[Ezln-it] Subcomandate Marcos: Sulle Guerre - Parte 2/2

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Wed Feb 16 14:27:39 UTC 2011


Vittorie e sconfitte.

Gli Stati Uniti vincono con questa guerra “locale”? La risposta è: sì. Tralasciando i guadagni economici e gli investimenti monetari in armi, munizioni ed equipaggiamenti (non dimentichiamo che gli USA sono il principale fornitore di tutto questo materiale alle due bande rivali: autorità e “criminali” - la “guerra contro la criminalità organizzata” è un affare per l'industria militare nordamericana -), il risultato di questa guerra è la distruzione / spopolamento e ricostruzione / riordino geopolitico che li favorisce.
Questa guerra (persa dal governo in quanto concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, bensì ad un problema di mancanza di legittimità), sta distruggendo l'ultima cosa che rimane ad una Nazione: il tessuto sociale.
Quale migliore guerra per gli Stati Uniti che una che gli garantisca profitti, territorio e controllo politico e militare senza le imbarazzanti “body bags” [i sacchi neri in cui vengono messi i corpi dei soldati morti in guerra - N.d.T.] e gli invalidi di guerra che gli arrivavano dal Vietnam, prima, ed ora dall'Iraq e dall'Afghanistan?
Le rivelazioni di Wikileaks sulle opinioni dell'alto comando nordamericano circa le “deficienze” dell'apparato repressivo messicano (la sua inefficienza e la sua frequentazione con la criminalità) non sono nuove. In Messico questa è una certezza non solo tra la gente comune, ma tra le alte sfere del governo e del Potere. La barzelletta che questa è una guerra impari perché il crimine organizzato è organizzato mentre il governo messicano è disorganizzato, è una triste verità.
Questa guerra è iniziata formalmente l'11 dicembre 2006, con l'allora cosiddetta “Operazione Congiunta Michoacán”. 7 mila elementi dell'esercito, della marina e della polizia federale lanciarono un'offensiva (conosciuta come “el michoacanazo”) che, passata l'euforia mediatica di quei giorni, risultò essere un fallimento. Il comando militare era del generale Manuel García Ruiz ed il responsabile dell'operazione era Gerardo Garay Cadena della Segreteria di Pubblica Sicurezza. Dal dicembre del 2008 ad oggi, Gerardo Garay Cadena è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Tepic, Nayarit, con l'accusa di collusione con “el Chapo” Guzmán Loera.
Ad ogni passo di questa guerra, per il governo federale è sempre più difficile spiegare dove sta il nemico da sconfiggere.
Jorge Alejandro Medellín è un giornalista che collabora con diversi organi di informazione - la rivista “Contralínea”, il settimanale “Acentoveintiuno”, ed il portale informativo “Eje Central”, tra altri - e si è specializzato sulle questioni del militarismo, forze armate, sicurezza nazionale e narcotraffico. Ad ottobre del 2010 ha ricevuto minacce di morte per un articolo in cui denunciava possibili legami del narcotraffico col generale Felipe de Jesús Espitia, ex comandante della V Zona Militare ed ex capo della Sezione Settima - Operazioni Contro il Narcotraffico - nel governo di Vicente Fox, e responsabile del Museo della Droga che si trova negli uffici della S-7. Il generale Espitia è stato rimosso dall'incarico di comandante della V Zona Militare per il clamoroso fallimento degli operativi ordinati da lui a Ciudad Juárez e per la risposta insufficiente data ai massacri compiuti nella città di confine.
Ma il fallimento della guerra federale contro la “criminalità organizzata”, il gioiello della corona del governo di Felipe Calderón Hinojosa, non è un dispiacere per il Potere in USA: è l'obiettivo da raggiungere.
Per quanto i mezzi di comunicazione di massa si sforzino di presentare come vittorie della legalità le scaramucce che tutti i giorni si verificano sul territorio nazionale, non riescono ad essere convincenti.
E non solo perché i mezzi di comunicazione di massa sono stati superati dalle altre forme di scambio di informazioni della gran parte della popolazione (non solo, ma anche dalle reti sociali e la telefonia mobile), ma anche, e soprattutto, perché il tono della propaganda governativa è passato dal tentativo di inganno al tentativo di scherno (da “anche se non sembra stiamo vincendo”, fino alla definizione di “una minoranza ridicola”, passando per le battute da bar del funzionario di turno).
