[aha] vi giro - LA FINE DELL'ANTROPOLOGIA

pAt iechieri at libero.it
Thu Aug 14 16:49:57 CEST 2008


Salve prof, salve a tutti...
io mi ritrovo perfettamente in quello che ha detto, e ci terrei a fare 
delle considerazioni da un punto di vista di studente.
Anche perché l'aspetto della didattica mi interessa molto,
e sto lavorando ad un progetto che riguarderà alcuni di voi e di cui 
avrete notizia nelle prossime settimane.

Sento molto presente l'ottica puramente lavorativa un po in tutte quelle 
istituzioni dove vengono professate
quelle che possono essere chiamate "arti applicate". Ma in particolar 
modo sento questo presente in NABA,
sia nelle sue logiche di funzionamento ma soprattutto nell'approccio che 
osservo nella maggior parte degli studenti.
Un approccio che ho visto sempre più stimolante in accademie pubbliche.
In cui, nel bene o nel male, mi sembra esserci più interesse verso una 
teoria non funzionale ad un lavoro,
ma funzionale ad una crescita personale, e a mio avviso, 
conseguentemente al lavoro.
E' stato anche questo uno dei motivi per cui (a causa di un particolare 
percorso di studi...) il prossimo anno probabilmente
non rimarrò in NABA, ma andrò in un' accademia pubblica.

Per me è chiaro che in una concezione capitalistica (con accezione ne 
positiva ne negativa...)
siano gli studenti/domanda a determinare i docenti/offerta. Per cui non 
mi stupisco,
e forse sarebbe anche giusto (ne senso che uno studi quello che vuole)
se non fosse solo l'antropologia a sparire, ma tutte le materie teoriche 
in determinati contesti accademici.
Per cui per me il problema è alla radice, e queste sono solo dinamiche 
naturali.

Ad ogni modo, secondo me, a parte le posizioni di "élite", vedo una vera 
urgenza
nello stimolare l'approccio critico negli studenti, che cresciuti in una 
cultura puramente televisiva,
hanno una totale passività nei contenuti/forme che gli vengono proposti.

Per quanto riguarda l'alienazione non sono pienamente concorde con il 
suo discorso.
Penso che raggiungere uno stato di buona consapevolezza possa solo 
alimentare l'alienazione
nei confronti del mondo e dei meccanismi degli ambiti professionali e 
sociali.
La consapevolezza da comunque una possibilità di scelta nel mondo.
Ma del resto, c'è chi sceglie di non scegliere e di non farsi domande, 
che è sicuramente la soluzione più comoda.

Non ero presente all'intervento di Paolo Rigamonti, ma penso di aver 
capito la sua posizione,
e al condivido pienamente. In alcune circostanze, i workshop possono 
essere esperienze molto utili
anche da un punto di vista didattico. E' vero che molte situazioni sono 
strutturate su una formazione
nozionistica, e frammentaria, cosa non sbagliata in se (a mio avviso) ma 
il multitasking lo lascerei fare ai computer.
Penso che un filo logico molto forte sia importate.
Trovo illuminante la posizione espressa da McLuhan ormai quaranta anni fa,
in cui affermava che le scuole sono "penitenziari intellettuali" e che 
l'istruzione dovrebbe essere semplificata.
Concetto che si potrebbe ampliare anche alle concezioni estetiche e di 
information design più attuali...
Per cui non amo particolarmente i corsi/minestrone in cui non puoi 
ampliare le ricerche, ma le devi filtrare.

