[Ezln-it] SupMarcos: Seconda lettera a Luis Villoro - Parte 1/2
Annamaria
maribel_1994 at yahoo.it
Thu Apr 14 15:46:17 CEST 2011
Alla pagina http://chiapasbg.wordpress.com la versione in .pdf in italiano e spagnolo.
DELLA
RIFLESSIONE CRITICA, INDIVIDUI E COLLETTIVI
(Seconda Lettera a Luis
Villoro nell’Interscambio Epistolare su Etica e Politica)
Aprile 2011
“Se in cielo c’è unanimità, riservatemi un
posto all’inferno”
(SupMarcos.
Istruzioni per la mia morte II)
I. - LA PROSA DEL TESCHIO
Don Luis:
Salute e saluti maestro. Speriamo veramente che stia meglio di salute e che
la parola sia come quei rimedi casalinghi che alleviano anche se nessuno sa
come.
Mentre inizio queste righe, il dolore e la
rabbia di Javier Sicilia (lontano per distanza ma da sempre vicino per ideali),
si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C'è d'aspettarsi e dà
speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola
e azione, riesca a radunare le rabbie e i dolori che si moltiplicano sui suoli
messicani.
Di don Javier Sicilia ricordiamo le
critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità
indigene zapatiste e la sua ostinazione nel ricordare periodicamente, alla fine
della sua colonna settimanale sulla rivista messicana PROCESO, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.
La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia
privata che l'ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e
delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo
reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua
voce accorpi, che non guidi, le ignorate voci di indignazione.
E succede anche che intorno alla sua
figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della
politica dell'alto, per i quali una morte vale solo se aggiunge o toglie nei
loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro la
rappresentatività.
Si scopre un nuovo assassinio? Allora
bisogna vedere come questo impatta la puerile contabilità elettorale. Là in
alto interessano le morti se possono incidere sull'agenda elettorale. Se non si
possono capitalizzare nei sondaggi e nelle tendenze di voto, allora tornano nel
lugubre conto dove le morti non interessano più, anche se sono decine di
migliaia, perché tornano ad essere una questione individuale.
Nel momento di scriverle queste parole,
ignoro i passaggi di questo dolore che convoca. Ma il suo reclamo di giustizia,
e tutti quelli che si sintetizzano in questo reclamo, meritano il nostro
rispetto e sostegno, anche se con il nostro essere piccoli ed i nostri grandi
limiti.
Nell'andirivieni delle notizie su
quell'evento, si ricorda che don Javier Sicilia è un poeta. Forse per questo la
sua persistente dignità.
Nel suo stile molto particolare di
guardare e spiegare il mondo, il Vecchio Antonio, quell'indigeno che è stato
maestro e guida per tutti noi, diceva che c'erano persone capaci di vedere
realtà che ancora non esistevano e che, siccome non esistevano nemmeno le
parole per descrivere quelle realtà, allora dovevano lavorare con le parole
esistenti e sistemarle in un modo strano, in parte canto e in parte profezia.
Il Vecchio Antonio parlava della poesia e
di chi la fa. (Io aggiungerei di chi la traduce, perché anche le traduttrici e
i traduttori della poesia che parla lingue lontane devono essere molto
creatrici e creatori di poesia).
I poeti, le poetesse, vedono più lontano o
vedono in altro modo? Non lo so, ma cercando qualcosa che, dal passato,
parlasse del presente che ci fa male e del futuro incerto, ho trovato questo
scritto di José Emilio Pacheco, che tempo fa mi mandò un mio fratello maggiore
e che viene a proposito perché nessuno capisca:
Prosa del Teschio
Come il demonio dei Vangeli il mio nome è Legione. Sono te perché sei me. O
sarai perché fui. Tu ed io. Noi due. Voi, gli altri, gli innumerevoli voi che si
risolvono in me.
(…)
Poi fui, al punto di trasformarmi in luogo comune, simbolo di saggezza.
Perché la cosa più saggia è anche la più ovvia. Siccome nessuno vuole guardarlo
in faccia non sarà mai superfluo ripeterlo: Non siamo cittadini di questo mondo
ma passeggeri in transito per la terra prodigiosa e intollerabile. Se la carne
è erba e nasce per essere tagliata, sono per il tuo corpo quello che l'albero è
per la prateria: non invulnerabile, neppure durevole, ma materiale consistente
o resistente. Quando tu e tutti i nati nel vuoto del tempo che ti fu dato in
prestito, terminerete di rappresentare il vostro ruolo in questo dramma, questa
farsa, questa tragica e buffa commedia, io rimarrò per lunghi anni: scarno
disincarnato. Serena smorfia, volto segreto che ti rifiuti di guardare (togliti
la maschera: in me troverai il tuo vero volto), benché lo sai intimo e tuo e
che sempre ti accompagna. E porta dentro, in fugaci cellule che ogni istante
muoiono a milioni, tutto ciò che sei: il tuo pensiero, la tua memoria, le tue
parole, le tue ambizioni, i tuoi desideri, le tue paure, i tuoi sguardi che
attraverso la luce erigono l'apparenza del mondo, il tuo allontanamento o
intendimento di ciò che realmente chiamiamo realtà. Quello che ti eleva al di
sopra dei tuoi dimenticati simili, gli animali, e quello che ti pone sotto di
essi: il segno di Caino, l'odio verso la tua specie, la tua capacità bicefala
di fare e distruggere, formica e tarlo.
