[aha] Seminario nomi collettivi

Luisa Valeriani lvaleriani a fastwebnet.it
Ven 25 Set 2009 13:35:31 CEST


Caro gadda
intanto grazie per aver messo in lista queste riflessioni.
I problemi che poni sono le domande che ci si aspetta e si spera di  
trovare in una lista come questa, e perciò non possono avere risposte  
(magari potessimo averne), ma solo essere occasione di porsi per  
l'appunto le domande.
proverò a starti dietro, almeno per quanto posso.

> Pratiche come i fake, i nomi
> collettivi, il subvertising, sono ancora pratiche efficaci
> Quali sono i rischi che esse vengano recuperate in una logica  
> “aziendale
> „? Ci sono principi tattici

il problema, come sempre, è che il capitalismo cognitivo assume e  
riassorbe ogni spinta potenzialmente "eversiva". Dal dadaismo in poi,  
è sempre accaduto che ogni espressione "pericolosa", per l'ordine  
simbolico o politico (poco importa... alla fine è sempre l'ordine  
dominante), venisse continuamente inglobata spostando i confini del  
"lecito"... O attraverso logiche contrappositive, o attraverso logiche  
inclusive. L'arte, il Sistema dell'arte, ha sempre preferito le  
logiche inclusive, a quelle esclusive e contrappositive. Il che ha  
creato spesso attriti tra sistema dell'arte e sistema politico, ma  
alla fine si tratta di scaramucce, che non intaccano la questione in  
generale: al massimo, potranno colpire le vite individuali, le  
carriere dei direttori di museo o dei curatori, per poi magari  
rilanciarle proprio in virtù delle persecuzioni censorie subite ...
Dunque, più che di "rischi" di recupero, a mio avviso si tratta di  
"certezze" del recupero, da parte di quella che una volta chiamavamo  
"controparte" (bei tempi) ... Il che non significa però abbandonare il  
campo. Spostare i termini della significazione è un'operazione  
comunque da perseguire, sempre. Solo da lì, a mio avviso, può nascere  
il nuovo, l'imprevisto, l'inciampo. Spostare, deviare, sdefinire,  
mutare senso, sono attività "tattiche" che "inventano" il quotidiano,  
come ci dice de Certeau. Sono le uniche pratiche creative che  
intravedo, il motivo per cui appassionatamente ho abbracciato la rete  
come mondo, e il p2p come battaglia.
però è chiaro che né la nostra immaginazione creativa, né la nostra  
fantasia "situata" ci faranno fare SALTI, se resteremo avanguardie. Il  
punto sono i rapporti di forza, la capacità di spostare la coscienza  
collettiva, quali capitali (sociali, culturali, finanziari) siamo in  
grado di mettere in gioco a nostro favore nei territori dei conflitti  
in cui ci battiamo. (E poi, uso un noi che non so neppure a quale  
soggetti corrisponda davvero... ma passatemi il plurale, almeno in qs  
lista!).
La domanda è: quanto Luther Blissett ha spostato nel mercato della  
coscienza collettiva, e quanto il risultato ottenuto soddisfa le  
aspettative? Non può esserci risposta univoca, a qs domanda, perché  
molto dipende dalle storie individuali, dalle impazienze delle attese,  
dai ruoli sociali... però, in un bilancio politico-culturale (sempre  
come dicevamo una volta...), sicuramente ha almeno spostato  
l'immaginario collettivo. E allora ben vengano altri analoghi  
esperimenti, sempre con beneficio d'inventario... Anna Adamolo è  
riuscita a far cadere la Gelmini? No, e questa è una sconfitta  
verticale.  ma avrebbe potuto farlo? No. E allora su quali basi  
valutiamo l'efficacia politica? Però Anna adamolo ha costretto la  
Gelmini  a stanarsi, a esporre il governo come pratica di violenza,  
nell'esercizio del potere? Si, e questa è una vittoria (?!) ... anche  
se mi resta il sospetto che l'esperienza di fatto degli utenti della  
scuola abbia smascherato la gelmini in modo ben più ampio di quanto  
abbia fatto Anna... però certo, Anna ha dato un volto collettivo allo  
scontento (che non è stata troppo anomala come onda, però), e  
condivido il discorso sul nome collettivo come esperienza etica di  
condivisione che abbatte le soggettività autoriali e individuali.  
Quanto all'esperienza del Miart forse ne so troppo poco, o forse  
conosco troppo bene il mondo dell'arte per poter andare oltre il  
sorriso. certo, nel buio anche sorridere è però importante... e  
creativo. Ma temo che non avere più sponde di rappresentanza politica  
(per quanto io abbia giovanilisticamente salutato con speranza, negli  
anni appena passati, la fine della politica "moderna") ci abbia  
precipitato in un baratro da cui sarà molto difficile uscire. E in  
questo senso e in questa prospettiva, anche  simbolizzazioni come i  
nomi collettivi hanno funzione liberante.  Addirittura educativa. Il  
problema vero, per me, è che mi sembrano lontane le condizioni del  
mutamento...
E nel frattempo, turandomi il naso, vado oggi a votare la mozione  
marino alla sezione del pd (!!! sì, hai letto bene...) per poter dire  
a me stessa di aver fatto qualcosa per avere almeno un partito  
d'opposizione laico, garantista e riformista... Sto sorridendo di me,  
e il sorriso è l'esatto complementare di quello di prima.
ciao, lv

Il giorno 24/set/09, alle ore 17:39, gadda1944 at libero.it ha scritto:

