[Ezln-it] Rosa, prigioniera in Chiapas, e le madri antifasciste di Roma

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Thu May 12 00:40:23 CEST 2011


 Corrispondenza fra Rosa, prigioniera in Chiapas, e le Madri 
 Antifasciste di Roma:
 http://www.autistici.org/nodosolidale/news_det.php?l=it&id=2102


 La lettera che segue è scritta da una compagna indigena di poco più di 
 vent'anni, imprigionata ingiustamente in un penitenziaro del Chiapas. 
 Come lei, moltissimi uomini e donne indigene riempiono le celle 
 sovraffollate di queste carceri. Per la maggior parte accusati di 
 delitti che non hanno commesso, vengono messi in prigione solo perché il 
 potere ha bisogno di un colpevole e gli indigeni, che spesso non parlano 
 lo spagnolo, sono le vittime più semplici di questo sistema spietato e 
 ferocemente razzista. Rosa, come moltissimi altri e altre, ha subito 
 pesanti torture al momento dell'arresto, con lo scopo di farle firmare 
 una falsa confessione. Picchiata, umiliata, sfregiata nel corpo e nella 
 mente, la testa infilata in un sacchetto di plastica, poi sott'acqua 
 fino a toglierle l'aria. Ma Rosa è una prigioniera che lotta, è una 
 donna che ora ha preso coscienza dei propri diritti e che si è 
 organizzata insieme a altri prigionieri del carcere in un collettivo 
 "Los solidarios de la Voz del Amate" per denunciare gli abusi subiti e 
 per strappare ai suoi aguzzini e carcerieri la sua preziosa libertà. 
 L'abbiamo conosciuta così e così si racconta in questa lettera. Per noi 
 è un onore lottare al suo fianco e al fianco del collettivo la Voz Del 
 Amate, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell'EZLN 
 e partecipante all'Altra Campagna in maniera attiva nelle carceri del 
 Chiapas dal 2006.

 Nodo Solidale

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 Dal carcere Numero 5 di San Cristobal de Las Casas, Chiapas, Messico

 10 aprile 2011

 Compagni e compagne delle differenti associazioni che oggi siete 
 riuniti in questo incontro contro la turtura nelle carceri, buongiorno o 
 buonasera a tutti e tutte voi. Vi manda un saluto la umile persona che 
 sono io, e che la benedizione di Dio sia con voi, oggi e sempre.

 Prima di tutto vi ringrazio per lo spazio che mi state dando. Oggi, per 
 la prima volta, voglio raccontare con la mia voce quello che ho vissuto 
 e sto vivendo in questi 4 anni di carcere.

 Il mio nome è Rosa López Díaz e sono un'indigena di lingua tzotzil, 
 nata in una famiglia di umili origini, con poche risorse. Mi hanno 
 arrestata il giorno 10 maggio del 2007 insieme a mio marito. Ci hanno 
 accusato di un delitto che non abbiamo commesso. Ho sofferto trattamenti 
 inumani come le torture fisiche, le torture psicologiche, minacce di 
 morte. E' stata la cosa più triste della mia vita. Come donna mai potrò 
 scordare i volti delle persone che mi hanno picchiata senza un motivo, 
 uomini e donne che dicono di avere un'autorità, ma non si toccano mai il 
 cuore e si dedicano solamente a violare i diritti umani e a imputare 
 delitti alle persone che non danno loro denaro. E fabbricano i delitti 
 di cui ci accusano e ci rinchiudono in carcere perchè non conosciamo i 
 nostri diritti. E siamo calpestati, ignorati e privati dei nostri 
 diritti come esseri umani.

 Chiedo solo perdono a Dio, perchè un giorno possa curare le ferite che 
 porto dentro e fuori. Quello che è il dolore più grande della mia vita è 
 che io mentre mi torturavano ero incinta di 4 mesi e dopo 5 mesi ho dato 
 alla luce un bambino che si chiama Nataniel López López che è nato 
 malato, con una paralisi cerebrale e deformato in volto. Non può muovere 
 il suo corpo, nulla. I dottori hanno detto a mia madre che il bambino è 
 nato malato per le torture che ho ricevuto quando mi hanno arrestato.

