[Redditolavoro] ancora sulla fuga di Eddi

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Sat Jul 9 08:40:33 CEST 2016


La mamma della No Tav in fuga: “Rivoglio mia figlia Eddi ma temo finisca in galera” 
Roberta Lena: “Chiedo rassicurazioni. È più facile essere rivoluzionari che genitori di rivoluzionari”



Una manifestazione a Chiomonte contro la linea ad Alta velocità


     
     
     
     

08/07/2016 
fabrizio assandritorino 
«È più facile essere rivoluzionari piuttosto che genitori di rivoluzionari». Roberta Lena, attrice e regista, commenta così la vicenda di sua figlia «Eddi», Maria Edgarda Marcucci, la studentessa di Filosofia dell’Università di Torino vicina al mondo No Tav che ha deciso di non farsi trovare da quando la polizia vuole notificarle gli arresti domiciliari. Lena appoggia il comitato di «mamme in piazza per la libertà di dissenso», che chiedono di «allentare la morsa» della Procura sui loro figli colpiti da provvedimenti per fatti contestati in Valle o all’Università. 

Condivide l’appello di Virzì che chiede a sua figlia di farsi viva?  

«Da un lato sì, sto male a non avere sue notizie, non so dov’è, ma dall’altro lato mi chiedo cosa succede se torna. Vorrei ci fossero delle rassicurazioni, una garanzia. Ho paura che la prendano, che possa finire in galera, che si accaniscano ancora di più. È successo ai due attivisti che non hanno rispettato l’obbligo di firma». 

Come sta vivendo questi giorni senza Eddi?  

«È chiaro che sono con lei, che so che lotta per cose giuste e in modo non violento, ma come madre ti viene da dire perché proprio tu combatti, perché non trovi un modo di cambiare il mondo facendo come Naomi Klein (del movimento no-global, ndr), cioè scrivendo un libro. Intanto, è dal 20 giugno che non la sento». 

Lei non condivide i metodi di lotta di sua figlia?  

«Non siamo d’accordo proprio su tutto, ma come dice Voltaire “Combatto la tua idea, ma sono pronto a battermi perché tu possa esprimerla”. Questo mi sembra il punto fondamentale di questa vicenda. Su alcune questioni siamo state attiviste insieme, come nell’esperienza a Roma del teatro Valle occupato. So di per certo che lei non usa la violenza, la sua è disobbedienza virtuosa, alla don Milani. Ci tengo a dire che mia figlia si batte anche per i poveri e gli sfrattati». 

Però è accusata, tra l’altro, di aver picchiato un poliziotto.  

«Posso solo dire che sono convinta che quell’accusa cadrà: parrebbe che l’abbia fatto con la mano destra e lei è mancina. Si sa, quando uno è scomodo. In ogni caso forse i giovani devono trovare nuovi metodi di lotta, quelli attuali non credo funzionino tanto, visto che alla fine sono emarginati e facilmente perseguibili. In pochi scendono in piazza, c’è tanto conformismo e paura». 

Che ragazza è sua figlia?  

«È una ragazza che tiene molto ai suoi studi di Filosofia, per quelli è venuta a Torino trovando la sua indipendenza a 19 anni, poi io l’ho seguita per ragioni di lavoro del mio compagno. È molto seria, si è mantenuta da sola lavorando come cameriera, è riuscita a dimostrarci che ce la poteva fare. Si era avvicinata al teatro e al cinema, oltre alla comparsa nel film di Virzì, ha recitato nella serie “Io e mamma” con la Sandrelli, ma quella non era la sua strada. Il suo sogno era diventare docente universitario di Filosofia, o unire la filosofia con l’altra sua passione, il disegno». 

Ma con il suo attivismo, non teme che la sua strada sarà in salita?  

«Questi ragazzi stanno mettendo a repentaglio la loro vita, c’è chi è alla terza volta ai domiciliari, senza nemmeno che ci sia stato ancora il processo. Ora io non dico che, ammesso che abbia fatto qualcosa di sbagliato, non debba confrontarsi con la giustizia, ma non più pesantemente rispetto ad altri casi per fatti simili, solo perché c’è di mezzo la politica». 

