[Ezln-it] Intervento di Raúl Zibechi su Etica e Politica‏ - parte seconda

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Wed May 11 22:52:56 CEST 2011


Etica è metterci il corpo



Gli zapatisti dicono che il pensiero critico è stato rinviato, 
nuovamente, dall'urgenza dei calcoli del momento. Al suo posto guadagna 
spazio il marketing elettorale. Pensare criticamente non è altro che 
pensare contro se stessi, contro quello che siamo e facciamo; non per 
smettere di essere e fare, ma per crescere e avanzare. Il pensiero 
critico non può adeguarsi al luogo cui è arrivato, per quanto 
interessante esso sia.

Adesso le sinistre e gli "intellettuali Petrobras" (quelli che si fanno 
finanziare i libri dalle multinazionali progressiste e stampano il logo 
dell'azienda sulla quarta di copertina), si dedicano ad abbellire le 
supposte realizzazioni dei governi progressisti. Il loro "pensiero 
critico" è più che curioso: criticano l'imperialismo del Nord, come se 
al Sud non esistesse, e l'"estrema sinistra" che, dicono, lavora per le 
destre. Intere popolazioni sono state soggiogate da Petrobras, così 
avida di profitti da voler diventare la prima compagnia petrolifera del 
mondo (già è la seconda). Questi intellettuali parlano di pensiero 
critico ed emancipazione, come se non sapessero che le aziende che li 
finanziano sono macchiate di sangue.

Per noi il pensiero critico è sempre stato e sempre sarà autocritica. È 
il modo di levigare quello che siamo, di migliorarci, di farci migliori,
 più veri. Non siamo mai soddisfatti di quello che facciamo perché 
vogliamo sempre andare oltre. Non per smania di perfezionismo né di 
risalto. Quelli in basso hanno bisogno di quel motore che è la 
critica/autocritica perché non possono adeguarsi al posto che occupano 
in questo mondo. Non è un pensiero scientifico nel senso accademico, 
perché non viene convalidato da altri accademici ma dalla gente comune, 
quelli in basso organizzati in movimenti.

Il pensiero critico è un pensiero in transito, che non ha vocazione per 
ancorarsi ma per stare in movimento, non solo con i movimenti. Non è 
fine a se stesso, perché deve servire ai più per la loro resistenza 
sempre impegnata ad affrontare nuove sfide. Se no che senso ha il 
pensiero? Non si aggrappa alle idee che ha formulato in un determinato 
momento, è disposto a modificarle perché non vuole avere ragione per 
essere più di altri, ma con tutti.

È un pensiero a cielo aperto, nasce e cresce e sente vicino agli spazi 
delle resistenze. Non trova posto nelle accademie e negli uffici 
riscaldati/condizionati, e non dipende da bilanci. Se è vero, se è 
sincero e impegnato, insieme alle idee e ai ragionamenti ci mette il 
corpo. Non pensa e invia altri al fronte, come i generali codardi degli 
eserciti che spendono milioni di dollari in droni, quegli aerei senza 
pilota che radono al suolo villaggi evitando ogni rischio per la vita di
 chi attacca. Per chi fa la guerra, è un videogioco: i droni vengono 
manovrati sugli schermi da un altro continente, per adesso gli Stati 
Uniti. Per chi la subisce, è il genocidio impersonale.

Il pensiero critico, che è un pensiero etico, non può essere un videogioco dove il politico mette le idee e gli altri il corpo.

Nelle ultime pagine del romanzo di Alejo Carpentier, "Il secolo dei lumi",
 Sofia si lancia nelle strade di una Madrid insorta contro le truppe di 
Napoleone, il 2 di maggio 1807. Esteban cerca di fermarla perché sarebbe
 stata morte certa: cannoni e fucili contro urla e coltelli. Entrambi 
uscivano sofferenti dal tradimento degli ideali della Rivoluzione 
Francese:

- Andiamo là!

- Non essere stupida: stanno mitragliando. Non ci farai niente con quei ferri vecchi.

- Resta se vuoi. Io vado!

- E per chi vai a combattere?

- Per quelli che si sono buttati nelle strade! Bisogna fare qualcosa.

- Cosa?

- Qualcosa!



L'etica come pensiero critico e viceversa



Per navigare a favore di corrente, per lasciarsi trasportare senza 
sforzo, non serve né pensiero critico né etica. Che senso possono avere 
la critica e l'etica se tutto consiste nel seguire la corrente? Se il 
sentiero è già tracciato, come dice la canzone di un amico uruguayano, e
 non resta che seguirlo, e in più è in discesa, la critica è un impiccio
 e l'etica, al massimo, un ornamento. La critica ci spinge ad uscire dal
 sentiero, a cercare pendenze scoscese, a entrare nel fango fino alle 
orecchie. L'etica non può fare compromessi con il conformismo.

Lo stesso può essere detto di quelle pratiche politiche condotte da 
dirigenti che concentrano tutto il sapere e il potere e che devono 
essere seguiti ciecamente. Chi abbia conosciuto da vicino l'esperienza 
di Sendero Luminoso in Perù, ha potuto constatare che la relazione tra i
 capi "rivoluzionari" e i militanti di base riproduceva fedelmente la 
relazione verticale e autoritaria tra i proprietari terrieri feudali e i
 loro braccianti. Lì non c'è mai stato cambiamento ma mera riproduzione 
di relazioni di oppressione, basate sul "partito d'avanguardia" i cui 
timonieri navigavano sospinti dal vento della storia.