grazie per la pazienza


Alessio Chierico




-- 


o0 pAt 0o



http://chierico.altervista.org
http://bloggo.oziosi.org/pensieri

“Non c'è nulla che sia dotato di vita - dall'uomo, che ha reso schiavi 
gli elementi, alla più agile creatura - in tutto questo pianeta che non 
oscilli durante una rotazione. Ogni volta che un'azione sia generata da 
una forza, anche infinitesimale, il bilancio cosmico viene alterato ed 
il moto universale ne risente degli effetti.” (Nikola Tesla)
> Message: 1
> Date: Wed, 13 Aug 2008 11:56:51 +0200
> From: "francesco monico" <francescomonico at gmail.com>
> Subject: Re: [aha] vi giro - LA FINE DELL'ANTROPOLOGIA
> To: "List on artistic activism and net culture" <aha at ecn.org>
> Message-ID:
> 	<9629acde0808130256of2ac153o56a6bc05c81153d7 at mail.gmail.com>
> Content-Type: text/plain; charset="windows-1252"
>
> La lettera di Massimo Canevacci mi era stata inoltrata circa un mese fa e
> l'avevo inoltrata all'attenzione del Consiglio Accademico della NABA, con
> mia grande sorpresa al posto di riscuotere l'unanime consenso dei direttori
> delle singole Scuole (Design, Moda, Graphic Design & Art Direction,
> Scenografia, Arti Visive,  Media Design e Arti Multimediali, Design della
> Comunicazione) ha letteralmente spaccato il consiglio. Infatti il
> sottoscritto (e la Direzione NABA) appoggiava apertamente la posizione di
> Canevacci mentre altre didattiche ne criticavano il contenuto.
>
> Che dire? In qualità di Direttore della Scuola di Media Design & Arti
> Multimediali cerco quotidianamente di mantenere (e rinforzare) gli
> insegnamenti critico teorici, per questo ho invitato a diventare parte del
> corpo docente Naba importanti pensatori critici in grado di strutturare
> percorsi teorici come Antonio Caronia, Pierluigi Capucci, Derrick De
> Kerckhove, Marco Scotini e giovani come Marco Mancuso, Lorenza Pignatti
> (...), e abbiamo invitato come speaker personaggi dei new media italiani
> come Tommaso Tozzi, Paolo Pedercini, Tatiana Bazzichelli, Donatella della
> Ratta, Giacomo Verde e internazionali come Roy Ascott, Jill Scott, Marcos
> Novak, Jens Hauser, Natasha Vita More, Roger Malina... La cosa interessante
> è il totale disinteresse verso questi personaggi da parte di affermati
> professionisti italiani della 'creatività' (sic!). Infatti in questi
> incontri non ho mai visto nessuna delle firme della creatività e del design
> presenti a milano o in accademia.
>
> Oggi esiste un 'discorso forte' che cerca di focalizzare tutta la
> preparazione degli studenti su una ipotetica ricaduta lavorativa, la
> didattica viene gisutificata dai numeri degli inscritti e i meriti del corpo
> docente ridotti agli apprezzamenti degli stessi studenti. La situazione
> rischia di diventare pesante, infatti qualsiasi persona coerente sa che non
> è possibile insegnare un mestiere in tre anni o in due, e che sopratutto non
> è importante saper fare ma bisogna sapere pensare per potersi adattare
> criticamente ai vari scenari che si presenteranno nel mondo del lavoro
> (sopratutto in un epoca di grande accelerazione tecnologica come questa).
> Importante è gestire l'alienazione nel lavoro e nella vita attraerso una
> base storico-critica che ci permetta di desumere dei modelli ai quali
> appartenere.
>
> Credo che per i giovani sia oggi fondamentale venire in possesso di
> strumenti critico-metodologici che gli permettano di districarsi e di
> aggiornare il loro pensiero in un'epoca di grande mutamemento come quella
> bellissima che stiamo vivendo. Ma esiste una tendenza a ridurre la didattica
> a workshop che sono molto comodi, infatti durano poco, costano poco, hanno
> risultati concreti e visibili e riempiono le università accademie di
> 'visiting professor' magari conosciuti con cui fare comunicazione.
> Quest'onda sembra avere le coordinate del design e delle arti visive? Si può
> dire? Non so, certo che al convegno New Media Education & Research 2008 uno
> degli interventi più interessanti (oltre a quello di Caronia, ndr) è stato
> quello di Paolo Rigamonti sull'evanescenza del modello workshop.
> se volete dare un occhio:
> http://www.francescomonico.com/m-node/newmediaeducation/mnode_newmediaeducation.html
> (scusate l'indirizzo ma è un mirror perché il sito orginale è giù per un
> comportamento imbarazzante di tiscali)
>
> Ecco noi ci siamo attrezzati con il convegno che, inspirato su un modello
> realizzato nel 2007 da Tommaso Tozzi, vorrebbe dare un contributo alle
> problematiche della pedagogia e della didattica dell'alta formazione
> artistica.
>
> Idealmente anche in risposta alla lettera di Canevacci.
>
> Qualsiasi consiglio, pensiero, critica è il benvenuto
>
> Francesco Monico
>
>
>
>
>
> Il giorno 12 agosto 2008 12.28, synusia <synusia at libero.it> ha scritto:
>
>   
>>  ve la giro come luogo di riflessione - e del resto quello che riguarda
>> massimo canevacci non potrebbe che essere cosí. una mente fuori dal
