[Ezln-it] SupMarcos: Seconda lettera a Luis Villoro - Parte 2/2
Annamaria
maribel_1994 at yahoo.it
Thu Apr 14 15:46:36 CEST 2011
Ma supponiamo che a loro interessi
discutere e convincere.
Discutiamo, per esempio, delle reali
conseguenze del progetto ultradecennale di Azione Nazionale di cambiare una
nota strofa dell'Inno Nazionale Messicano per mettere al suo posto “Pensa, Oh
Amata Patria! il cielo una vittima collaterale in ogni figlio ti diede”, e
rispetto al quale nessuno degli altri partiti ha presentato un'alternativa
puntuale e decisa.
O la presunta bontà del ritorno del
Partito Rivoluzionario Istituzionale ed il conseguente ritorno di tutta una
cultura di corruzione e crimine che ha travolto l'insieme della classe politica
messicana.
O le possibilità reali del progetto di far
fare retromarcia alla ruota della storia e tornare allo Stato Benefattore, che
è la proposta dell'ancor debole coalizione di opposizione.
Tutti, oltre a detestare la riflessione
teorica (chiaro, quella che non sia un puerile autocompiacimento), si
propongono l'impossibile: mantenere, riscattare o rigenerare le macerie di uno
Stato Nazionale che ha generato e dato corpo al sistema di partiti di Stato.
Quel sistema che ha trovato nel Partito Rivoluzionario Istituzionale il suo
migliore specchio e rispetto al quale l'intera classe politica di quelli che
stanno in alto, oggi si sforza di somigliare.
O non si sono resi conto fino a che punto
sono distrutte le basi di questo Stato? Come mantenere, riscattare o rinnovare
un cadavere? Ed anche così, è molto tempo che la classe politica e gli analisti
che l'accompagnano si impegnano invano ad imbalsamare le rovine.
Ma si capisce, l'ignoranza non è
condannabile. Chiaro, a meno che si vesta di saggezza.
Non è possibile, diciamo noi, presentare
qualunque tipo di soluzione al disastro dello Stato Nazionale senza toccare il
sistema responsabile di questa rovina e dell'incubo che avvolge il paese intero.
Noi diciamo che ci sono le soluzioni, ma
possono nascere solo dal basso, da una proposta radicale che non aspetta un
consiglio di saggi per legittimarsi, ma è già in atto, cioè, si lotta in molti
angoli del nostro paese. Pertanto, non è una proposta unanime nella sua forma,
nel suo modo, nel suo calendario, nella sua geografia. Ma è plurale,
includente, partecipativa. Niente a che vedere con le unanimità che pretendono
di essere imposte da azzurri, gialli, rossi, verdi, rosa, e le varie comparse
che li accompagnano.
Ma noi, ammettiamo che possiamo
sbagliarci. Che può essere, è un'ipotesi, che la distruzione perpetrata lasci
ancora un margine di manovra per rifare, dall'alto, il tessuto sociale.
Ma, invece di incoraggiare un dibattito
serio e profondo, ci viene chiesto di tornare a tacere e, un'altra volta, ci si
esorta di nuovo ad appoggiare i nostri persecutori, chi, per esempio, copre con
le sue parole o il suo silenzio persone come Juan José Sabines Guerrero, chi
dal governo del Chiapas persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di
lodi per le sue bugie fatte governo, chi persegue i difensori dei diritti umani
sulla Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón
che si rifiutano di prostituire la loro terra, chi fomenta l'azione di gruppi
paramilitari contro le comunità indigene zapatiste.
Chi realmente conosce quello che si sta
facendo e disfacendo in Chiapas e non ha paura, ha così ribattezzato lo slogan
di Sabines: “Disfatti, non parole”.
Sabines Guerrero è ciò che meglio rappresenta la putrefatta classe politica
messicana: ha l'appoggio del PAN, del PRI, del PRD e del movimento di AMLO; è
generoso con i media perché dicano quello che gli conviene e tacciano su quello
che non gli conviene; ha un aspetto inconsistente, un'immagine pronta a
polverizzarsi in qualsiasi momento; e governa come se fosse il solerte capoccia
di una tenuta porfirista.
Ed ancora ci viene chiesto di “fornire
contributi critici e costruttivi” ad un movimento diretto e guidato per
ripetere la stessa storia di oppressione, ma con altri nomi.
Quando capiranno che esistono individui,
gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, ai quali non interessa cambiare
quello che sta sopra né rinnovare (cioè, riciclare) una classe politica
parassita?
Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni
o supremi salvatori, ma non averne nessuno.
Infine, se di qualcosa bisogna ringraziare
là in alto, è che ancora una volta hanno rivelato la povertà teorica e
l'evidente debolezza strategica di chi si proponeva e propone di mantenere,
sostituire o riciclare quelli che stanno sopra per esorcizzare la ribellione di
quelli che stanno sotto.