 Oggi continuo a chiedere misericordia a Dio perchè mio figlio possa 
 ricevere una cura adecuata alla sua malattia. Ho toccato varie porte, ma 
 nessuno mi ha fatto caso e oggi chiedo a Dio che tocchi il vostro cuore, 
 perchè un giorno, insieme, mi possiate aiutare a superare questo dolore 
 che mi trascino dentro giorno dopo giorno sola. Ma non ce la faccio più, 
 ho bisogno di tutti voi, compagne e compagni, perchè insieme dobbiamo 
 distruggere il mal governo che gestisce i nostri paesi. Ci meritiamo di 
 essere trattati con dignità, ci meritiamo uguaglianza, pace, giustizia, 
 democrazia. Perchè in un mondo di bambini, entrano molti mondi!

 Compagni e compagne non perdetevi d'animo, non vi lasciate turbare. 
 Bisogna continuare ad andare avanti senza guardarci indietro. Dobbiamo 
 perseverare per vincere. E animo in tutte le vostre attività.

 Tutti quelli che sono presenti oggi non mi conoscono, però sento 
 comunque che siamo una grande famiglia unita, perchè dove siete voi, ci 
 sono io e dove sono io, ci siete voi. Vi porto nel mio cuore oggi e 
 sempre, in questo incontro indimenticabile vi saluto.

 Dio benedica ognuno di voi e le vostre famiglie.

 A presto.

 Rosa López Díaz

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 RISPOSTA DELLE MADRI PER ROMA CITTA' APERTA >>>

 Roma 20 aprile 2011

 Cara Rosa,
 un poeta italiano ha scritto che la pancia di una donna è una culla, 
 che una donna non è il cielo, ma terra che non vuole la guerra, e se 
 pensiamo a una donna pensiamo a tutta l’umanità.
 Questo ci è venuto in mente quando abbiamo letto la tua lettera. Solo 
 una donna poteva scrivere cose così semplici e profonde insieme, solo 
 una donna parlando di sé ha parlato a tutti, solo una donna poteva 
 parlare di un figlio con la struggente commozione con cui ne hai parlato 
 tu.

 Noi, donne e madri italiane, siamo state profondamente colpite dalle 
 parole che ci hai scritto.

 Sappiamo che non c’è futuro per i nostri popoli se non si parte dalla 
 difesa delle donne nella società.

 Parità e dignità vuol dire dare a tutte le Rose del mondo la 
 possibilità vera di veder crescere i propri figli, di poterli svegliare 
 ogni mattina, di accompagnarli a scuola. Vuol dire permettere ai bambini 
 di essere bambini e vivere la loro infanzia serenamente. ‘Prima le donne 
 e i bambini’ non può essere una frase priva di senso ma un impegno 
 fondante per uomini e governi.

 Accade anche nel nostro Paese che lo Stato possa sottrarre un figlio e 
 restituirlo morto: negando ogni possibilità di avvicinarlo, di 
 esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le 
 condizioni del proprio figlio, anche di chi si trovi in carcere.

 Accade anche nel nostro Paese che lo Stato “sequestri” le persone, 
 attraverso i fermi: sospendendo ogni diritto umano e costituzionale di 
 comunicazione con i legali e le famiglie.

 Accade nel nostro paese che l’immigrazione, le mobilitazioni sociali , 
 la diversità e i comportamenti non conformi a regole non condivise 
 stiano riempiendo le carceri.

 Cresce la rabbia per tutto questo ma anche la speranza. La speranza che 
 il vento di libertà arrivi ovunque. Anche in Italia, dove si dice che 
 viviamo tutti in democrazia.

 Democrazia è una parola ambigua come libertà e forse come felicità. 
 Libertà per noi non è una idea, non rincorriamo la sua inesistente 
 assolutezza. Piuttosto la libertà è qualcosa che si fa.  Democrazia è un 
 concetto politico che per esser vero chiede una economia giusta e una 
 società felice. Altrimenti non è democrazia.

 In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006, le 
 Madri per roma città aperta si sono da allora mobilitate per la difesa 
 delle maternità negate che costituiscono la negazione dei diritti di 
 ogni individuo.

 Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza 
 Tien a men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i 
 loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce 
 ad ogni madre che voglia rivendicare la propria dignità e i diritti dei 
 loro figli.

 Ci rivolgiamo alle donne e agli uomini che ancora credono nel valore 
 del diritto e della giustizia e li sollecitiamo affinchè uniscano le 
 loro voci alle nostre per richiamare l´opinione pubblica di fronte alle 
 proprie responsabilità.

 Madri per romacittaperta




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