Su quest'altra sconfitta della stampa, scritta e radio e televisiva, tornerò in un'altra missiva. Per ora, e rispetto al tema di cui adesso ci occupiamo, basta ricordare che il “a Tamaulipas non succede niente” proclamato dai notiziari (marcatamente di radio e televisione), è stato sconfitto dai filmati girati dalla gente con i cellulari e le video-camere portatili e diffusi in internet.
Ma torniamo alla guerra che, secondo Felipe Calderón Hinojosa, non ha mai detto essere una guerra. Non l'ho detto, non lo è?
"Vediamo se è guerra o non è guerra: il 5 dicembre 2006 Felipe Calderón disse: "Lavoriamo per vincere la guerra alla criminalità…”. Il 20 dicembre 2007, durante una colazione con del personale navale, il signor Calderón utilizzò per quattro volte in un solo discorso il termine guerra. Disse: "La società riconosce in maniera particolare l'importante ruolo dei nostri marinai nella guerra che il mio Governo guida contro l'insicurezza…”, "La lealtà e l'efficienza delle Forze Armate sono una delle più potenti armi nella guerra che stiamo portando avanti contro essa…”, "iniziando questa guerra frontale contro la criminalità, ho avvertito che questa sarebbe stata una lotta di lungo respiro”, "… così sono, precisamente, le guerre …”.
Ma ce n'è ancora: il 12 settembre 2008, durante la Cerimonia di Chiusura ed Apertura dei Corsi del Sistema Educativo Militare, l'autoproclamato "Presidente del lavoro”, si è lasciato andare pronunciando fino a una mezza dozzina di volte il termine guerra contro il crimine: "Oggi il nostro paese combatte una guerra molto diversa da quella che affrontarono gli insorti nel 1810, una guerra diversa da quella che affrontarono i cadetti della Scuola Militare 161 anni fa…” "… tutti i messicani della nostra generazione hanno il dovere di dichiarare guerra ai nemici del Messico… Per questo, in questa guerra contro la criminalità”… "È imprescindibile che noi tutti che ci uniamo in questo fronte comune, passiamo dalle parole ai fatti e veramente dichiariamo guerra ai nemici del Messico…” "Sono convinto che vinceremo questa guerra…” (Alberto Vieyra Gómez. Agencia Mexicana de Noticias, 27 gennaio 2011).
Contraddicendosi, sfruttando il calendario, Felipe Calderón Hinojosa non si corregge né testualmente né concettualmente. No, il fatto è che le guerre si vincono o si perdono (in questo caso, si perdono) ed il governo federale non vuole ammettere che il punto principale della sua gestione è fallito militarmente e politicamente.
Guerra senza fine? La differenza tra la realtà… e i videogiochi.
Di fronte all'innegabile fallimento della sua politica guerrafondaia, Felipe Calderón Hinojosa cambierà strategia?
La risposta è NO. E non solo perché la guerra dell'alto è un affare e, come ogni affare, si tiene in piedi finché continua a produrre profitti.
Felipe Calderón Hinojosa, il comandante in capo delle forze armate; il fervente ammiratore di José María Aznar; l'auto-denominato “figlio disubbidiente”; l'amico di Antonio Solá; il “vincitore” della presidenza per mezzo punto percentuale di voti grazie all'alchimia di Elba Esther Gordillo; quello degli atteggiamenti autoritari che sfociano in collera (“o scendete o vi mando a prendere”); quello che vuole coprire con altro sangue quello dei bambini assassinati nell'Asilo ABC, di Hermosillo, Sonora; quello che ha accompagnato la sua guerra militare con una guerra contro il lavoro degno ed il salario giusto; quello del calcolato autismo di fronte agli omicidi di Marisela Escobedo e Susana Chávez Castillo; quello che etichetta come “membri del crimine organizzato” bambini e bambine, uomini e donne morti, che sono stati e vengono assassinati perché erano nel calendario e nella geografia sbagliati, e non riescono nemmeno ad essere
 nominati perché nessuno ne tiene il conto, né la stampa, né le reti sociali.
Lui, Felipe Calderón Hinojosa, è anche un fan dei videogiochi di strategia militare.
Felipe Calderón Hinojosa è il “gamer” “che in quattro anni ha trasformato un paese nella versione banale di The Age of Empire - il suo videogioco preferito -, (…) un amante - e cattivo stratega - della guerra” (Diego Osorno su “Milenio Diario”, 3 ottobre 2010).