Credo sinceramente che una profonda
riflessione critica dovrebbe cercare di allontanare lo sguardo dall'ipnotico
carosello della classe politica e guardare ad altre realtà.
Che cosa hanno da perdere? In ogni caso,
avranno più argomenti per auto-costituirsi come “l'unica alternativa possibile”. Dopo tutto,
le altre e gli altri sono così piccoli e (uffa!) così radicali.
Anche se a volte riescono a vedere ..…
Che l'eroico lavoro di collettivi
anarchici e libertari per sottrarsi alla logica del mercato capitalista è
effetto e causa di un pensiero radicale. E che il futuro scommette
principalmente sul pensiero radicale. Cosicché farebbero bene a guardare con
rispetto quel variopinto modo di avere identità propria: i piercing, i tatuaggi, le chiome multicolore e tutti quegli
accessori che tanto gli fanno orrore.
O la lotta di organizzazioni sociali di
sinistra indipendenti che scelgono di organizzare autisti, mini-micro-nano
commercianti (...), invece di organizzare automobilisti, camere di commercio ed
associazioni di categoria, e che possono rendere conto di cambiamenti
importanti delle loro condizioni di vita. E non grazie all'assistenzialismo
elettorale, ma attraverso l'organizzazione collettiva con progetti immediati,
mediati e a lungo termine. Si mantengono indipendenti e così resistono.
O la leggendaria resistenza dei popoli
originari. Se c'è qualcuno conosce dolore e lotta, sono loro.
O la degna rabbia delle madri e dei genitori
di assassinat@, desaparecid at s, detenut at . Perché farebbero bene a ricordare che
in questo paese non succede niente… fino a che le donne non decidono che
succeda.
O l'indignazione quotidiana di opera@,
impiegat@, contadin@, indigen@, ragazz@ di fronte al cinismo dei politici,
senza distinzione di colore.
O la dura lotta delle lavoratrici e dei
lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti nonostante, loro sì,
avere contro una gigantesca campagna mediatica, repressione, prigione e minacce
e vessazioni.
O la tenace lotta per la libertà de@
prigionier@ politic@ e la presentazione in vita dei desaparecidos.
O no? La democrazia che loro vogliono non
è altro che un'amnesia amministrata a convenienza? Si seleziona cosa vedere, e
così si sceglie che cosa dimenticare?
III. - L’INDIVIDUO CONTRO IL
COLLETTIVO?
Nella sua missiva, Don Luis, lei tocca il
tema dell'individuo e del collettivo. Una vecchia discussione di quelli che
stanno sopra li contrappone, e l'hanno già usata per fare l'apologia di un
sistema, il sistema capitalista, rispetto alle alternative che nascono in sua
opposizione.
Collettivo, ci dicono, cancella
l'individualità, la soggioga. Quindi, con un rozzo balzo teorico, si cantano le
lodi del sistema dove, si ripete, qualunque individuo può diventare ciò che è,
buono o cattivo, perché esiste la garanzia di libertà.
Mi rendo conto che questo concetto di “libertà”
è qualcosa su cui bisognerebbe andare più a fondo, ma forse sarà in un'altra
occasione, per ora torniamo all'individuo… o individua, secondo il caso o cosa.
Il sistema canta le lodi dell'individuo
che sta sopra o di quello che sta sotto.
Di quello che sta sopra perché risaltando
la sua individualità, buona o cattiva, efficiente o inefficiente, brillante od
oscura, occulta la responsabilità di una forma di organizzazione della società.
Così, abbiamo individui governanti cattivi… o più cattivi (scusate, non ne ho
trovato nessuno che mi permettesse di dire “o buoni”), idem per individui di
potere economico, eccetera.
Se l'individuo che sta sopra è perverso,
volgare, crudele e ostinato (lo so, sembra il profilo di Felipe Calderón
Hinojosa), quello che bisogna fare è eliminare questo individuo cattivo e
mettere al suo posto un individuo buono. E se non ci sono individui buoni,
allora il meno peggio (lo so, sembra che stia ripetendo lo slogan elettorale di
5 anni fa e che sta per essere riciclato).
Il sistema, cioè, la forma di
organizzazione sociale, resta intatta. O soggetta alle variazioni permesse.
Cioè, si possono fare alcuni cambiamenti, ma senza che cambi la cosa
fondamentale: pochi che stanno sopra, molti che stanno sotto, e quelli che
stanno sopra ci stanno a costo di quelli che stanno sotto.
Si plaude e si ammira l'individuo che sta
sotto, perché la ribellione individuale non è in grado di mettere in serio
pericolo il funzionamento di quella forma di organizzazione sociale. O lo si
ridicolizza ed attacca, perché l'individuo è vulnerabile.
Mi permetta dunque un arbitrio retorico:
diciamo che le aspirazioni fondamentali di ogni essere umano sono: vita,
libertà, verità. E che forse si può parlare di una gradualità: miglior vita,
più libertà, maggiore conoscenza.
