[Redditolavoro] Per una risposta di classe alla crisi in corso. Per una sinistra rivoluzionaria

Partito Comunista dei Lavoratori pclavoratoribologna at gmail.com
Wed Jan 11 11:31:49 CET 2017


Per una risposta di classe alla crisi in corso. Per una sinistra
rivoluzionaria
Dopo la sconfitta del tentativo bonapartista di Renzi, dopo la
capitolazione FIOM sul CCNL, sviluppiamo l’intervento politico e sociale
del PCL per una primavera di lotta

​

*UNA NUOVA FASE DI INSTABILITÀ, CON IL CRESCENTE RISCHIO DI DERIVE
REAZIONARIE *

Il referendum del 4 dicembre ha rappresentato uno snodo dell'evoluzione
politica italiana.
La crisi del renzismo ha trovato il proprio riflesso nella clamorosa
sconfitta del governo. La vittoria del No ha superato ogni previsione
(59%), nel quadro di una partecipazione per molti aspetti straordinaria
(quasi il 70%). La composizione sociale, generazionale e territoriale del
No è stata altrettanto significativa: lavoro dipendente, giovani sotto i
quarant'anni, periferie cittadine e metropolitane, Mezzogiorno d'Italia e
isole. Sul No si è riversata la sofferenza della maggioranza della società
italiana, in tutte le sue principali espressioni, sullo sfondo della grande
crisi dell'ultimo decennio. Il No ha dunque travalicato lo stesso
sentimento di ostilità verso il governo: ha rappresentato una crisi
complessiva di rigetto delle politiche dominanti dettate dalla crisi e dei
loro effetti sociali. Al tempo stesso è parziale interpretare questo
risultato come una pura espressione sociale. Questo diffuso sentimento
antisistema si combina infatti con la tenuta dei blocchi reazionari che si
fronteggiano nello scenario italiano: quello leghista (voto veneto), quello
berlusconiano (seppur oggi ridotto), quello grillino (periferie urbane). La
sovrapposizione della geografia del No con quella elettorale del paese,
confermata da tutte le analisi, riflette anche la perdurante influenza del
populismo reazionario tra i salariati, i disoccupati e nella giovane
generazione. Liberare la pulsione classista del voto dall'involucro
populista che le si sovrappone è il compito della politica di classe. A
partire dai milioni di No provenienti dal versante dell'opposizione
classista e di sinistra su Jobs Act , Buona scuola, politiche ambientali.

La disfatta del renzismo non investe unicamente le prospettive del progetto
bonapartista racchiuso dalla controriforma costituzionale.
In primo luogo investe gli equilibri politici di governo. Renzi, ancora a
capo del PD, sogna la propria rivincita (primarie ed elezioni anticipate),
capitalizzando larga parte del 41% di Sì. Tuttavia questa operazione sconta
diverse difficoltà: la diffidenza di parte importante della grande
borghesia la resistenza inerziale di vasti settori parlamentari ed
istituzionali (a partire dal Presidente della Repubblica); un’immagine
pubblica, già sfregiata dal risultato referendario, che viene ulteriormente
sfigurata dalla smaccata continuità col governo precedente. Il piano di
rivincita coltivato da Renzi, per quanto reale e determinato, è dunque
tutt'altro che scontato nel suo esito.
In secondo (ma non secondario) luogo, il crollo di una controriforma che
concentrava i poteri nel Governo (nei confronti del parlamento) e nello
Stato (nei confronti delle Regioni) è il fallimento di una possibile
soluzione della crisi politico-istituzionale borghese. Dunque segna
l'apertura di una nuova fase di riorganizzazione. Le dimissioni del
governo, la rapida formazione del nuovo esecutivo Gentiloni, segnano solo
l'inizio di questo convulso processo. Il quadro tripolare del sistema
politico mina le prospettive di stabilità politica e istituzionale: nessuno
appare oggi in grado di costruire attorno a sé un blocco maggioritario. La
stessa discussione sulla nuova legge elettorale rivela la difficoltà di uno
sbocco.