(…)
Perché vengo con voi ovunque. Sempre con lui, con lei, con te, aspettando
senza protestare, aspettando. Degli eserciti dei miei simile si è forgiata la
storia. Delle mie polveri è impastata la terra.
(…)
Dunque, chi lo direbbe, io - maschera della morte - sono il più profondo
dei tuoi segni di vita, la tua impronta finale, la tua ultima offerta di
spazzatura al pianeta che non sta più in sé stesso per tanti morti. Sebbene
perdurerò solo per breve tempo, in ogni caso molto superiore a quello che hanno
concesso a te.
(…)
Ogni bellezza ed ogni intelligenza giacciono in me, e mi ripudi. Mi vedi
come segno della paura dei morti che si rifiutano di essere morti, o morte pura
e semplice: la tua morte. Perché posso venire a galla solo col tuo naufragio.
Appaio solo quando hai toccato il fondo. Ma ad una certa età mi insinuo nei
solchi che mi disegnano, nei capelli che condividono il mio consunto biancore.
Io, il tuo vero volto, la tua apparenza ultima, il tuo viso finale che ti rende
Nessuno e diventa Legione, oggi ti offro uno specchio e ti dico: Contemplati.
(José Emilio Pacheco, “Prosa del Teschio”, da “Fine di secolo ed altre poesie”, Messico,
Fondo de Cultura Económica / Secretaría de Educación Pública, Lecturas
Mexicanas No. 44, 1984, pp. 114-117)
II. - LA PERTINENZA DELLA RIFLESSIONE
CRITICA.
“Quando l’ipocrisia comincia ad essere di
pessima
qualità, è ora di cominciare a dire la
verità”
Bertold Brecht.
La guerra dell'alto prosegue, e col suo
passo di distruzione si vorrebbe anche che tutti incomincino ad accettare
quest'orrore quotidiano come se fosse qualcosa di naturale, qualcosa di
impossibile da cambiare. Come se la confusione imperante fosse premeditata e
volesse democratizzare una rassegnazione che immobilizza, che conforma, che
sconfigge, che arrende.
In tempi in cui si organizza la confusione
e si esercita coscientemente l'arbitrio, è necessario fare qualcosa.
E qualcosa è tentare di disorganizzare
questa confusione con la riflessione critica.
Don Luis, come potrà vedere nelle missive
che le allego, si sono uniti a questo scambio di riflessioni su Etica e
Politica, Carlos Antonio Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano
e Gustavo Esteva. Speriamo che altri pensieri si aggiungano in questo spazio.
In questa seconda nostra lettera, vorrei
toccare alcuni dei punti che lei affronta nella sua risposta e che, direttamente
o indirettamente, segnalano anche i nostri corrispondenti che lanciano le loro
idee da Città del Messico, Oaxaca e Uruguay.
Tutti affrontano, con le proprie
particolarità, cioè, nel calendario e geografia propri, questo tema della
riflessione critica. Sono sicuro che nessuno di noi (lei, loro, noi)
pretendiamo di stabilire verità assolute. Il nostro proposito è lanciare il
sasso, le idee, nello stagno apparentemente tranquillo dell'attuale ambito
teorico.
La similitudine del sasso che ho usato, va
oltre la retorica della superficie momentaneamente agitata dal sasso. Si tratta
di arrivare al fondo. Di non accontentarsi dell'evidente, ma di attraversare
con irriverenza lo stagno immobile delle idee ed arrivare al fondo, sotto.
Nell'epoca attuale la riflessione critica
è apparentemente stagnante. E dico apparentemente se ci si attiene a quello che
viene presentato come riflessione teorica sui media stampati ed elettronici. E
non si tratta solo del fatto che quello che è urgente abbia soppiantato ciò che
è importante, in questo caso, i tempi elettorali la distruzione del tessuto
sociale.
Si dice, per esempio, che l'anno che ci
preoccupa, il 2011, è un anno elettorale. Bene, lo sono stati anche tutti gli
anni precedenti. Inoltre, l'unica data che non è elettorale nel calendario di
quelli che stanno sopra è… il giorno delle elezioni.
Ma ormai si vede che l'immediatezza
difficilmente può distinguere tra quello che è accaduto ieri da quello che è
successo 17 anni fa.
