[Ezln-it] Subcomandante Marcos: lettera completa a Don Luis Villoro

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Mon Mar 14 12:01:33 CET 2011



SULLE GUERRE

 La lettera completa, anche in formato .pdf alla pagina: http://chiapasbg.wordpress.com
Ultima parte dello scambio espistolare tra il Subcomandante Marcos e Luis Villoro:


III.- NIENTE DA FARE?

A chi trae le sue meschine somme
e sottrazioni elettorali da questo conteggio mortale, ricordiamo che:  

17 anni fa, il 12 gennaio 1994,
una gigantesca mobilitazione cittadina (attenzione: senza capi, comandi
centrali, leader o dirigenti) qui fermò la guerra. Di fronte all'orrore, la
distruzione e le morti, 17 anni fa la reazione fu quasi immediata, contundente,
efficace.  

Ora è lo shock, l'avarizia,
l'intolleranza, la meschinità che lesina appoggi e convoca all'immobilismo... e
all'inefficienza.

La lodevole iniziativa di un
gruppo di lavoratori della cultura ("NON PIU' SANGUE") è stata
screditata fin dall’inizio per non "essersi piegata" ad un progetto
elettorale, per non aver rispettato il mandato di aspettare il 2012.

Ora che hanno la guerra nelle
loro città, per le strade, nelle proprie case, che cosa hanno fatto? Dico, oltre
a "piegarsi" davanti a chi ha "il progetto migliore".

Chiedere alla gente di aspettare
il 2012? Che allora sì bisogna tornare a votare per il meno peggio perché allora
si rispetterà il voto?

Se si contano più di 34 mila
morti in 4 anni, sono oltre 8 mila morti all'anno. Cioè, bisogna aspettare
altri 16 mila morti per fare qualcosa?

Perché si metterà al peggio. Se
gli attuali candidati alle elezioni presidenziali del 2012 (Enrique Peña Nieto
e Marcelo Ebrard) governano le entità con maggior numero di cittadini, non c'è
d'aspettarsi che lì aumenterà la "guerra contro la criminalità
organizzata" con la sua scia di "danni collaterali"?

Che cosa faranno? Niente.
Proseguiranno sulla stessa strada dell'intolleranza e della demonizzazione di quattro
anni fa, quando nel 2006 tutto quello che non era a favore di López Obrador era
accusato di fare gli interessi della destra. Quell@ che allora ci attaccarono e
calunniarono, ora seguono la stessa strada nei confronti di altri movimenti,
organizzazioni, proteste, mobilitazioni.

Perché la presunta grande
organizzazione nazionale che si prepara perché nelle prossime elezioni federali
vinca un progetto alternativo di nazione, non fa qualcosa adesso? Dico, se
pensano di poter mobilitare milioni di messicani affinché votino per qualcuno,
perché non mobilitarli per fermare la guerra e il paese sopravviva? O è un
calcolo meschino e vile? Che il conto dei morti e delle distruzione sottragga
punti al rivale e ne aggiunga al favorito?

Oggi, in mezzo a questa guerra,
il pensiero critico viene di nuovo rimandato. In primo luogo: il 2012 e le
risposte alle domande sui "galletti", nuovi o riciclati, per quel
futuro che da oggi si sgretola. Tutto deve essere subordinato a questo
calendario ed ai suoi passaggi: prima, le elezioni locali in Guerrero, Bassa
California Sud, Hidalgo, Nayarit, Coahuila, Stato del Messico.

E mentre tutto precipita, ci
dicono che la cosa importante è analizzare i risultati elettorali, le tendenze,
le possibilità. Invitano a resistere fino al momento di tracciare il segno
sulla scheda elettorale, e poi di aspettare che tutto si sistemi e si torni ad
innalzare il fragile castello di carta della classe politica messicana.

Ricordano che loro si burlavano
ed attaccavano chi dal 2005 invitava la gente ad organizzarsi secondo le
proprie esigenze, storia, identità ed aspirazioni e non scommettere su qualcuno
là in alto che risolvesse tutto?

Ci siamo sbagliati noi o loro?

Chi nelle principali città osa
dire che può uscire tranquillo se non all'alba, almeno al tramonto?  

Chi fa suo quel "stiamo vincendo"
del governo federale e guarda con rispetto, e non con paura, soldati, marinai e
poliziotti?

Chi sono quelli che adesso si
svegliano senza sapere se saranno vivi, sani o liberi al termine della giornata
che comincia?

Chi non riesce ad offrire alla
gente una via d'uscita, un'alternativa, che non sia aspettare le prossime
elezioni?

Chi non riesce a lanciare
un'iniziativa che davvero attecchisca localmente, non diciamo a livello
nazionale?

Chi è rimasto solo?

Perché alla fine, chi rimarrà
sarà chi resisterà; chi non si sarà venduto; chi non si sarà arreso; chi non
avrà tentennato; chi avrà compreso che le soluzioni non vengono dall'alto, ma
si costruiscono in basso; chi non avrà scommesso né scommette sulle illusioni
che vende una classe politica vecchia che appesta come un cadavere; chi non
avrà seguito il calendario di chi sta in alto né adeguato la sua geografia a
quel calendario trasformando un movimento sociale in una lista di numeri di
certificati elettorali; chi non sarà rimasto immobile di fronte alla guerra,
aspettando il nuovo spettacolo di giochi di prestigio della classe politica nel
circo elettorale, ma hanno costruito un'alternativa sociale, non individuale,
di libertà, giustizia, lavoro e pace.

