per i bambini”. Dentro di me dissi Grazie a Dio, solo lo guardai e 
non dissi nulla. Prese le sue cose e se ne andò. Questo successe 
all'inizio del 2004 e passarano due anni durante i quali lavorai come 
domestica, mi pagavano 800 pesos (50 euro circa, ndt) al mese e di notte 
facevo gli orli alle camicie, per andar avanti coi miei figli. Un giorno 
inaspettato conobbi Alfredo che vendeva, vestiti e accessori domestici 
al mercato. All'inizio diventammo amici, dopo alcuni mesi diventammo 
fidanzati e un anno dopo decidemmo di sposarci, alla fine del 2006, però 
prima gli raccontai la mia vita e lui mi disse che era triste ma che 
dovevo darmi un'altra possibilità e che la vita era bella soprattutto se 
condvisa e mi convinse, mi innamorai di lui mi piacque la sua buona 
forma di parlare, mi piace tutto di lui. Mi portava a lavorare con lui 
mi insegnò molti posti che non conoscevo, tutto era così bello, mai mi 
sarei immaginata di finire in carcere solo per essermi rifatta una vita 
con l'uomo che amo e noi due lottiamo per uscire presto dal carcere che 
ci ha insegnato molte cose tra le quali l'amore, il rispetto ma 
soprattutto i nostri diritti umani, che prima non conoscevamo, ora 
sappiamo che abbiamo il diritto di scegliere con chi condividere la 
nostra vita per vivere degnamente.Questa in breve è la mia storia.

2.Tu sei nel carcere di Cristobal dal 2007, mi puoi raccontare in 
maniera dettagliata di quale reato sei stata accusata? E come funziona 
la legge messicana riguardo al reato che ti è stato addossato?

Mi accusarono di un secuestro che mai si commise nè io commisi. Lo zio 
del mio ex-marito, tutti e due si chiamano Rafael, la rabbia di questo 
zio è perchè mi sono sposata con un altro uomo, cioè con  Alfredo. 
Alfredo per di più ha un cugino che si chiama Juan Collazo Jimenez che 
si innamorò di Claudia Estefani, la figlia dello zio del mio ex. Un 
giorno inaspettatamente decidono di frequentarsi Cluadia e Juan e, 
secondo i nostri costumi, scapparono e si “unirono” di nascosto dei 
genitori. Era così grande la rabbia dello zio del mio ex che ci denunciò 
per il secuestro di sua figlia di 14 anni, secondo le voci che 
ascoltarono i miei genitori. Suo zio mi fece mettere in carcere perchè 
io possa vedere che nessuno si burla della sua famiglia e di suo nipote 
e per rendermi così la vita impossibile. La cosa più triste è che questo 
delitto è punito fortemente e l'ingiustizia che si commise nei nostri 
confronti è che le autorità non hanno mai investigato se siamo o meno 
colpevoli del delitto di cui ci accusano e, per corruzione, rinchiudono 
persone innocenti come noi, che siamo 4 coinvolti nello stesso caso: 
Alfredo Lopez Jimenez Pedro Lopez Jimenez e Juan Collazo Jimenez. Noi ci 
domandiamo quante altre persone sono vittime dell'ingiustizia delle 
autorità corrotte.

3. A quanto ammonta la pena che devi scontare? E i tuoi compagni a 
quanto sono stati condannati?

A me e al mio sposo ci hanno condannato a 27 anni e 6 mesi gli altri 2 
a 37 anni.

4. Mi puoi raccontare come si sono svolti in realtà i fatti di cui la 
polizia ti accusa?

Innanzitutto il compagno che ho oggi si chiama Alfredo Lopez Jimenez e 
ha un cugino che si chiama Juan Collazo Jimenez, che si innamorò della 
figlia dello zio del mio ex marito. Non so per quanto tempo furono 
fidanzati. Comunque lui aveva già tanta rabbia nei miei confronti perché 
mi ero sposata con Alfredo per rifarmi una vita. Quindi un giorno 
all'improvviso Juan y Claudia Estefani decidono di scappare ovvero si 
“unirono” di nascosto. Lo zio del mio ex andò a fare denuncia ma, visto 
che non sapeva come si chiamava chi gli aveva rubato la figlia e per 
vendicarsi di me e del marito che ora ho, gli fu facile denunciare me e 
Alfredo e ci accusò di aver sequestrato sua figlia Claudia di 14 anni 
sapendo che quello che diceva non era certo, mentì e passo una mazzetta 
alle autorità; secondo le voci che sono arrivate alla mia famiglia 
dissero che avevano pagato 40.000 pesos per farci incarcerare, perchè io 
gli procuravo vergogna e che ho disprezzato la sua famiglia e suo 
nipote. Il triste di tutto ciò è che il delitto di cui ci accusano è 
molto pesante e oggi stiamo pagando per un delitto che il pubblico 
ministero ha inventato, anche se la montatura l'hanno fatta bene visto 
che le prove le hanno ottenute sotto tortura. Così oggi mi trovo a 
pagare un delitto che non ho mai commesso.