Salvo le “fastidiose” interruzioni dovute
alle catastrofi naturali ed umane (perché i crimini quotidiani di questa guerra
sono una catastrofe), i teorici dell'alto, o i pensatori dell'immediato,
tornano sempre sul tema elettorale… o fanno equilibrismi per legare qualunque
cosa al tema elettorale.
La teoria spazzatura, come il cibo
spazzatura, non nutre, intrattiene soltanto. E di questo sembra trattarsi se ci
atteniamo a quello che appare sulla stragrande maggioranza dei quotidiani e
delle riviste, così come nelle pagine degli “specialisti” dei media elettronici
del nostro paese.
Quando questi dispensatori di teoria
spazzatura guardano in altre parti del Mondo e deducono che le mobilitazioni
che abbattono i governi sono il prodotto di telefoni cellulari e reti sociali,
e non di organizzazione, capacità di mobilitazione e potere di convocazione,
esprimono, oltre ad un'estrema ignoranza, il desiderio inconfessato di
ottenere, senza sforzo, il loro posto nella “STORIA”. “Twitta e guadagnerai i cieli” è il loro moderno credo.
E, come i “prodotti miracolosi”, questi
esaltatori dell'Alzheimer teorico e politico, promuovono soluzioni facili per
l'attuale caos sociale.
A nessuno accade che, come si vede nelle
pubblicità, se usa la tale lozione per uomo o il tal profumo per donna, si troverà
istantaneamente in Francia, ai piedi della Torre Eiffel, o nei bar della Londra
di chi sta in alto.
Ma, come i prodotti miracolosi che
promettono di far perdere peso senza fare esercizio fisico e astenersi dal
cibo, e ci sono persone che ci credono, c'è anche chi crede che si possa avere
libertà, giustizia e democrazia solo tracciando un segno su una scheda a favore
della permanenza del Partito Azione Nazionale, dell'arrivo del Partito della
Rivoluzione Democratica o del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale.
Quando queste persone sentenziano che
esiste una sola opzione, la via elettorale o la via armata, non solo dimostra
la sua mancanza d’immaginazione e di conoscenza della storia nazionale e
mondiale. Ma anche, e soprattutto, torna a tessere la trappola che è servita da
pretesto per l'intolleranza e l’esigenza di unanimità fascista e retrograda da
parte di uno o un altro schieramento dello spettro politico.
“Brillante” analisi questa che pone
l'urgenza di definizioni… rispetto alle opzioni che impongono quelli che stanno
in alto.
Sulle false opzioni pone molto bene l’allerta
Gustavo Esteva, nel suo testo, e credo che lanci un argomento speciale in
questo scambio a distanza.
Invece di cercare di imporre i loro deboli
assiomi, potrebbero scegliere di discutere, di argomentare, di tentare di
convincere. Invece no. Si trattò e si tratta di imporre.
Credo sinceramente che a loro non
interessi discutere sul serio. E non solo perché non hanno argomenti di peso
(fino ad ora è tutto solo un elenco di buone intenzioni e ingenuità che
sfiorano il patetico, dove il Partito Azione Nazionale dimostra che lo “stile
Fox” non è un caso isolato, ma tutta una scuola di dirigenti in quel partito;
dove il Partito Rivoluzionario Istituzionale predica l'autismo rispetto alla
propria storia; dove il variopinto mondo dell'autodefinita sinistra
istituzionale vuole convincere con slogan in mancanza di argomenti), ma perché
non si vuole cambiare niente di fondo.
È perfino comico vedere gli equilibrismi
per compiacere le masse (sì, le disprezzano ma ne hanno bisogno) e
contemporaneamente corteggiare senza pudore il potere economico.
Per loro si tratta esattamente di agire
nel ristretto margine di manovra delle macerie dello Stato Nazionale in Messico,
per tentare di esorcizzare una crisi che, quando scoppierà, spazzerà via anche
loro, cioè, la classe politica nel suo insieme. Insomma: per loro è una
questione di sopravvivenza individuale.
La vocazione di informatori, delatori e
gendarmi calza bene a questa spazzatura teorica che ha animato l'isteria
intellettuale ed artistica, prima contro il movimento studentesco del 1999-2000
e del suo Consiglio Generale di Sciopero, e poi contro tutto quello che non
accettava le direttive di questo covo di poliziotti del pensiero e dell'azione.
Si vuole stabilire una differenziazione
che è piuttosto un esorcismo: ci sono loro, i perbene, cioè, i civilizzati, e
ci sono gli altri, i barbari.
Nella loro esile struttura teorica ci
sono, da una parte (sopra), gli individui brillanti, saggi, misurati, prudenti;
e dall'altra parte (sotto) c'è la massa oscura, ignorante, disordinata e
provocatoria.
Di là: i prudenti e maturi usurpatori
della rappresentatività delle maggioranze.
Di qua: le minoranze violente che
rappresentano solo sé stesse.
.......... segue
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