IV.- L’ETICA E LA NOTRA
ALTRA GUERRA.

Prima abbiamo detto che la guerra
è inerente al capitalismo e che la lotto per la pace è anticapitalista.

Lei, Don Luis, prima ha detto
anche che “la moralità sociale costituisce solo un primo livello,
precritico, dell'etica. L'etica critica incomincia quando l'individuo si
allontana dalle forme di moralità esistenti e si pone domande sulla validità
delle sue regole e comportamenti. Si può rendere conto che la moralità sociale
non obbedisce alle virtù che proclama”.

È possibile portare l'Etica nella
guerra? È possibile farla irrompere nelle parate militari, tra i gradi
militari, posti di blocco, operativi, combattimenti, morti? È possibile
portarla a mettere in discussione la validità delle regole e dei comportamenti
militari?  

O l'ipotesi della sua possibilità
non è altro che un esercizio di speculazione filosofica?

Perché l'inclusione di questo
"altro" elemento nella guerra sarebbe forse possibile solo come
paradosso. Includere l'etica come fattore determinante di un conflitto
porterebbe come conseguenza ad un'ammissione radicale: il rivale sa che il
risultato della sua "vittoria" sarà la sua sconfitta.  

E non mi riferisco alla sconfitta
come "distruzione" o "abbandono", bensì alla negazione
dell'esistenza come forza belligerante. E' così, una forza fa una guerra che,
se la vince, significherà la sua scomparsa come forza. E se la perde è lo
stesso, ma nessuno fa una guerra per perderla (beh, Felipe Calderón Hinojosa
sì).

E qui sta il paradosso della
guerra zapatista: se perdiamo, vinciamo; e se vinciamo, vinciamo. La chiave sta
nel fatto che la nostra è una guerra che non vuole distruggere il rivale nel
senso classico.  

È una guerra che cerca di
annullare il terreno della sua realizzazione e le possibilità dei rivali (noi
compresi).

È una guerra per smettere di
essere quello che ora siamo e così essere quello che dobbiamo essere.  

Questo è stato possibile perché
riconosciamo l'altro, l'altra, l'altro che, in altre terre del Messico e del
Mondo, e senza essere uguale a noi, soffre le stesse pene, sostiene resistenze
simili, che lotta per un'identità multipla che non annulli, assoggetti,
conquisti, e che anela ad un mondo senza eserciti.  

17 anni fa, il 1 gennaio 1994, si
rese visibile la guerra contro i popoli originari del Messico.

Guardando la geografia nazionale in
questo calendario, noi ricordiamo:

Non eravamo noi, gli zapatisti, i
violenti? Non ci accusarono di voler dividere il territorio nazionale? Non si
disse che il nostro obiettivo era distruggere la pace sociale, minare le
istituzioni, seminare il caos, promuovere il terrore e distruggere il benessere
di una Nazione libera, indipendente e sovrana? Non si segnalò fino alla nausea
che la nostra richiesta di riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni
minava l'ordine sociale?

17 anni fa, il 12 gennaio 1994,
una mobilitazione civile, senza appartenenza politica definita, ci chiese di
tentare la strada del dialogo per ottenere le nostre richieste.

Noi abbiamo obbedito.

Più e più volte, nonostante la
guerra contro di noi, abbiamo insistito con iniziative pacifiche.

Per anni abbiamo resistito ad
attacchi militari, ideologici ed economici, ed ora il silenzio su quello che
sta succedendo qua.

Nelle condizioni più difficili
non solo non ci siamo arresi, né ci siamo venduti, né abbiamo tentennato, ma
abbiamo anche costruito migliori condizioni di vita nei nostri villaggi.

Al principio di questa missiva ho
detto che la guerra è una vecchia conoscenza dei popoli originari, degli
indigeni messicani.

Più di 500 anni dopo, più di 200
anni dopo, più di 100 anni dopo, ed ora con questo altro movimento che reclama
la sua molteplice identità comune, diciamo:

Siamo qua.

Abbiamo un’identità.

Abbiamo il senso della comunità
perché non abbiamo aspettato né sospirato che arrivassero dall'alto le
soluzioni di cui necessitiamo e che meritiamo. 


Perché non sottomettiamo il
nostro cammino a chi guarda verso l'alto.

Perché, mantenendo l'indipendenza
della nostra proposta, ci relazioniamo con equità con l'altro che, come noi,
non solo resiste, ma ha costruito un'identità propria che gli dà appartenenza
sociale, e che ora rappresenta anche l'unica solida opportunità di
sopravvivenza al disastro.  

Noi siamo pochi, la nostra
geografia è limitata, non siamo nessuno. 


Siamo popoli originari dispersi
nella geografia e nel calendario più lontani. 


Noi siamo un'altra cosa.

Siamo pochi e la nostra geografia
è limitata.

Ma nel nostro calendario non
comanda l'incertezza.

Noi solamente teniamo a noi
stessi.

Forse è poco quello che abbiamo,
ma non abbiamo paura.

Bene, Don Luis. La saluto e che
la riflessione critica animi nuovi passi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.

Messico, Gennaio-Febbraio 2011

 

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/03/09/apuntes-sobre-las-guerras-carta-primera-completa-del-sci-marcos-a-don-luis-villoro-inicio-del-intercambio-epistolar-sobre-etica-y-politica-enero-febrero-de-2011/

(Traduzione
"Maribel" - Bergamo)

 




      
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