5. Mi puoi descrivere il momento del tuo arresto?

Mi trovavo con mio marito nel centro della città di San Cristobal 
seduti sulle panchine della piazza. Stavamo lì mangiando cocco perchè io 
avevo la nausea perchè ero incinta al 4 mese quando all'improvviso ci 
gridano di sdraiarci a terra; mio marito rimase a guardare perché non 
pensava che lo stavano dicendo a noi ma ci colpirono alle spalle, 
cademmo a terra e cominciarono a perquisirci per vedere se portavamo 
qualcosa come se fossimo dei delinquenti davvero. Mio marito chiese 
qual'era il problema e che gli mostrassero qualche mandato; quelli 
risposero: “Lo vuoi?” lui rispose di sì, allora gli puntarono una 
pistola alla testa e lui rimase zitto. Ci alzarono e ci coprirono la 
faccia con le nostre cose e ci portarono in un posto sconosciuto. 
All'arrivo fecero scendere mio marito e non so neache a quale distanza 
lo portarono l'unico che ricordo sono le sue grida che potevo sentire e 
cominciarono a domandarmi: “Dove la tenete sequestrata ed io risposi: “a 
chi?” e loro: “Non fare la stupida” e mi diedero dei cazzotti e 
tornarono a ripetere la domanda e gli risposi che non avevo sequestrato 
nessuno e per questo mi colpirono allo stomaco e io li avvisai che ero 
incinta ma loro dissero che non importava e continuarono a colprmi. Mi 
misero un pezzo di stoffa bagnata in bocca e una busta di plastica in 
testa e sentii che mi stavano asfissiando e in quei secondi sentii la 
morte. Non so per quanto tempo mi torturarono solo sentivo dolori molto 
forti e insoportabili dovuti alla gravidanza. Non potevo vedere la 
faccia di quelli che mi picchiavano perchè ero bendata e legata. Non so 
dopo quanto tempo riportarono mio marito e lo fecero risalire sul 
furgone; nuovamente il furgone si mosse e mi portarono in un altro posto 
sconosciuto. Non so per quanto tempo camminò il mezzo solo ricordo che 
mi fecero scendere e camminare attraverso un patio e all'arrivo mi 
fecero sedere vicino a dei barili vuoti, rimasi seduta 20 o 30 minuti mi 
alzarono tirandomi dai capelli e cominciarono nuovamente a colpirmi 
facendomi la stessa domanda: “Dove tenete Claudia?” e io risposi: “non 
so di cosa mi state parlando”. Mi rimisero il pezzo di stoffa bagnato in 
bocca e la busta di plastica in testa dicendomi: “quando vuoi parlare 
muovi la testa” e mi tolgono la busta dicendomi “dirai che tu e Alfredo 
avete sequestrato Claudia” e io risposi “no non dico bugie perchè non ho 
fatto niente” quindi mi dettero un calcio e caddi a terra e mi presero 
per i capelli e mi trascinarono per 2 o 3 metri, ascoltai che uno di 
loro disse di aprire la porta e lì mi chiusero e comincairono a 
molestarmi sessualmente: mi toccavano in tutte le parti del corpo e mi 
diedero due schiaffoni e mi dissero: “Stupida devi dire che avete 
sequestrato Claudia, tu e Alfredo l'avete progettato” e io risposi: 
“questo non è certo, non abbiamo sequestrato nessuno”; e continuarono 
toccandomi e mi tolsero i pantaloni e le manette e bloccandomi le mani 
mi tolsero la camicietta e mi lasciarono completamente nuda. Non so 
quanti erano, solo sentivo che uno diceva: “io sarò il primo”, e dentro 
di me pensai mi avrebbero violentato e io dissi: “Vi prego, vi supplico 
per l'amore di Dio non mi violentate dirò quello che volete” e 
risposero: “Vedi com'è facile, se l'avessi detto prima non avresti 
passato tutto ciò. Dirai che avete sequestrato Claudia chiedendo un 
riscatto di 2 milioni di pesos. L'avete progettato tu e Alfredo” e mi 
chiesero: “Sei pronta?” risposi di sì. Allora arrivò una donna, che mi 
vestì e mi rimise le manette e mi disse “cammina, stupida” e mi tirò dai 
capelli facendomi cadere la benda dagli occhi e così mi resi conto che 
stavo in una stanza con dei barili vuoti. Camminai un altro po' e mi 
fecero sedere quasi insieme a mio marito che stava in un altra stanza 
dove mi registrarono la voce dicendo quello che loro mi dicevano di dire 
e lì sì vidi le faccie degli uomini e uno di loro era grasso e con 
occhiali. Così fu come accettai di essere colpevole di un delitto che 
non ho commesso nè abbiamo commesso e mi dicharai colpevole. Non so dopo 
quanto tempo arrivarono delle persone con le macchine fotografiche a 
farmi delle foto e delle persone eleganti che mi fecero firmare dei 
fogli in bianco e uno che conteneva parole però non sapevo per cosa 
erano. Così fu come mi arrestarono.