È possibile che l'individuo possa
raggiungere in pienezza queste aspirazioni e le sue rispettive gradualità a
livello collettivo? Noi crediamo di sì. In ogni caso, siamo sicuri che non può
raggiungerli senza il collettivo.
“Dove, con chi, contro che cosa?”. Queste,
diciamo noi, sono le domande la cui risposta definisce il posto dell'individuo
e del collettivo in una società, in un calendario ed una geografia precisi.
E non solo. Definiscono inoltre la
pertinenza della riflessione critica.
Prima ho detto che queste riflessioni
collettive non pretendono di arrivare alla verità in generale, ma vogliono
allontanarsi dall'unanime bugia che ci vogliono imporre dall'alto.
-*-
Solo qualche parola sul lavoro e i sacrifici
che ora sembrano solo di individui solitari.
A chi critica le diverse iniziative che,
ancora disseminate, nascono dal dolore sociale, bisognerebbe ricordare che,
giudicando e condannando chi fa qualcosa, assolve chi non fa niente.
Perché distruggere l'arbitrio,
disorganizzare la confusione, fermare la guerra, sono compiti collettivi.
IV. – COSA ACCADRÀ.
Il mondo come ora lo conosciamo sarà
distrutto. Sconcertati e malconci, non potranno rispondere niente ai propri
vicini quando gli domanderanno “Perché?”
Prima, ci saranno mobilitazioni spontanee,
violente e fugaci. Poi un riflusso che permetterà loro di tirare un respiro di
sollievo (“pfuiii! è passata!”). Ma,
poi arriveranno nuove sollevazioni, ma organizzate, perché vi parteciperanno
collettivi provvisti di identità.
Allora, vedranno che i ponti che hanno
distrutto, credendo che fossero stati costruiti per aiutare i barbari, non solo
sarà impossibile ricostruirli, ma si accorgeranno che quei ponti c’erano anche per
essere aiutati.
E loro diranno che verrà un'epoca di
oscurantismo, ma non sarà altro che semplice rancore, perché la luce che volevano
fermare e gestire non servirà assolutamente a quei collettivi che hanno fatto
luce propria, e con essa ed in essa camminano e cammineranno.
Il mondo non sarà più lo stesso mondo.
Nemmeno sarà migliore. Ma si sarà dato una nuova opportunità di essere il luogo
in cui sia possibile costruire la pace con lavoro e dignità, e non un continuo
andare contro corrente in un incubo senza fine.
Allora, messo in poesia, in una scritta su
un muro distrutto si leggeranno le parole di Bertold Brecht:
Voi, che emergerete dalla marea nella
quale noi siamo annegati, ricordate quando parlate delle nostre debolezze,
anche i tempi bui ai quali voi siete scampati. Abbiamo camminato, cambiando più
spesso i paesi delle scarpe, attraverso le guerre di classe, disperati, quando
c'era solo ingiustizia e nessuna rivolta. Eppure sappiamo che anche l'odio
verso la bassezza distorce i tratti del viso. Anche l'ira per le ingiustizie
rende la voce rauca. Purtroppo, noi, che volevamo preparare il terreno per la
gentilezza non potevamo essere gentili. Ma voi, quando sarà venuto il momento
in cui l'uomo sarà amico dell'uomo, ricordate noi con indulgenza.
Bene Don Luis. La saluto e che non vinca di nuovo l’immobilismo.
Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante
Insurgente Marcos
Messico, Aprile 2011
P.S. - E per concludere questa missiva, la morte è arrivata un'altra volta
col suo imprevisto passo. Felipe Toussaint Loera, un cristiano di quelli che
credono nella necessità della giustizia terrena, se n'è andato un pomeriggio di
questo caldo aprile. Di Felipe e di altr@ come lui abbiamo parlato in testi
recenti. Egli è stato ed è parte di quella generazione di uomini e donne che
sono stati dalla parte degli indigeni quando non erano ancora di moda, ed anche
quando non lo erano più. Lo ricordo in una delle riunioni preparatorie
dell'Altra Campagna, nel 2005, mentre ratifica il suo impegno nell'inscrivere
la sua storia individuale nella storia di un collettivo che rinasce più volte. Salutiamo
la sua vita, perché in vita, alle domande “dove?,
con chi?, contro che cosa?” Felipe ha risposto: “in basso, con gli indigeni che lottano, contro il sistema che li
sfrutta, li spoglia, li reprime e li disprezza”. Tutte le morti di sotto
addolorano, ma ci sono alcune che dolgono più da vicino. Con quella di Felipe,
è come se ci fosse mancato qualcosa di molto nostro.
Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/11/sci-marcos-de-la-reflexion-critica-individus-y-colectivs-carta-segunda-a-luis-villoro-en-el-intercambio-espistolar-sobre-etica-y-politica/
(Traduzione
"Maribel" - Bergamo)
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