[aha] vi giro - LA FINE DELL'ANTROPOLOGIA

gadda1944 gadda1944 at libero.it
Thu Aug 14 17:42:19 CEST 2008


Ivan Illich, "Descolarizzare la società. Per una alternativa all'istituzione scolastica" [1970], ed. it. Mondadori 1972, non so se è ancora disponibile...

Un ottimo antidoto contro tutte le illusioni sulla didattica e  sul ruolo "progressivo" delle scuole. 

Faccio i miei migliori auguri ad Alessio, ma tutte le università ormai, pubbliche o private (e non parliamo delle accademie), si stanno trasformando in qualcosa di molto simile a un super-IED, cioè scuole professionali di alto livello che addestrano gli studenti a diventare marchettari. Che poi è quello che in fondo vogliono loro per primi (con le debite ma ahimé ininfluenti eccezioni)...

gadda



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>From      : aha-bounces at ecn.org
To          : aha at ecn.org
Cc          : 
Date      : Thu, 14 Aug 2008 16:49:57 +0200
Subject : Re: Re: [aha] vi giro - LA FINE DELL'ANTROPOLOGIA







> Salve prof, salve a tutti...
> io mi ritrovo perfettamente in quello che ha detto, e ci terrei a fare 
> delle considerazioni da un punto di vista di studente.
> Anche perché l'aspetto della didattica mi interessa molto,
> e sto lavorando ad un progetto che riguarderà alcuni di voi e di cui 
> avrete notizia nelle prossime settimane.
> 
> Sento molto presente l'ottica puramente lavorativa un po in tutte quelle 
> istituzioni dove vengono professate
> quelle che possono essere chiamate "arti applicate". Ma in particolar 
> modo sento questo presente in NABA,
> sia nelle sue logiche di funzionamento ma soprattutto nell'approccio che 
> osservo nella maggior parte degli studenti.
> Un approccio che ho visto sempre più stimolante in accademie pubbliche.
> In cui, nel bene o nel male, mi sembra esserci più interesse verso una 
> teoria non funzionale ad un lavoro,
> ma funzionale ad una crescita personale, e a mio avviso, 
> conseguentemente al lavoro.
> E' stato anche questo uno dei motivi per cui (a causa di un particolare 
> percorso di studi...) il prossimo anno probabilmente
> non rimarrò in NABA, ma andrò in un' accademia pubblica.
> 
> Per me è chiaro che in una concezione capitalistica (con accezione ne 
> positiva ne negativa...)
> siano gli studenti/domanda a determinare i docenti/offerta. Per cui non 
> mi stupisco,
> e forse sarebbe anche giusto (ne senso che uno studi quello che vuole)
> se non fosse solo l'antropologia a sparire, ma tutte le materie teoriche 
> in determinati contesti accademici.
> Per cui per me il problema è alla radice, e queste sono solo dinamiche 
> naturali.
> 
> Ad ogni modo, secondo me, a parte le posizioni di "élite", vedo una vera 
> urgenza
> nello stimolare l'approccio critico negli studenti, che cresciuti in una 
> cultura puramente televisiva,
> hanno una totale passività nei contenuti/forme che gli vengono proposti.
> 
> Per quanto riguarda l'alienazione non sono pienamente concorde con il 
> suo discorso.
> Penso che raggiungere uno stato di buona consapevolezza possa solo 
> alimentare l'alienazione
> nei confronti del mondo e dei meccanismi degli ambiti professionali e 
> sociali.
> La consapevolezza da comunque una possibilità di scelta nel mondo.
> Ma del resto, c'è chi sceglie di non scegliere e di non farsi domande, 
> che è sicuramente la soluzione più comoda.
> 
> Non ero presente all'intervento di Paolo Rigamonti, ma penso di aver 
> capito la sua posizione,
> e al condivido pienamente. In alcune circostanze, i workshop possono 
> essere esperienze molto utili
> anche da un punto di vista didattico. E' vero che molte situazioni sono 