Pensa che la sindaca No-Tav Chiara Appendino potrà fare qualcosa?  

«Ha già fatto un’affermazione importante, dicendo che vuole riaprire il dialogo in città, quel dialogo che ormai manca, perché sono state eliminate le ragioni del no alla Tav. Si viene emarginati. Virzì, con la sua lettera della quale gli sono molto grata, ha riaperto il dibattito». 

Il rettore Ajani contesta Virzì: “Non chiamai io la polizia”

È lo striscione con la foto di Eddi e altri studenti che domina la Palazzina Einaudi, nel Campus sulla Dora


     
     
     
     

08/07/2016 
fabrizio assandriEddi, Maria Edgarda Marcucci, all’Università non va più da mesi. Ma la sua foto campeggia su uno striscione appeso da settimane sulla facciata della Palazzina Einaudi, l’unica vecchia, di mattoni rossi in mezzo al nuovissimo campus di Norman Foster. Ci sono le foto di Jacopo, Luca e la scritta «Liberi tutti»: è la solidarietà ai «compagni» sottoposti a misure cautelari. Eddi è la studentessa 24enne di Filosofia che non si fa trovare da quando la polizia la cerca per notificarle gli arresti domiciliari, a cui ieri ha scritto una lettera-appello su questo giornale il regista Paolo Virzì. 

Contrasti  

La ricostruzione dei fatti divide. «Il racconto di Virzì non è corretto», dice il rettore Gianmaria Ajani, a proposito di un episodio in cui lo si accusa di aver esagerato chiamando la polizia. «Le forze dell’ordine erano lì per i parlamentari presenti all’incontro, non ho chiesto io il loro intervento. Quando la tensione è cresciuta, abbiamo deciso di aprire le porte dell’aula e gli studenti hanno potuto fare le loro dichiarazioni. Per quanto riguarda l’aspetto umano, siamo dispiaciuti che Maria Edgarda si sia assentata e abbia queste difficoltà». Ma la vicenda si inserisce in un mondo di contrasti. Nella stessa palazzina di mattoni c’è la sede del Fuan, organizzazione di destra: per l’occupazione di quell’auletta, concessa dall’ateneo, scattarono alcuni provvedimenti di polizia. Da un cassetto spunta la foto del duce. Basta attraversare il cortile per trovare i «nemici».  

Gli autonomi  

Gli studenti di «Campus inviders», bella e ampia aula occupata da due anni. Ci sono i pallet per sedersi, la sala studio, i tavoli. «L’abbiamo occupata perché era inutilizzata», dicono gli studenti. L’ateneo ha fatto partire una trattativa: l’obiettivo pare sia di dar loro uno spazio, ma più defilato. Qui, sulla Dora, veniva a studiare Eddi, anche se i suoi corsi sono a Palazzo Nuovo. Veniva qui perché vicina al Cua, collettivo autonomi. C’era unità di intenti, con loro organizzava cineforum, assemblee, mobilitazioni. «Ci accusano di far partire da qui le proteste, ma siamo solo studenti», dice un ragazzo che dopo i domiciliari ora è all’obbligo di firma. «Anche io sono imputata», dice Valeria Camilloni, che studia Storia dell’Arte. Capiscono la scelta di Eddi: «Non è una fuga, non è codardia, la sua è una scelta, un gesto di fierezza». Simile, ricorda Dana Lauriola, No Tav, a quello di chi - come alcuni attivisti - si sottrae all’obbligo di firma. «Sappiamo che Eddi sta bene». Ma quanto queste lotte toccano davvero il mondo universitario? «Certo - ammette Dana - l’“onda” studentesca di qualche anno fa era altra cosa».  

Le petizioni  

Ma ci sono due petizioni a dimostrare che la questione è discussa. Una per la «libertà di dissenso» e contro «gli abusi della polizia». È firmata da decine di ricercatori, personale tecnico, professori. Chiedono che l’ateneo spinga sulla Procura per consentire agli studenti accusati di seguire le lezioni. L’altra è del comitato «Mamme in piazza per la libertà di dissenso», che chiede alla Procura di allentare la morsa sui figli. Petizione firmata «da Bertolucci e da Elio Germano», spiegano le mamme, oltre che da Virzì.


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