[Ezln-it] Governo assente nell'assistenza sanitaria in Chiapas
Annamaria
annamariamar at gmail.com
Mon Mar 2 10:00:39 CET 2009
*La Jornada – Domenica 1 marzo 2009*
* *
*Non ci sono specialisti né letti, dice il responsabile della clinica nel
caracol*
*Il governo è negligente per la mancanza di servizi medici in Chiapas*
*Hermann Bellinghausen*
*Oventic, Chis., 28 febbraio*. Dall'ambulatorio principale della clinica La
Guadalupana arriva il pianto intermittente ma intenso di un neonato, il
crepitare acuto e fragile dei suoi polmoni. Esce, preoccupato, un medico,
"cooperante" europeo, che lavora qui frequentemente. Parla col 'compagno',
si consulta con due infermieri e rientra nell'ambulatorio.
Un anziano ed un'anziana prendono sono seduti al sole, forse sono stati da
poco operati; entrambi indossano le vestaglie azzurre dell'ospedale.
Convalescenti e pazienti guardano il viale che attraversa il *caracol*,
animato come sempre. Alle loro spalle un murales con grandi ritratti di Che
Guevara ed Emiliano Zapata. Nel laboratorio di erboristeria due donne
tzotziles imbottigliano delle sostanze in boccette semitrasparenti di
plastica.
Dalla finestra della cucina attigua arrivano le canzoni e le voci zapatiste
di Radio Amanecer del Pueblo. Sue due tavoli all'aperto, altri giovani
indigeni fanno delle registrazioni: circondati da carte ascoltano le persone
che di tanto in tanto li interpellano.
Luis, responsabile di salute del *caracol* di Oventic e promotore da 15
anni, riceve il giornalista sulla terrazza dell'edificio dove ci sono aule e
camere da letto per i promotori di tutti gli Altos. Inquieto, pallido.
- Questo bambino non riesce a respirare. Ha 20 giorni. Ha dei blocchi
respiratori - spiega. La conversazione viene interrotta un paio di volte da
altri promotori che lo informano in tzotzil sui preparativi di un'auto per
il trasferimento. L'ambulanza di cui dispongono, ben equipaggiata, è in
riparazione. Hanno dovuto arrangiare un veicolo da carico Nissan.
- Nella nostra zona degli Altos sono molti i problemi di salute. È sempre
così nelle comunità indigene. Da parte del governo non ci sono stati
cambiamenti reali riguardo all’assistenza. Non è migliorata. Spendono un
mucchio di soldi, costruiscono edifici, riempiono le strade con ambulanze e
fuoristrada per il trasferimento del loro personale. Ma quando la gente ne
ha bisogno non ci sono medici, né personale, tanto meno medicine.
Sempre autocritico, Luis ammette che il servizio autonomo di salute è molto
povero. "Ci mancano molte cose", dice.
- Gli ospedali del malgoverno sono pieni di indigeni. Non ci sono letti, né
specialisti, e dicono sempre che il paziente non è grave, anche se lo è. Se
ha bisogno di ulteriori analisi, la vedono come un'impossibilità.
A volte la clinica di Oventic conta su medici volontari e sull'appoggio di
chirurghi, ma in generale si basa su proprie risorse. "Nell'assistenza alle
nostre comunità, con le nostre piccole conoscenze, ci prendiamo cura dei
malati e diamo istruzioni alle famiglie". Ed aggiunge:
- La denutrizione è un problema generale negli Altos. In alcune parti, non
in questo municipio di San Andrés, c'è la tubercolosi. Nelle nostre comunità
facciamo le vaccinazioni. E scopriamo i casi.
Benché ripeta che "manca molto", riconosce che "prima c'erano più morti, con
i nostri sforzi sono diminuiti". Smentisce quello che dicono quelli del
"malgoverno" sulla salute delle comunità zapatiste: "Non dicono la verità".
Arriva un'infermiera per avvisarlo che è tutto pronto. Luis interrompe
l'intervista, scende e sale al volante della Nissan. Sul sedile posteriore
viaggia il bebè, minuto e scuro, in braccio ad una promotrice che aggiusta
la mascherina che copre il viso del bimbo. Al suo fianco, la madre, non
molto giovane, tenta di sorridere, senza riuscirci. Nella parte posteriore
del rimorchio, sotto una tenda nera, il padre della creatura li seguirà fino
all'ospedale civile di San Cristóbal de las Casas reggendo la grossa bombola
di ossigeno collegata ai polmoni del figlio attraverso lo sportellino.
Intraprendono il viaggio il più velocemente possibile nella valle di Jovel.
Più di un'ora tra le montagne e le incessanti curve. Fino all'ospedale nel
centro di San Cristóbal. Luis si ferma all'entrata del pronto soccorso,
scende dal veicolo ed insieme alla promotrice che porta il bambino entra
nell'edificio, apre la porta senza esitazione e senza fermarsi allo
sportello né chiedere permesso. Mettono il neonato su una barella e chiedono
l'immediato intervento dei medici.
Li avvertono che non ci sono posti, né letti. I promotori zapatisti
insistono con fermezza ed un medico finisce per dare loro ascolto. Luis non
se ne va fino a che la sua compagna, aiutata da un'infermiera, mette il
bambino nel respiratore. Allora esce in strada, parla con la madre in
tzotzil. E poi mi dice, più tranquillo ma con i nervi ancora tesi:
- E' così ogni volta. Se non insistiamo noi, non ci assistono perché siamo
indigeni, credono che non lo sappiamo, a loro non importa se i nostri malati
muoiono. Se lasciamo fare a loro, sarà sempre troppo tardi, non hanno colpa,
se ne lavano le mani.
(Traduzione “*Maribel*” – Bergamo)
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