"Nulla ha corrotto la classe operaia tedesca come l'idea che essa nuota 
con la corrente", scrisse Walter Benjamin nelle "Tesi sulla Storia". Le 
donne e gli indigeni, che non erano contemplati in quella Storia grande,
 hanno fatto il loro cammino contro corrente e per questo si sono 
trasformati nei soggetti delle proprie vite. Sarà che la politica 
elettorale è fedele erede di quella tradizione conformista in cui non 
serve metterci il corpo ma un foglio nell'urna ogni quattro cinque anni?

Nella frase di Benjamin il soggetto non è "essa", la classe operaia, ma 
la corrente storica, così come in altre esperienze è il partito o il 
capo supremo. L'infallibile. Quelli che come me vengono dall'esperienza 
marxista/maoista ne sanno qualcosa. I soggetti non sono mai stati i 
contadini in carne ed ossa ma il Grande Timoniere, il Libretto Rosso (o 
era verde?) o la dirigenza superiore. La gente comune, quella che 
chiamiamo sempre massa, era quello: materiale blando modellabile dalla 
dirigenza e/o dalla linea corretta. Nella massa non abbiamo mai saputo 
vedere persone, non è mai apparso un Vecchio Antonio o una bambina di 
nome Patricia, uomini e donne veri con pensieri, tradizioni, identità, 
con le quali potessimo dialogare e dalle quali imparare. I pochi nomi 
propri che compaiono nei principali racconti del Grande Timoniere, sono 
personaggi stranieri o ben altri dirigenti dell'alto. Mai la persona 
comune, mai quelli in basso.

Di conseguenza, ci siamo dedicati a seguire i passi dei "grandi", di 
quelli veramente importanti, dei capi storici (maschi, istruiti, abili 
nel maneggiare la parlata corretta). Ogni frase dei dirigenti era letta e
 riletta fino a cavarne un senso straordinario, ogni gesto veniva 
studiato, ogni fotografia scandagliata e quell'esercizio - guardare 
sempre verso l'alto - ci ha accorciato la capacità di vedere, ascoltare,
 sentire l'allegria e il dolore di quelli in basso. Di tutti quelli che 
non avevano un discorso pulito, che non frequentavano i luoghi e le 
forme del potere. Essi ed esse erano tanto invisibili per i 
"rivoluzionari" quanto lo erano stati per i funzionari imperiali. (Se mi
 inoltro in questa tradizione non è perché sia eccezionale, ma perché fa
 male, ferisce, e mantenerne vivo il dolore è l'unica forma che conosco 
per non ripeterlo).

Questa dolorosa tradizione arriva fino ai nostri giorni e assume forme 
molto più raffinate e cortesi, impersonali e scientifiche. Tra gli 
accademici: cifre e dati oggettivi che nascondono gli esseri umani 
dietro grafici e statistiche. Non c'è qualcosa in comune tra tutti i 
modi di fare e di pensare che nascondono il dolore umano?

Se è certo, come dice Benjamin, che la vita quotidiana degli oppressi è 
uno "stato d'eccezione" permanente, e per constatarlo basta andare in 
una comunità indigena o in qualsiasi quartiere povero di qualsiasi 
periferia urbana latinoamericana, sorge un imperativo etico. Non è più 
possibile pensare criticamente fuori dallo stato d'eccezione, lontano 
dal luogo dove viene esercitato il potere nudo della violenza fisica. 
Per prendere distanza, per parlare in nome di quelli in basso, sono 
state create le agenzie per lo sviluppo. Più in là, il pensiero critico 
nascerà nelle condizioni che ci vengono imposte dallo stato d'eccezione,
 o non sarà pensiero critico.

Diranno che così si perde il distacco necessario per poter esercitare la
 critica. Qui c'è una differenza fondamentale, che è inerente al modo 
con cui si elabora la conoscenza: da dove e in quali circostanze si 
parla, si pensa, si scrive. Ci sono due opzioni. O quelli in basso sono 
un pretesto perché altri facciano politica o elaborino tesi, oppure 
entrambe si sviluppano in minga, lavoro comunitario, con quelli in 
basso. "Non vogliamo continuare ad essere le vostre scale", gridano gli 
aymara boliviani ai politici dell'alto; a quelli di destra, a quelli di 
sinistra e adesso anche ai politici "plurinazionali", l'ultima fauna 
nata per parassitare i movimenti.

La maggiore ambizione che possiamo avere come militanti, pensatori, 
scrittori, quel che sia... è smettere di essere quello che siamo. Che 
gli altri ci superino, ci sorpassino, che diventando pensatori 
collettivi, scrittori collettivi, militanti che comandano obbedendo, 
"annullino il terreno della loro realizzazione", come dice la lettera a 
don Luís Villoro. Quale gioia più grande di un pensiero che lanciato al 
vento arrivi a rappresentare i collettivi più disparati, i quali lo 
amplificherebbero, arricchirebbero e modificherebbero fino a far 
diventare irriconoscibile la sua origine, diventando così patrimonio di 
tutti e tutte!

Lascio alcune idee disordinate, scritte al calore della rabbia che 
provoca l'impotenza di constatare come la ribellione dei popoli cerca di
 essere negoziata sul mercato degli interessi geopolitici.

Salute agli indigeni del Chiapas che ci insegnano che la paura può essere vinta collettivamente.



Raúl Zibechi

Montevideo, marzo 2011.



(traduzione a cura di rebeldefc at autistici.org - http://www.caferebeldefc.org/)



.pdf dell'intervento di Zibechi in castigliano qui: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/09zibechi.pdf 		 	   		  
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