A ciò si aggiungono le incognite sulla tenuta dei diversi poli,
attraversati ognuno da evidenti linee di frattura interne. Dissolto il
vecchio bipolarismo, sconfitto il progetto bonapartista, il sistema
politico non ha un baricentro. Mentre si conferma una irrisolta crisi
bancaria (Monte dei Paschi) e l'instabilità degli assetti del capitalismo
italiano (acquisizione di Pioneer da parte francese, guerra in
Confindustria sul Sole 24 Ore, iniziativa corsara del capitale francese su
Mediaset), sullo sfondo di quella immutata crisi dell'Unione Europea cui la
sconfitta di Renzi in Italia aggiunge un nuovo tassello, nella prospettiva
di una chiusura del Quantitative Easing della BCE e delle sue conseguenze
sulla tenuta del debito pubblico italiano e sui suoi livelli di
governabilità.

In questo quadro di grande instabilità politica e sociale, emerge un nuovo
protagonismo ed una rinnovata forza sociale delle forze reazionarie di
massa, sia nelle sue più classiche versioni xenofobe e nazionaliste (la
Lega di Salvini e le forze dell’estrema destra), sia nelle nuove forme
ibride e confuse del grillismo e del M5S. Forze che colgono il vento di una
crescita significativa di queste tendenze in tutto il continente europeo,
sospinte dalla perdurante crisi, dal precipitare della competizione fra
poli e blocchi commerciali, dal persistente odore di guerra che serpeggia
su quasi tutti i confini (Europa orientale, Medio Oriente, Nord Africa),
dalla crisi dei profughi, da una sinistra riformista subalterna al quadro
capitalista, dalla crisi diffusa del movimento operaio. Forze che oggi
colgono anche un possibile ed incipiente cambio di fase nelle politiche
internazionali, con la conquista del governo di uno dei principali poli
capitalisti: l’amministrazione Trump potrebbe nei prossimi mesi attivare
una decisa svolta nella gestione capitalista della crisi, con la definitiva
archiviazione dei grandi accordi commerciali (TTIP e TTP), l’apertura di
conflitti commerciali (con la Cina e non solo), la ripresa di una spesa
pubblica statale per sostenere la domanda interna. Una svolta che potrebbe
a sua volta dare nuovi ragioni nella propaganda di massa di queste forze
reazionarie, ma soprattutto che potrebbe forgiare nuove alleanze con
settori significativi dei grandi capitali, nazionali ed europei, disegnando
una loro possibile ascesa al governo anche in Stati chiave del continente
europeo (dalla Francia alla stessa Italia).