È lui che ci porta a chiedere: il Messico è governato come un videogioco? (credo che io possa fare questo tipo di domande compromettenti senza il rischio che mi licenzino per mancato rispetto del “codice etico” che si regge sulla pubblicità a pagamento).
Felipe Calderón Hinojosa non si fermerà. E non solo perché le forze armate non glielo permetterebbero (gli affari sono affari), anche per l'ostinazione che ha caratterizzato la vita politica del “comandante in capo” delle forze armate messicane.
Rinfreschiamoci un po' la memoria: A marzo 2001, quando Felipe Calderón Hinojosa era il coordinatore parlamentare dei deputati federali di Azione Nazionale, ci fu quel deplorevole episodio del Partito Azione Nazionale che negò ad una delegazione indigena del Congresso Nazionale Indigeno e dell'EZLN di utilizzare la tribuna del Congresso dell'Unione in occasione della “Marcia del colore della terra”.
Malgrado il PAN stesse dando l’immagine di un'organizzazione politica razzista ed intollerante (e lo è) per voler negare agli indigeni il diritto ad essere ascoltati, Felipe Calderón Hinojosa mantenne il rifiuto. Tutto gli diceva che era un errore assumere quella posizione, ma l'allora coordinatore dei deputati panisti non cedette (ed andò a nascondersi, insieme a Diego Fernández de Cevallos ed altri illustri panisti, in uno dei saloni privati della Camera a guardare in televisione gli indigeni parlare nel luogo che la classe politica riserva per le sue farse).
“Non m’importa dei costi politici”, avrebbe detto allora Felipe Calderón Hinojosa.
Ora dice la stessa cosa, benché oggi non si tratti dei costi politici che si assume un partito politico, ma dei costi umani che paga il paese intero per questa ostinazione.
Mentre stavo finendo questa missiva, ho trovato le dichiarazioni della segretaria della sicurezza interna degli Stati Uniti, Janet Napolitano, che speculava sulle possibili alleanze tra Al Qaeda ed i cartelli messicani della droga. Il giorno prima, il sottosegretario dell'Esercito degli Stati Uniti, Joseph Westphal, ha dichiarato che in Messico c'è una forma di insurgencia guidata dai cartelli della droga che potenzialmente potrebbero prendere il governo, cosa che implicherebbe una risposta militare statunitense. Ha aggiunto che non desiderava vedere una situazione in cui i soldati statunitensi fossero mandati a combattere un'insurrezione “alla nostra frontiera… o doverli mandare ad attraversare la frontiera” verso il Messico.
Nel frattempo, Felipe Calderón Hinojosa, presenziava ad un'esercitazione militare in un villaggio, a Chihuahua, e saliva su un aereo da combattimento F-5, si sedeva sul sedile del pilota e scherzava dicendo “sparate i missili”.
Dai videogiochi di strategia ai “simulatori di combattimento aereo” e “spari in prima persona”? Da Age of Empires a HAWX?
Il HAWX è un videogioco di combattimento aereo dove, in un futuro prossimo, le società militari private (“Private military company”), in molti paesi hanno sostituito gli eserciti governativi. La prima missione del videogioco consiste nel bombardare Ciudad Juárez, Chihuahua, Messico, perché le “forze ribelli” si sono impadronite della piazza e minacciano di avanzare sul territorio nordamericano.
Non nel videogioco, ma in Iraq, una delle società militari private contrattate dal Dipartimento di Stato nordamericano e dalla CIA era la “Blackwater USA”, che poi ha cambiato nome in “Blackwater Worldwide”. Il suo personale ha commesso gravi abusi in Iraq, compreso l'assassinio di civili. Ora ha cambiato nome in “Xe Services LL” ed è il più grande appaltatore di sicurezza privata del Dipartimento di Stato nordamericano. Almeno il 90% dei suoi profitti provengono da contratti col governo degli Stati Uniti.
Lo stesso giorno in cui Felipe Calderón Hinojosa scherzava sull'aereo da combattimento (10 febbraio 2011), nello stato di Chihuahua una bambina di 8 anni moriva raggiunta da una pallottola vagante durante una sparatoria tra persone armate ed elementi dell'esercito.
Quando finirà questa guerra?
Quando sullo schermo del governo federale apparirà la scritta “game over” della fine del gioco, seguito dai nomi dei produttori e patrocinatori della guerra?