>> comune...ok - sono certa sara' di vostro interesse.
>>
>> a presto synusi@ cyborg
>>
>>
>>
>> Lettera aperta per la Facoltà di Scienze della Comunicazione
>> dell'Università "La Sapienza" di Roma
>> Massimo Canevacci
>>
>>  Le nuove scelte didattiche della Facoltà di Scienze della Comunicazione
>> dell'Università "La Sapienza" mi impongono di rendere pubbliche alcune
>> perplessità, poiché, a fronte di un'indubbia crisi dell'ordinamento
>> triennale, si è deciso di ristrutturare l'ordine degli studi secondo una
>> visione della
>> comunicazione restaurativa e schiacciata sull'esistente.
>> In tal modo, la scienza della comunicazione rischia di ridursi a una
>> preparazione professionale di taglio giornalistico; le connessioni
>> sperimentali e trans-disciplinari con quanto emerge nella comunicazione
>> digitale (estesa tra design, architettura, pubblicità, performance, musiche,
>> moda, arte ecc.) spesso risultano incomprese, "non controllate" o
>>  neutralizzate in "tecniche"; e vengono ignorate, di conseguenza, quelle
>> ricerche che stanno tentando
>> modificare paradigmi espositivi, composizioni espressive, narrazioni
>> multisequenziali.
>> Tale tendenziale rinchiudersi della comunicazione dentro un giornalismo
>> asfittico e un'apologia dei media impoverisce la Facoltà, trasforma i
>> docenti in funzionari dell'"industria culturale", addestra gli studenti alla
>> rinuncia
>> all'innovazione e all'assenso disciplinato, chiude alle nuove
>> professionalità che attraversano visioni, stili, linguaggi, è indifferente
>> alle prospettive che
>> nelle università estere da tempo vengono applicate in questo ambito (si
>> veda il ruolo dell'antropologia culturale nei Media Studies in tante
>> università estere - MIT, Humboldt Universität,  Escola de Comunicação e
>> Arte). Tutto questo
>> rischia di configurare provincialismo disciplinare, endogamia mass-mediale,
>> diffidenza dell'emergente, sottrazione delle potenzialità digitali.
>>
>> La materia che ho insegnato per più 20 anni – Antropologia Culturale,
>> materia fondamentale per gli studenti di primo anno  – è stata soppressa,
>> mentre a Roma, in Italia e ovunque, sarebbe necessario moltiplicare le
>> ricerche con
>> questo orientamento, per contrastare le pericolosissime onde razziste, le
>> chiusure localistiche, i decisionismi verticistici, le grettezze mediatiche.
>> Si è preferito, invece,  puntare su materie "classiche" (diritto e storia),
>> eliminando la prima delle tre discipline fondamentali delle scienze sociali
>> (antropologia, sociologia, psicologia). Il docente che la insegnava viene
>> "esiliato" al terzo anno del corso di laurea di Cooperazione e Sviluppo, con
>> una materia denominata Comunicazione Interculturale. Già nel titolo del
>> corso si esprime la continuità di un dominio neo-coloniale dell'Occidente
>> verso un mondo "altro": che la "cooperazione" sia focalizzata a dare aiuti
>> economici ai
>> laureandi e ai rispettivi Paesi di residenza, piuttosto che all'"altro",
>> dovrebbe essere ormai evidente; e sulla critica al concetto di "sviluppo"
>> sono stati scritti così tanti saggi prima e dopo il '68 che è noioso solo
>> ricordarlo. Quindi si crea una materia come Comunicazione Interculturale,
>> che
>> fin dal nome rafforza chiusure identitarie e culturali, regressioni
>> scientifiche e formative, che purtroppo appaiono in sintonia con quelle
>> politiche da "lega romana" adeguate al clima imperante, in cui un
>> cattolicesimo appiccicoso cerca di controllare governi e opposizioni,
>> atenei, facoltà,
>> docenti.
>>
>> I riferimenti cui la mia cattedra si è ispirata sono collocati, tra gli
>> altri, nel filone antropologico inaugurato da Gregory Bateson: che, a
>> partire dalle
>> sue ricerche anticipatrici a Bali, hanno permesso di elaborare il doppio
>> vincolo, concetto tra i più straordinari applicato sia alla comunicazione
>> "normalmente" psico-patologica che ai mass media nascenti; fino alla sua
>> collaborazione con Wiener per le primissime ricerche sulla cibernetica.
>> Anziché dedicarsi a santi e madonne, processioni e proverbi – temi troppo
>> spesso
>> esclusivi nell'insegnamento di questa materia da noi – la ricerca
>> antropologica di Bateson si inserisce nei flussi già all'epoca emergenti di
>> comunicazione, tecnologia, alterità.
>> Infine, questa lettera non rivendica nulla di personale (vado in pensione
>> dal prossimo anno e lascio quindi questa Facoltà). Essa esprime un
>> posizionamento politico-culturale che individua, nella crisi crescente e
>> apparentemente
>> irreversibile della Facoltà di Scienze della Comunicazione, un problema su
>> cui indirizzare la riflessione critica nell'interesse di docenti, studenti,
>> impiegati: di chiunque viva e respiri l'aria di un'università che cerchi di
>> dare senso ai futuri possibili e non si limiti a replicare il peggio dei
>> presenti mediatizzati.
>>
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