*IL CONTRATTO DEI METALMECCANICI: UN CAMBIO DI FASE NEI RAPPORTI DI FORZA
TRA LE CLASSI *

Il 26 novembre scorso, pochi giorni prima del referendum, FIM, FIOM e UILM
hanno siglato il primo rinnovo unitario del contratto dei metalmeccanici
dal 2008. Da mesi era in corso una prova di forza. Il padronato si era
posto esplicitamente l’obbiettivo di destrutturare i contratti nazionali,
sospinto dalla lunga crisi (dalla necessità di recuperare margini di
profitto a partire dai costi) e dall’indebolimento sindacale - della classe
nel suo complesso - dopo la sconfitta sul Jobs Act. La FIM di Bentivogli,
dopo FCA, condivideva l’obbiettivo di ridefinire il CCNL, andando oltre
l’impianto delle confederazioni (CGIL-CISL-UIL chiedevano, all’inizio della
stagione dei rinnovi, aumenti nazionali in grado anche di redistribuire la
produttività, cedendo invece sull’organizzazione del lavoro): chiedeva però
aumenti più diffusi e la definizione di criteri omogenei per gli aumenti
sul secondo livello. La FIOM, smantellata la fallimentare “coalizione
sociale” ed alla ricerca di una gestione unitaria in CGIL (ingresso di
Landini in Segreteria), si predisponeva a siglare in ogni caso un
contratto, ma chiedeva delle minime condizioni per giustificare la
capitolazione. In questo teatrino, nessuno aveva interesse a far scendere
in campo lavoratori e lavoratrici: per mesi la trattativa si è trascinata
senza scioperi, assemblee o mobilitazioni di massa. La stessa FIOM non ha
quasi mai riunito l’assemblea dei cinquecento ed ha abbandonato la propria
piattaforma senza colpo ferire. Con l’autunno l’accordo è arrivato.
Non è solo un pessimo rinnovo. Sicuramente distribuisce pochi soldi in
quattro anni (forse una cinquantina di euro, a fronte degli 80-100 degli
altri contratti). Soprattutto, però, sfibra l’intero sistema contrattuale,
indebolendo i rapporti di forza complessivi della classe: registra
semplicemente l’inflazione reale (ex post), non prevedendo nessuna
distribuzione della ricchezza; indirizza pesantemente la contrattazione
aziendale su parametri variabili (aumentando così la flessibilità
salariale); introduce assicurazioni sociali e buoni carrello (tagliando il
salario complessivo e contribuendo a smantellare il welfare universale);
conferma le flessibilità organizzative previste nel 2012 (a partire dagli
straordinari obbligatori). Questa capitolazione, comunque, non è solo
responsabilità della FIOM. Per contrastarla sarebbe stata necessaria una
comprensione di massa della battaglia in corso, dell’attacco del padronato
e delle prospettive di resistenza. Quasi nessuno ha invece lavorato nei
mesi scorsi per creare questo clima. Partiti, comitati, associazioni,
giornali, radio, siti e social: quasi nessuno nella sinistra ha seguito un
contratto che rischia di segnare condizioni e prospettive di milioni e
milioni di lavoratori e lavoratrici. È nel contempo tragico e buffo: da
anni tutti declamano che per ricostruire una sinistra bisogna partire dal
programma, dal lavoro, dalla realtà. I metalmeccanici però sono stati
lasciati soli, per non disturbare Landini o per non sporcarsi le mani con
il conflitto di classe. I rapporti di forza alla partenza, allora, erano
molto chiari: da una parte i gruppi dirigenti e gli apparati sindacali, nel
silenzio della stampa, delle piazze e di larga parte della sinistra;
dall’altra un’opposizione a questo contratto sostenuto soprattutto dal
basso, da delegati e delegate, dall'opposizione CGIL, dai sindacati di
base.

Con questo rinnovo si chiude comunque una fase politica sindacale, che ha
visto bene o male la FIOM rappresentare una resistenza contro la gestione
padronale della crisi, il tentativo di recuperare margini di profitto
attraverso una compressione drastica del salario globale (diretto,
indiretto e sociale) ed un aumento dello sfruttamento (durata e intensità
del lavoro). Nei contratti separati, nella lotta contro Marchionne, nelle
mobilitazioni nazionali del 2010 del 2012, nello scontro con Camusso, la
FIOM ha rappresentato non solo per i metalmeccanici ma per tutto il mondo
del lavoro un punto di tenuta: il simbolo di un interesse generale, quello
di classe. Sappiamo, ed abbiamo sempre denunciato, che da tempo la FIOM
aveva abbandonato questa battaglia nella sua azione concreta: con la
capitolazione a Grugliasco sul modello Marchionne, con la rinuncia a
condurre le lotte in FCA, con la repressione interna delle minoranze, con
l’abbandono di ogni mobilitazione di massa e la sua semplice
rappresentazione mediatica (la “coalizione sociale”). La firma di questo
contratto, però, segna la chiusura anche simbolica di una parabola: il
gruppo dirigente storico della FIOM abdica per primo alla difesa del
contratto nazionale, normalizza la propria azione nel quadro del Testo
Unico del 10 gennaio (che due anni fa contestò) e si approssima ad entrare
stabilmente nella maggioranza della CGIL. Una CGIL che, concentrata sui
referendum e sulla ricerca illusoria di un accordo padronale, non intende
comunque sostenere e promuovere nessuna mobilitazione, nessun conflitto
sociale nei prossimi mesi.