> Ho scritto un breve testo introduttivo al seminario su fake, nomi  
> collettivi e
> movimenti. In attesa che sia pronto il wiki lo posto in lista.  
> Vorrei mandarlo
> quanto prima a coloro che abbi9amo pensato di coinvolgere nella  
> discussione
> (San Precario, Serpica Naro, Anna Adamolo).
>
> gadda
>
>
> _____________________________________________________________________________
>
> FAKE E NOMI COLLETTIVI FRA “ARTE„ E MOVIMENTI
>
> "La comunicazione comprende
> molti più processi di quanto faccia supporre una diffusa visione  
> tecnicistica:
> essa non si limita ai mass media o a tecnologie come fax, cellulari,  
> computer e
> modem; queste cianfrusaglie, se da un lato possono tornare utili,  
> dall'altro
> vengono enormemente sopravvalutate. Almeno altrettanto importanti  
> delle
> tecnologie di comunicazione sono le forme di comunicazione  
> quotidiana faccia a
> faccia, e le strutture sociali di comunicazione, nelle quali i  
> rapporti di
> forza vengono continuamente prodotti e riprodotti. Agire  
> diversamente dal
> previsto all'interno di queste strutture, sotttarsi a determinate  
> forme della
> comunicazione e del dialogo, può rivelarsi una chiara ed efficace  
> critica a
> poteri presuntamente “naturali„ e dati per scontati (…) Il come si  
> critica è
> altrettanto se non più importante del cosa si critica. "
> "Il nome multiplo
> annulla la distinzione tra individuo e collettività. Come per magia,  
> esso
> inizia i singoli alla vita collettiva del personaggio immaginario,  
> nella quale
> si identifica il movimento e la forza di una moltitudine invisibile.  
> La
> moltitudine prende forma, e diviene soggetto agente, nella forma  
> della persona
> immaginaria. (…) [I nomi multipli] costituiscono l'attacco più  
> incisivo ai
> moderni concetti di soggettività e identità borghese, dimostrano  
> chiaramente la
> natura illusoria  di tali concetti, e fanno riemergere antiche  
> immagini, verità
> senza tempo: l'identità non è che articolazione e punto  
> d'intersezione di
> pratiche collettive, oltre le quali non esiste alcuna “essenza  
> umana„. Tale
> potenza sovversiva del nome multiplo si dispiega solo nella prassi  
> concreta."
>
> (autonome a.f.r.i.k.a. gruppe, Luther Blissett, Sonja Brünzels,  
> Comunicazione-
> guerriglia. Tattiche di agitazione gioiosa e resistenza ludica  
> all'oppressione
> [1997], DeriveApprodi, Roma 2001, p. 17 e 37-39.)
>
> Le domande che vorremmo
> porre in questo seminario sono le seguenti:
>
> Pratiche come i fake, i nomi
> collettivi, il subvertising, sono ancora pratiche efficaci per  
> criticare la
> “naturalità„ delle forme di vita imposte nel semiocapitalismo e  
> costruirne di
> nuove? Quali sono i rischi che esse vengano recuperate in una logica  
> “aziendale
> „? Ci sono principi tattici che ne migliorano e ne potenziano l'uso?
>
> Sono
> domande che nascono da diversi ambiti. Per esempio dal modo in cui i  
> media
> mainstream si sono spesso appropriati di tali pratiche, esaltandone  
> gli
> elementi di visibilità e occultandone la valenza relazionale; o dal  
> modo in cui
> la duttilità della strategie del branding può tentare di  
> trasformarle in
> normali pratiche di mercato. Limitando per il momento la riflessione  
> ai nomi
> collettivi, alcune esperienze hanno ormai una vita abbastanza lunga  
> (San
> Precario, Serpica Naro) e dalle diverse tattiche con cui sono state  
> declinate
> negli anni si possono probabilmente trarre utilissime lezioni sul  
> rapporto fra
> l'analisi teorica che le ha sostenute, le pratiche conoscitive che  
> esse hanno
> messo in campo, e il rapporto che hanno saputo costruire con le  
> esperienze di
> lotta concreta. Altre esperienze (come Anna Adamolo) hanno una vita  
> più breve
> ma, facendo tesoro di quelle che le hanno precedute, si prestano a  
> interrogarsi
> sul rapporto fra tattiche comunicative e condizione dei soggetti  
> sociali a cui
> si riferivano (in questo caso, gli studenti). Altre ancora sono solo  
> agli
> inizi, o magari solo in gestazione (p. es. Fosco Loiti Celant), e  
> proprio la
> breve durata della loro vita permette di chiederci quale sia il modo  
> migliore
> per svilupparle.
> Una questione che si pone in modo abbastanza evidente è quella
> del rapporto che si può creare fra questi “falsi brand„ e l'utilizzo  
> tattico
> delle istituzioni: come utilizzare le occasioni di rapporto con le  
> istituzioni
> che si offrono (p. es. nel caso di finanziamenti) senza perdere il  
> legame con
> le realtà sociali da cui nascono? Un'altra domanda che possiamo  
> porci è se i
> nomi collettivi che nascono in un ambito sociale molto determinato e  
> preciso
> (p. es. Fosco Loiti Celant) debbano preferibilmente agire in  
> quell'ambito (in
> questo caso le Accademie e il mondo dell'arte) o se sia preferibile  
> svilupparle
> in contesti sociali più ampi.
>
> Lo scopo del seminario non è tanto quello di
> trovare risposte complete a queste domande, quanto quello di  
> aiutarci a
> formularle in modo corretto e utile.
>
>
>
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