> strutturate su una formazione
> nozionistica, e frammentaria, cosa non sbagliata in se (a mio avviso) ma 
> il multitasking lo lascerei fare ai computer.
> Penso che un filo logico molto forte sia importate.
> Trovo illuminante la posizione espressa da McLuhan ormai quaranta anni fa,
> in cui affermava che le scuole sono "penitenziari intellettuali" e che 
> l'istruzione dovrebbe essere semplificata.
> Concetto che si potrebbe ampliare anche alle concezioni estetiche e di 
> information design più attuali...
> Per cui non amo particolarmente i corsi/minestrone in cui non puoi 
> ampliare le ricerche, ma le devi filtrare.
> 
> grazie per la pazienza
> 
> 
> Alessio Chierico
> 
> 
> 
> 
> -- 
> 
> 
> o0 pAt 0o
> 
> 
> 
> http://chierico.altervista.org
> http://bloggo.oziosi.org/pensieri
> 
> "Non c'è nulla che sia dotato di vita - dall'uomo, che ha reso schiavi 
> gli elementi, alla più agile creatura - in tutto questo pianeta che non 
> oscilli durante una rotazione. Ogni volta che un'azione sia generata da 
> una forza, anche infinitesimale, il bilancio cosmico viene alterato ed 
> il moto universale ne risente degli effetti." (Nikola Tesla)
> > Message: 1
> > Date: Wed, 13 Aug 2008 11:56:51 +0200
> > From: "francesco monico" <francescomonico at gmail.com>
> > Subject: Re: [aha] vi giro - LA FINE DELL'ANTROPOLOGIA
> > To: "List on artistic activism and net culture" <aha at ecn.org>
> > Message-ID:
> > 	<9629acde0808130256of2ac153o56a6bc05c81153d7 at mail.gmail.com>
> > Content-Type: text/plain; charset="windows-1252"
> >
> > La lettera di Massimo Canevacci mi era stata inoltrata circa un mese fa e
> > l'avevo inoltrata all'attenzione del Consiglio Accademico della NABA, con
> > mia grande sorpresa al posto di riscuotere l'unanime consenso dei direttori
> > delle singole Scuole (Design, Moda, Graphic Design & Art Direction,
> > Scenografia, Arti Visive,  Media Design e Arti Multimediali, Design della
> > Comunicazione) ha letteralmente spaccato il consiglio. Infatti il
> > sottoscritto (e la Direzione NABA) appoggiava apertamente la posizione di
> > Canevacci mentre altre didattiche ne criticavano il contenuto.
> >
> > Che dire? In qualità di Direttore della Scuola di Media Design & Arti
> > Multimediali cerco quotidianamente di mantenere (e rinforzare) gli
> > insegnamenti critico teorici, per questo ho invitato a diventare parte del
> > corpo docente Naba importanti pensatori critici in grado di strutturare
> > percorsi teorici come Antonio Caronia, Pierluigi Capucci, Derrick De
> > Kerckhove, Marco Scotini e giovani come Marco Mancuso, Lorenza Pignatti
> > (...), e abbiamo invitato come speaker personaggi dei new media italiani
> > come Tommaso Tozzi, Paolo Pedercini, Tatiana Bazzichelli, Donatella della
> > Ratta, Giacomo Verde e internazionali come Roy Ascott, Jill Scott, Marcos
> > Novak, Jens Hauser, Natasha Vita More, Roger Malina... La cosa interessante
> > è il totale disinteresse verso questi personaggi da parte di affermati
> > professionisti italiani della 'creatività' (sic!). Infatti in questi
> > incontri non ho mai visto nessuna delle firme della creatività e del design
> > presenti a milano o in accademia.
> >
> > Oggi esiste un 'discorso forte' che cerca di focalizzare tutta la
> > preparazione degli studenti su una ipotetica ricaduta lavorativa, la
> > didattica viene gisutificata dai numeri degli inscritti e i meriti del corpo
> > docente ridotti agli apprezzamenti degli stessi studenti. La situazione
> > rischia di diventare pesante, infatti qualsiasi persona coerente sa che non
> > è possibile insegnare un mestiere in tre anni o in due, e che sopratutto non