Quando Felipe Calderón potrà dire “abbiamo vinto la guerra, abbiamo imposto la nostra volontà al nemico, abbiamo distrutto la sua capacità materiale e morale di combattere, abbiamo (ri)conquistato i territori che erano in suo potere?”
Da come è stata concepita, questa guerra non ha fine ed è persa.
Non ci sarà un vincitore messicano in queste terre (a differenza del governo, il Potere straniero ha un piano per ricostruire - riordinare il territorio) e lo sconfitto sarà l'ultimo spazio dell'agonizzante Stato Nazionale in Messico: le relazioni sociali che, dando identità comune, sono la base di una Nazione.
Ancora prima della presunta fine, il tessuto sociale sarà completamente distrutto.
Risultati: la Guerra in alto e la morte in basso.
Vediamo cosa dice il Segretario di Governo federale sulla “non guerra” di Felipe Calderón Hinojosa:
"Il 2010 è stato l'anno più violento del sessennio con 15.273 omicidi legati al crimine organizzato, il 58% in più dei 9.614 registrati nel 2009, secondo con i dati diffusi questo mercoledì dal Governo Federale. Da dicembre 2006 alla fine del 2010 sono stati registrati 34.612 crimini, dei quali 30.913 sono casi indicati come “esecuzioni”; 3.153 sono definiti “scontri” e 544 rientrano nel capitolo “omicidi-aggressioni”. Alejandro Poiré, segretario tecnico del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha presentato il database ufficiale elaborato dagli esperti che a partire da ora mostrerà “informazioni disgregate mensili, a livello statale e municipale” sulla violenza in tutto il paese.” (Periodico “Vanguardia”, Coahuila, Messico, 13 gennaio 2011)
Domanda: Di questi 34.612 assassinati, quanti erano criminali? E gli oltre mille bambini e bambine assassinati (che il Segretario di Governo “ha dimenticato” di separare dal suo conto), erano anche loro “sicari” del crimine organizzato? Quando nel governo federale si proclama che “stiamo vincendo”, a quale cartello della droga si riferiscono? Quante altre decine di migliaia fanno parte di quella “ridicola minoranza” che è il nemico da sconfiggere?
Mentre là in alto cercano inutilmente di sdrammatizzare con le statistiche i crimini che la loro guerra ha provocato, è necessario segnalare che si sta distruggendo anche il tessuto sociale in quasi tutto il territorio nazionale.
L'identità collettiva della Nazione sta per essere distrutta e soppiantata da un'altra.
Perché "l'identità collettiva non è altro che l'immagine che un popolo si crea per riconoscersi come appartenente a quel popolo. Identità collettiva sono quei tratti in cui un individuo si riconosce come appartenente ad una comunità. E la comunità accetta questo individuo come parte di essa. Questa immagine che il popolo si crea non è necessariamente la conservazione di un'immagine tradizionale ereditata, ma generalmente se la crea l'individuo che appartiene ad una cultura, per consolidare il suo passato e la sua vita attuale con i progetti che ha per questa comunità.
Dunque, l'identità non è un semplice lascito che si eredita, ma è un'immagine che si costruisce, che ogni popolo si crea, e pertanto è variabile e può cambiare secondo le circostanze storiche”. (Luis Villoro, novembre 1999, intervista con Bertold Bernreuter, Aachen, Germania).
Nell'identità collettiva di buona parte del territorio nazionale non esiste, come si vuole far credere, la disputa tra l'inno nazionale e il narco-corrido (se non si appoggia il governo allora si appoggia la criminalità, e viceversa).
No.
C'è invece l'imposizione, con la forza delle armi, della paura come immagine collettiva, dell'incertezza e della vulnerabilità come specchi nei quali si riflettono questi collettivi.
Che relazioni sociali si possono mantenere o tessere se la paura è l'immagine dominante con la quale un gruppo sociale si può identificare, se il senso di comunità si rompe al grido di “si salvi chi può”?
Da questa guerra non solo ne verranno migliaia di morti… e lucrosi guadagni economici.
Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione irrimediabilmente distrutta, spopolata, spezzata.
(…)
Bene, Don Luis. La saluto e che la riflessione critica incoraggi nuovi passi.

Dalle montagne del Sudest Messicano. 
Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Gennaio-Febbraio 2011

(Traduzione “Maribel” - Bergamo)



      
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