*UN FRONTE UNICO DEL LAVORO, CONTRO RENZISMO E DERIVE POPULISTE *

In questo quadro generale di crisi sociale, politica, istituzionale, è
necessario battersi per una azione di classe indipendente del movimento
operaio, che entri nel varco aperto dalla sconfitta politica del renzismo
per costruire uno sbocco e una prospettiva classista. In aperta
contrapposizione alle tre destre che dominano lo scenario politico. È
necessario cioè rivolgersi a quel diffuso sentimento antisistema che ha
sostenuto il No al referendum, all’insieme dei settori popolari colpiti
dalla crisi ed al complesso del mondo del lavoro, per far emergere uno
sbocco politico alternativo a quello delle destre, dei movimenti populisti
e delle forze reazionarie di massa. Trasformare cioè il No a Renzi nel
rilancio di una mobilitazione unitaria e di massa che rivendichi la
cancellazione di tutte le leggi reazionarie del renzismo, a partire dal
Jobs Act e dalla Buona scuola; trasformare la mobilitazione contro le leggi
di Renzi nella rottura generale con la stagione trentennale delle politiche
antioperaie di austerità e sacrifici: questo è l'asse di iniziativa e
proposta del nostro partito nella fase apertasi dopo il 4 dicembre.
Per questo l’iniziativa del PCL, nella propaganda e nell’azione politica,
deve essere principalmente e prioritariamente diretta alla costruzione di
un fronte unico del lavoro, sul piano politico e su quello sociale. In
primo luogo sul terreno concreto e diffuso che può offrire ogni occasione
di mobilitazione e di lotta unitaria: in difesa di aziende o settori di
lavoro, di diritti sociali e civili, o contro leggi, normative,
disposizioni locali e nazionali che possano innescare dinamiche di questo
genere. In secondo luogo, sul piano più generale, con un appello ed
un’azione pubblica rivolta a tutte le organizzazioni sindacali e di massa
che si sono pronunciate formalmente per il No alla riforma costituzionale
di Renzi, e che hanno promosso referendum abrogativi delle sue leggi
peggiori (Jobs Act), perché passino dalle parole ai fatti. Perché rompano
col governo Gentiloni, continuità mascherata del renzismo e delle sue
leggi. Perché rompano con Confindustria, massima sostenitrice del Jobs Act.
Perché promuovano una svolta di lotta generale, unitaria e di massa, che
ponga finalmente al centro dello scontro un'agenda di rivendicazioni
operaie capace di configurare una soluzione di classe della crisi sociale e
politica. La proposta del fronte unico di classe e di massa deve divenire
uno strumento di aperta denuncia dell'immobilismo delle burocrazie, e di
relazione con l'avanguardia larga di classe.
I poli reazionari convergono sulla richiesta di elezioni politiche
anticipate, nell'intenzione non solo di rafforzarsi nello scontro
reciproco, ma anche di evitare il referendum sociale sul Jobs Act. Il loro
obiettivo comune è evitare l'irrompere della questione di classe come
terreno centrale di confronto. In aperta contrapposizione alle tre destre
poniamo l'esigenza esattamente opposta. Non si tratta di attendere il
referendum in una logica istituzionale. Si tratta di assumere il tema della
cancellazione delle leggi del renzismo come leva e campagna di
mobilitazione di massa. Che è anche la via, di riflesso, per vincere un
domani sul terreno referendario. Ma soprattutto è la via per segnare una
svolta nei rapporti di forza, disgregare i blocchi sociali reazionari,
aprire il varco a una prospettiva di classe alternativa. Quella di un
governo dei lavoratori e delle lavoratrici.