6.Tu quando se stata arrestata eri incinta, come è stato preso in 
considerazione il fatto che eri in gravidanza?

Essendo una donna, indigena, analfabeta e povera non rispettarono i 
miei diritti umani e mi trattarono peggio che a un animale.Non hanno 
sentito niente nel cuore al colpire una donna incinta, come se loro non 
avessero avuto una madre. Fu spaventoso, terribile. A  nessuna donna 
desidero quello che ho sofferto nelle mani delle autorità corrotte che 
non meriterebbero di avere la vita, fu molto doloroso. Oggi chiedo a Dio 
forza e fermezza d'animo per andare avanti.

7. Vorrei sapere qual è stato il trattamento che hai ricevuto in 
carcere e se hai subito torture e violenze, e se sì, quali tipi di 
torture, per quanto tempo e se sei stata costretta a firmare una 
confessione contro la tua volontà.

Nel momento in cui entrai nella sezione femminile del carcere ebbi 
molta paura perchè ero terrorizzata e traumatizzata da quello che avevo 
subito, ma grazie a Dio non mi picchiarono più. Altre donne indigene 
come me mi diedero appoggio dandomi unacoperta per il freddo, caffè, 
cibo e altre cose. Loro furono vittime di ingiustizia e di 
maltrattamenti da parte di quelle autorità che si fanno chiamare 
protettori dei diritti umani.

8. Hai avuto paura di morire?

Sì, ebbi paura di morire perché mi dissero che se non mi dichiaravo 
colpevole del delitto mi avrebbero fatto salire in una macchina, portato 
in qualche terreno abbandonato e mi avrebbero amazzato. Mi dissero: “chi 
ti reclamerebbe?” fu anche questo il motivo per cui accettai di dirmi 
colpevole di un delitto che mai avvenne nè ho commesso.

9. So che il tuo bambino è nato con gravi deformazioni a causa delle 
torture che hai subito in carcere e che è morto a 4 anni. Mi puoi 
descrivere da cosa era affetto, quale era la sua vita, cosa è stato 
fatto per salvarlo?