> > è importante saper fare ma bisogna sapere pensare per potersi adattare
> > criticamente ai vari scenari che si presenteranno nel mondo del lavoro
> > (sopratutto in un epoca di grande accelerazione tecnologica come questa).
> > Importante è gestire l'alienazione nel lavoro e nella vita attraerso una
> > base storico-critica che ci permetta di desumere dei modelli ai quali
> > appartenere.
> >
> > Credo che per i giovani sia oggi fondamentale venire in possesso di
> > strumenti critico-metodologici che gli permettano di districarsi e di
> > aggiornare il loro pensiero in un'epoca di grande mutamemento come quella
> > bellissima che stiamo vivendo. Ma esiste una tendenza a ridurre la didattica
> > a workshop che sono molto comodi, infatti durano poco, costano poco, hanno
> > risultati concreti e visibili e riempiono le università accademie di
> > 'visiting professor' magari conosciuti con cui fare comunicazione.
> > Quest'onda sembra avere le coordinate del design e delle arti visive? Si può
> > dire? Non so, certo che al convegno New Media Education & Research 2008 uno
> > degli interventi più interessanti (oltre a quello di Caronia, ndr) è stato
> > quello di Paolo Rigamonti sull'evanescenza del modello workshop.
> > se volete dare un occhio:
> > http://www.francescomonico.com/m-node/newmediaeducation/mnode_newmediaeducation.html
> > (scusate l'indirizzo ma è un mirror perché il sito orginale è giù per un
> > comportamento imbarazzante di tiscali)
> >
> > Ecco noi ci siamo attrezzati con il convegno che, inspirato su un modello
> > realizzato nel 2007 da Tommaso Tozzi, vorrebbe dare un contributo alle
> > problematiche della pedagogia e della didattica dell'alta formazione
> > artistica.
> >
> > Idealmente anche in risposta alla lettera di Canevacci.
> >
> > Qualsiasi consiglio, pensiero, critica è il benvenuto
> >
> > Francesco Monico
> >
> >
> >
> >
> >
> > Il giorno 12 agosto 2008 12.28, synusia <synusia at libero.it> ha scritto:
> >
> >   
> >>  ve la giro come luogo di riflessione - e del resto quello che riguarda
> >> massimo canevacci non potrebbe che essere cosí. una mente fuori dal
> >> comune...ok - sono certa sara' di vostro interesse.
> >>
> >> a presto synusi@ cyborg
> >>
> >>
> >>
> >> Lettera aperta per la Facoltà di Scienze della Comunicazione
> >> dell'Università "La Sapienza" di Roma
> >> Massimo Canevacci
> >>
> >>  Le nuove scelte didattiche della Facoltà di Scienze della Comunicazione
> >> dell'Università "La Sapienza" mi impongono di rendere pubbliche alcune
> >> perplessità, poiché, a fronte di un'indubbia crisi dell'ordinamento
> >> triennale, si è deciso di ristrutturare l'ordine degli studi secondo una
> >> visione della
> >> comunicazione restaurativa e schiacciata sull'esistente.
> >> In tal modo, la scienza della comunicazione rischia di ridursi a una
> >> preparazione professionale di taglio giornalistico; le connessioni
> >> sperimentali e trans-disciplinari con quanto emerge nella comunicazione
> >> digitale (estesa tra design, architettura, pubblicità, performance, musiche,
> >> moda, arte ecc.) spesso risultano incomprese, "non controllate" o
> >>  neutralizzate in "tecniche"; e vengono ignorate, di conseguenza, quelle
> >> ricerche che stanno tentando
> >> modificare paradigmi espositivi, composizioni espressive, narrazioni
> >> multisequenziali.
> >> Tale tendenziale rinchiudersi della comunicazione dentro un giornalismo
> >> asfittico e un'apologia dei media impoverisce la Facoltà, trasforma i
> >> docenti in funzionari dell'"industria culturale", addestra gli studenti alla
> >> rinuncia