*PER UN'INIZIATIVA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA NELLA CRISI *

Questa azione politica, volta a sostenere ogni occasione di fronte unico,
volta ad appellarsi alle principali organizzazioni della sinistra per una
ripresa delle mobilitazioni, non può comunque fare a meno di confrontarsi
con la realtà della capitolazione della FIOM, con la scelta della CGIL di
sospendere ogni mobilitazione nell’attesa dei referendum sul Jobs Act
(nell’attesa cioè di poter riprendere forza per via elettorale, per potersi
nuovamente sedere ai tavoli della concertazione con governo e padronato).
Nel contempo, infatti, alcuni settori di classe sono disponibili alla
resistenza. Una resistenza che non è limitata ad avanguardie politiche
marginali, ma che trova ascolto, consenso e coinvolgimento in settori
significativi di classe. È questo il segnale che ci arriva dal voto nel
contratto dell’igiene ambientale (43% di contrari nel settore pubblico),
dagli scioperi nazionali nelle ferrovie e locali dei ferrotranvieri, dalle
lotte della logistica come da alcune mobilitazioni studentesche. È,
soprattutto, il segnale che ci arriva dal No al rinnovo del CCNL
metalmeccanico, che si è espresso in particolare nelle grosse industrie,
non solo dove è influente l’opposizione CGIL o qualche sindacato di base
(Dalmine di Bergamo, Fincantieri di Marghera e di Ancona, cantieri liguri,
in tutti gli stabilimenti della Electrolux, Marcegaglia di Forlì, Same,
Piaggio, GKN, Ilva, STM di Agrate e di Catania, Ansaldo, AST di Terni,
ecc.). Sul terreno dell'azione di avanguardia siamo quindi impegnati a
contrastare questa nuova stagione di subalternità, non solo tra i
metalmeccanici, ma anche in generale sul patto di fabbrica con
Confindustria come nell'accordo sul pubblico impiego. Da qui la
contrapposizione alla burocrazia sindacale, per una direzione alternativa
del movimento operaio. Da qui il sostegno ai coordinamenti del No, nei
metalmeccanici come in altri settori, come ad ogni altra forma di larga
avanguardia che dovesse determinarsi.
Non solo. La nostra azione d’avanguardia può rivolgersi anche su un terreno
più generale e politico, avanzando una proposta di unità d’azione alle
altre forze classiste e anticapitaliste, per sostenere una ripresa
conflittualità sociale davanti allo stallo della sinistra riformista.
Un’azione che, ovviamente, non può esser sostitutiva e non può pensarsi
sostitutiva del fronte unico, della priorità di una ripresa della
mobilitazione di massa nel nostro paese. Un’azione politica di avanguardia
può però permettere la ricomposizione di percorsi e appuntamenti di lotta,
che possono svolgere un ruolo anche significativo nel mantenere accesa,
anche nella percezione di massa, la prospettiva di un’alternativa di
classe.

Questa unità d’azione può allora esser condotta localmente, per sostenere
la conflittualità diffusa di movimenti e iniziative di lotta, nei posti di
lavoro come sul territorio. Questa unità d’azione può esser condotta anche
nazionalmente, per produrre almeno in una dimensione di avanguardia alcune
possibili ricomposizioni, anche parziali. Un’azione da verificare, in primo
luogo, nella costruzione di alcuni appuntamenti di lotta nella prossima
primavera, che non lascino vuote le piazze del nostro paese: l’8 marzo il
movimento di lotta dello scorso 26 novembre sta programmando uno sciopero
dello donne; allo stesso modo, si pone l’opportunità di convocare un corteo
unitario dell’estrema sinistra, della sinistra sindacale, dei movimenti
antagonisti. Impegnandosi per evitare che, come lo scorso autunno, come gli
scorsi anni, queste occasioni diventino il terreno di demarcazione delle
diverse organizzazioni o dei diversi percorsi. Questa unità d’azione può
quindi esser verificata innanzitutto a partire da alcuni soggetti con cui
condividiamo una matrice classista, pur nella diversità dei progetti
politici e delle impostazioni teoriche (Sinistra Anticapitalista, Sinistra
Classe Rivoluzione, SGB, CUB, SiCobas...). Un coordinamento nell’azione con
queste forze che, in questo quadro, ci può permettere anche di verificare
possibili convergenze in funzione di un bilanciamento di quelle forze e
quei settori neosovranisti e neocampisti, che stanno provando a sviluppare
campagne d’egemonia sull’estrema sinistra.