Io e il mio sposo prendemmo la decisione di mandarlo da mia madre 
perchè lo portasse dal dottore. Già aveva 4 mesi e mia madre lo prese e 
cominciò a cercare aiuto. All'ospedale le davano l'appuntamento però 
quando andava per la visita le dicevano che non aveva nessun 
appuntamento. Allora andò in un altro ospedale pubblico e le chiesero se 
aveva pagato la visita e mia madre, con tutto il dolore nel cuore, se ne 
andò perchè non aveva i soldi per pagarla. Così passarono gli anni e mia 
madre gli dava da bere atole (bevanda a base di mais), camomilla e altri 
frullati per mantenerlo e cresceva senza alcun cenno dimovimento nel suo 
corpo e non vedeva. Era un gran dolore quello che sentiva mia madre nel 
veder mio figlio che non poteva neanche sedersi. Molte volte piansi con 
mio figlio dicendogli ti amo, sono lacrime che piangevamo assieme quando 
me lo portava al carcere. Nonostante tutto mia madre non si arrese 
cercando aiuto e li ricevettero al DIF (Sistema per lo sviluppo 
integrale della famiglia) Municipio di Teopisca Chiapas. Allora mi 
figlio aveva già 3 anni. Cominciarono delle terapie di movimento, 
stirandogli i piedi, le mani e facendogli dei massaggi però non ci 
furono risultati. Noi bussamo alle porte delle istituzioni governative 
con denunce ma non ci risposero mai. la vita di mio figlio fu quella di 
un morto in vita per tutti i suoi 4 anni e 16 giorni, fino a che non ce 
la fece più e morì davvero il giorno 26 di ottobre del 2011. È un dolore 
molto grande, insopportabile, fino ad oggi ancora non sono riuscita a 
superarlo, mi manca il suo calore, mi manca il suo viso, queste righe le 
scrivo con le lacrime agli occhi non posso rassegnarmi al fatto che non 
tornerò a vederlo mai più, però per mio figlio Leonardo e per voi andrò 
avanti fino a che non riconquisterò la libertà.

10. Hai mai pensato di a fare appello alle organizzazioni 
internazionali che si occupano di diritti umani, come Amnesty 
International o Human Rights Wach, per denunciare lo Stato Messicano e 
per far diventare il tuo un caso internazionale?

Si, perchè qui in Chiapas e in Messico non c’è giustizia. Le autorità 
che si dicono competenti si dedicano solo a ledere i diritti umani, a 
inventare delitti contro persone innocenti come oggi lo hanno fatto con 
me e per questo chiedo umilmente alle organizzazioni internazionali che 
possano intervenire nella mia situazione  visto che sono le uniche 
organizzazioni che  curano e proteggono i diritti umani, e affinchè 
nessun’altra donna sia vittima di ingiustizia.

11. Ora so che hai un altro bambino con te, Leonardo, fino a quando 
rimarrà con te? E dopo che farà?

Da quando è nato Leonardo sta con me, ormai sono già tre anni, e starà 
sino la metà del mese di luglio del 2012 e dopo andrà a vivere con i 
miei genitori e andrà a scuola come tutti gli altri bambini. Mi duole 
stare senza di lui, non vederlo crescere, non vedere i suoi primi 
disegni. E’ un grande dolore.

12. Ci sono altre donne in carcere con te che hanno bambini?

Sì, ci sono altre donne.

13. Mi puoi descrivere la situazione che vivete come donne in carcere 
con bambini piccoli: quali sono i trattamenti, dove partoriscono le 
donne in carcere, se c’è un pediatra, dei Medici, se vi forniscono 
medicine. C’è un ambiente adatto per i piccoli appena nati? Come siete 
organizzate (bagni, cibo, disposizione delle celle, ecc. per voi e i 
bambini)?

Per cominciare posso dire che è molto duro e difficile tenere un figlio 
in carcere, ci ammazziamo di lavoro sino a tarda notte o sino all’alba 
per guadagnare qualcosa e comprare pannolini, vestiti e altre cose per 
il piccolo perchè nessuno ci appoggia. Quando partoriamo adesso ci 
portano all’ospedale “Las Culturas”, mentre prima ci portavano al 
vecchio ospedale regionale della città di San Cristobal. Dopo il parto 
ci riportano al centro penitenziario, ma nel carcere non c’è pediatra, 
non ci sono medicine nè per i bambini nè per noi, e ci portano 
all’ospedale solo quando vedono che stiamo morendo. Il settore 
femnminile dove viviamo lo puliamo noi stesse una volta alla settimana, 
turnandoci. I neonati vivono con noi nella cella, non c’è un luogo 
specifico per i neonati e ogni donna cura suo figlio.

Per il resto dobbiamo aggiungere che la cella misura all’incirca 3 
metri x 4 e viviamo 6 donne, con un bagno in ogni cella e il pranzo che 
ci danno è lo stesso anche per i bambini, non ci sono cibi speciali per 
loro. Frequentemente abbiamo malattie tipo dolore di stomaco e mal di 
testa, influenza e spesso soffriamo di salmonellosi.