> >> all'innovazione e all'assenso disciplinato, chiude alle nuove
> >> professionalità che attraversano visioni, stili, linguaggi, è indifferente
> >> alle prospettive che
> >> nelle università estere da tempo vengono applicate in questo ambito (si
> >> veda il ruolo dell'antropologia culturale nei Media Studies in tante
> >> università estere - MIT, Humboldt Universität,  Escola de Comunicação e
> >> Arte). Tutto questo
> >> rischia di configurare provincialismo disciplinare, endogamia mass-mediale,
> >> diffidenza dell'emergente, sottrazione delle potenzialità digitali.
> >>
> >> La materia che ho insegnato per più 20 anni - Antropologia Culturale,
> >> materia fondamentale per gli studenti di primo anno  - è stata soppressa,
> >> mentre a Roma, in Italia e ovunque, sarebbe necessario moltiplicare le
> >> ricerche con
> >> questo orientamento, per contrastare le pericolosissime onde razziste, le
> >> chiusure localistiche, i decisionismi verticistici, le grettezze mediatiche.
> >> Si è preferito, invece,  puntare su materie "classiche" (diritto e storia),
> >> eliminando la prima delle tre discipline fondamentali delle scienze sociali
> >> (antropologia, sociologia, psicologia). Il docente che la insegnava viene
> >> "esiliato" al terzo anno del corso di laurea di Cooperazione e Sviluppo, con
> >> una materia denominata Comunicazione Interculturale. Già nel titolo del
> >> corso si esprime la continuità di un dominio neo-coloniale dell'Occidente
> >> verso un mondo "altro": che la "cooperazione" sia focalizzata a dare aiuti
> >> economici ai
> >> laureandi e ai rispettivi Paesi di residenza, piuttosto che all'"altro",
> >> dovrebbe essere ormai evidente; e sulla critica al concetto di "sviluppo"
> >> sono stati scritti così tanti saggi prima e dopo il '68 che è noioso solo
> >> ricordarlo. Quindi si crea una materia come Comunicazione Interculturale,
> >> che
> >> fin dal nome rafforza chiusure identitarie e culturali, regressioni
> >> scientifiche e formative, che purtroppo appaiono in sintonia con quelle
> >> politiche da "lega romana" adeguate al clima imperante, in cui un
> >> cattolicesimo appiccicoso cerca di controllare governi e opposizioni,
> >> atenei, facoltà,
> >> docenti.
> >>
> >> I riferimenti cui la mia cattedra si è ispirata sono collocati, tra gli
> >> altri, nel filone antropologico inaugurato da Gregory Bateson: che, a
> >> partire dalle
> >> sue ricerche anticipatrici a Bali, hanno permesso di elaborare il doppio
> >> vincolo, concetto tra i più straordinari applicato sia alla comunicazione
> >> "normalmente" psico-patologica che ai mass media nascenti; fino alla sua
> >> collaborazione con Wiener per le primissime ricerche sulla cibernetica.
> >> Anziché dedicarsi a santi e madonne, processioni e proverbi - temi troppo
> >> spesso
> >> esclusivi nell'insegnamento di questa materia da noi - la ricerca
> >> antropologica di Bateson si inserisce nei flussi già all'epoca emergenti di
> >> comunicazione, tecnologia, alterità.
> >> Infine, questa lettera non rivendica nulla di personale (vado in pensione
> >> dal prossimo anno e lascio quindi questa Facoltà). Essa esprime un
> >> posizionamento politico-culturale che individua, nella crisi crescente e
> >> apparentemente
> >> irreversibile della Facoltà di Scienze della Comunicazione, un problema su
> >> cui indirizzare la riflessione critica nell'interesse di docenti, studenti,
> >> impiegati: di chiunque viva e respiri l'aria di un'università che cerchi di
> >> dare senso ai futuri possibili e non si limiti a replicare il peggio dei
> >> presenti mediatizzati.
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