*PER UNA SINISTRA CLASSISTA E RIVOLUZIONARIA, PER LO SVILUPPO DEL PCL *

Il fronte unico del lavoro, l’unità d’azione nell’avanguardia sociale e di
classe, il coordinamento della nostra azione con l’avanguardia politica
classista, sono tutte linee d’intervento per la prossima primavera dirette
a riprendere il conflitto sociale nel nostro paese. In tutte queste
iniziative, la nostra proposta deve esser quella di un governo dei
lavoratori e delle lavoratrici, per dare una soluzione di classe e
anticapitalistica alla crisi della Repubblica. Un programma transitorio
che, partendo dalla coscienza diffusa, dalle contraddizioni e dai conflitti
presenti, indica la necessità e la prospettiva della rivoluzione. Questa
prospettiva è e resta la nostra linea strategica di demarcazione dal resto
della sinistra politica.

La sinistra politica riformista, già vittima negli anni del proprio
suicidio politico, è del tutto incapace anche solo di prospettare una
soluzione indipendente della crisi politica e sociale. La dissoluzione di
SEL è emblematica. La sua ala destra (Pisapia) si candida addirittura a
supporto postumo del renzismo integrandosi direttamente nell'operazione del
suo rilancio. Un'altra sua componente (Smeriglio) punta a ricomporre il
vecchio centrosinistra puntando sulla minoranza del PD liberale (Bersani).
Un'altra componente ancora (Fratoianni) punta ad una stagione ritemprante
di opposizione per ricostruire le condizioni contrattuali di un
centrosinistra futuro. Sinistra Italiana si annuncia come quadro
costituente della continuità riformista: un'autonomia nazionale obbligata
dal PD, imposta dal renzismo, in funzione della prospettiva di
ricomposizione di una alleanza di governo col PD, una volta rimosso
l'ostacolo Renzi. Mentre il PRC è segnato da una totale afasia politica,
imprigionato dal fallimento di Tsipras e dai suoi effetti deflagranti
sull'intero quadro del Partito della Sinistra Europea.
Parallelamente, sul versante centrista, Rete dei Comunisti e gruppo
dirigente USB rilanciano il proprio impasto politico-culturale di
neosovranismo nazionalista e di mitologia costituzionalista (“applicare la
Costituzione”): subalterni al tempo stesso sia al grillismo, sia alla
tradizione del riformismo italiano.

La costruzione di una sinistra rivoluzionaria classista attorno alla
prospettiva del governo dei lavoratori si conferma come l'unica soluzione
progressiva della stessa crisi della sinistra italiana. La costruzione del
Partito Comunista dei Lavoratori è la traduzione politica di questa
necessità.
In questo quadro, si pone il prossimo appuntamento delle elezioni
politiche, nel 2017 o nel 2018. Non sappiamo ancora con quale legge
elettorale si svolgerà. Se rimarrà, in un Italicum modificato o in un
Mattarellum rivisto, la moltiplicazione di piccoli collegi, sappiamo anche
che sarà particolarmente difficile una nostra presentazione nazionalmente
significativa. La presenza di una sinistra rivoluzionaria anche sul piano
elettorale, nel quadro della crisi politica, sociale ed istituzionale che
l’Italia sta attraversando, può esser un elemento importante per riattivare
una coscienza politica di classe diffusa; la presenza del PCL in questo
appuntamento, uno snodo rilevante per la sua costruzione ed il suo
sviluppo. Per questo, nel quadro dell’impostazione sulla linea elettorale
definita negli scorsi congressi e ribadita in quello attuale, il PCL
tenterà in ogni modo di esser presente a quell’appuntamento, come ad esser
in ogni caso presente nei grandi centri, in occasioni delle elezioni
comunali che dovessero presentarsi nei prossimi anni.
Partito Comunista dei Lavoratori

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