14. So che insieme ad altri portate avanti una lotta e che a settembre 
avete intrapreso un faticoso digiuno per rivendicare i vostri diritti, 
mi puoi descrivere: le forme di questa lotta, gli obiettivi della lotta, 
i detenuti che la portano avanti, l’appoggio che avete all’esterno (in 
Messico e fuori dal Messico), e se ci sono donne detenute, oltre te, che 
partecipano a questa lotta?

Prima di tutto ci siamo organizzati e abbiamo discusso sulle 
conseguenze che comporta un atto di resistenza e abbiamo cercato di fare 
bene le cose così come abbiamo fatto il 29 settembre 2011. Il nostro 
obiettivo è reclamare ed esigere che si rispettino i diritti umani e che 
ci restituiscano la libertà che ci è stata tolta dal mal governo. 
L’azione che abbiamo fatto il 29 settembre scorso ha avuto l’appoggio 
degli altri detenuti che hanno mostrato la loro solidarietà con acqua 
zuccherata e parole di conforto; almeno questo è quello che mi ha 
raccontato mio marito mentre nella mia area ho sentito l’appoggio 
morale, ho ricevuto parole di conforto e cibo per mio figlio Leonardo da 
parte di alcune donne che simpantizzano per la causa. Abbiamo ricevuto 
anche molto sostegno dai compagni di lotta, dalle persone comuni e dai 
mezzi di comunicazione. Siamo molto contenti e ringraziamo Dio per la 
opportunità di conoscere e sapere che tanta gente sta con noi. Nell’atto 
di resistenza del 29 settembre scorso ero l’unica donna.

15. La polizia giudiziaria ti ha fatto pressioni attraverso tuo figlio 
affinché tu interrompessi la lotta che state portando avanti, tu cosa 
hai fatto? Subisci ancora queste pressioni?

Si, ho ricevuto minacce, ma, grazie alle denuncie che abbiamo fatto e 
che hanno fatto i compagni, ciò non è più risucesso e quindi hanno poi 
rispettato la mia protesta. Oggi comunque continuano altre intimidazioni 
perchè le autorità non gradiscono che siamo organizzati. 
Indifferentemente dalle minacce che possa ricevere, continuerò a lottare 
fino a ottenere la mia libertà, o meglio le nostre libertà.

16. Quel è la situazione tua e dei tuoi compagni in questo momento e 
cosa pensate realmente di ottenere?

Oggi sto e stiamo tranquilli e contenti per l’affetto che riceviamo e 
le simpatie conquistate, compresa la tua; quello che più desideriamo 
nella vita e quello che chiedamo a Dio è ottenere la nostra libertà e 
continuare a lottare per la società, conquistando altri cuori alla 
nostra causa.

17. Tu sei donna, madre, indigena, e le tue condizioni sociali sono 
modeste: sei consapevole di essere una delle parti più esposte in questo 
sistema?

Si, perchè noi donne indigene siamo sfruttate, ignorate. Oggi sto in 
carcere per essere povera e analfabeta; grazie a Dio qui in carcere ho 
imparato un po’ a leggere e a scrivere, visto che le autorità che si 
dicono competenti inventano e imputano delitti fabbricati da loro stessi 
e non rispettono i nostri diritti umani. La forma per controllare il mal 
sistema è organizzandoci, naturalmente, l’obiettivo è farla finita con 
il mal governo, affinchè i nostri figli possano crescere in libertà e 
armonia. Io come donna ho e abbiamo il diritto di fare valere la parola 
madre.

18. Chi ti dà la forza di reagire e di continuare a lottare? E come 
pensi che si possa venire fuori da condizioni di ingiustizia così 
profonde e radicate?

Spiritualmente chiedo a Dio forza e resistenza; umanamente mi da forza 
mio figlio. Quando vedo il suo visetto innocente, mi viene una grande 
tristezza, ma dalla tristezza nasce il mio coraggio e la rabbia, grandi 
e degni come il mio dolore. Per uscire da queste quattro pareti ci vuole 
solamente pazienza, animo, perseveranza e fede. Dio è grande e 
materialmente le migliori armi che abbiamo per continuare a denunciare 
sono la verità e la giustizia.


Ti ringrazio per le domande e per lo spazio che oggi mi hai regalato, 
cioè il tuo cuore e i tuoi pensieri. Che Dio benedica a te e alla tua 
famiglia. Oggi e sempre io e i miei compagni di lotta ti mandiamo molti 
abbracci e saluti. Arrivederci!




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