[Redditolavoro] La Strage del 10 Ottobre ad Ankara

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Mon Oct 12 15:39:00 CEST 2015


La Strage del 10 Ottobre ad Ankara

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11 Ottobre 2015
Messaggio al DIP (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori della Turchia)

Cari compagni,
il comitato centrale del PCL riunito oggi vi manda il nostro saluto
solidale a fronte del grave attentato che ha investito la manifestazione di
ieri 10 ottobre ad Ankara. Le forze reazionarie che stanno cercando di
influenzare il quadro politico nel vostro paese e il Governo Erdogan sono
colpevoli di questi morti perche' è evidente il collegamento di questi
attentati alla volontà di accrescere la tensione e la paura nell'opinione
pubblica in Turchia per influenzare l'esito delle prossime elezioni a
favore di Erdogan e le sue scelte reazionarie. I lavoratori se sapranno
creare un fronte unico di lotta e di resistenza insieme alle comunità Kurde
possono respingere ed isolare la violenza e le provocazioni del governo. La
nostra solidarietà a voi e al proletariato di tutta la Turchia e Kurdistan
.
Saluti rivoluzionari.

*Comitato Centrale PCL *
10 Ottobre 2015

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Cari compagni del PCL,

A nome del Comitato centrale del DIP, vorrei ringraziarvi per la
solidarietà che avete dimostrato per il tragico evento a Ankara. Questo è
stato l'attacco più feroce in un evento pubblico che la classe operaia
organizzata ha subito in tutta la storia della Turchia moderna. Fa parte di
una strategia globale da parte di Tayyip Erdogan e il suo partito di
trasformare la Turchia in un altra Siria con la guerra civile e la
barbarie, a meno che Erdogan non possa ottenere la strada libera in quello
che vuole.
Uno sciopero generale è stato dichiarato dalle due confederazioni sindacali
e le due associazioni di categoria che hanno organizzato l'evento di ieri.
Stiamo facendo del nostro meglio per rendere questo sciopero un successo
(piccola possibilità che però è possibile) e per sollevare l'opposizione al
governo dell'AKP all'interno della classe operaia perché crediamo che solo
la voce attiva sulla scena politica della classe operaia può
definitivamente spazzare via la terribile situazione nella quale la Turchia
è venuto a trovarsi.

Ancora una volta i nostri ringraziamenti.

*Sungur Savran*
Partito Comunista dei Lavoratori


www.pclavoratori.it  -  info a pclavoratori.it

La guerra della Turchia contro i curdi: una questione di sopravvivenza
personale per Recep Tayyip Erdogan
di Sungur Savran segretario del DIP

7 Ottobre 2015

​
La città curda di Cizre, un insediamento con una popolazione di circa
150.000 anime nella Turchia sud-orientale, si trova per la seconda volta
sotto assedio delle forze armate turche e delle cosiddette "forze operative
speciali" della polizia, dopo che il precedente assedio era stato revocato
per una tregua di due giorni. Oltre al coprifuoco ci sono tagli
all'erogazione di elettricità, e vige l'interruzione di tutti i mezzi di
comunicazione, compresi i cellulari ed internet. Dopo il primo assedio è
venuta fuori tutta l'evidenza del terribile dramma umano. Uccisi oltre 30
civili, di età compresa fra i 35 giorni di vita di un bambino ed i 75 anni
di un anziano. Prima che l'assedio fosse tolto, fonti governative
dichiaravano che le forze di sicurezza avevano ucciso più di una dozzina di
combattenti del PKK, negando vittime civili. Come un neonato ed un vecchio
possano aver contribuito alla lotta del PKK, secondo i portavoce
governativi, rimane un mistero irrisolto, di fronte all'evidenza del fatti.

La situazione critica di Cizre non è che l'ultimo e più drammatico episodio
in una guerra che lo Stato turco ha scatenato contro i suoi cittadini nelle
regioni curde a partire dallo scorso luglio. Col pretesto del massacro di
Suruç del 20 luglio, in cui rimasero uccisi - da un attentato suicida con
tutta probabilità opera dell'ISIS - 32 giovani attivisti di sinistra turchi
che stavano partecipando ad una conferenza di solidarietà con il popolo
della città curda di Kobane, il governo turco guidato dall'AKP, il partito
di Recep Tayyip Erdogan, ha dato inizio ad una guerra... non contro l'ISIS
ma contro il PKK ed il popolo curdo! È vero che il governo dell'AKP aveva
concesso agli Stati Uniti l'uso della base aerea di Incirlik per bombardare
l'ISIS ed aveva accettato di partecipare ai raid aerei. Ma questa era solo
una manovra dissimulatoria mentre in realtà la Turchia si stava imbarcando
in un attacco su ampia scala al movimento curdo, evitando tensioni con gli
Stati Uniti alle prese con una difficile operazione militare.

La guerra della Turchia non è solo contro il PKK, ma contro il popolo curdo
intero. Ed ha almeno tre diversi aspetti. Il primo è il conflitto militare
tra le forze armate turche ed il PKK, che finora ha assunto la forma dei
bombardamenti aerei turchi sui campi del PKK nell'Iraq settentrionale, nel
territorio del Governo Regionale Curdo, presieduto da Barzani, stretto
alleato degli americani e della Turchia. Il PKK per ritorsione ha iniziato
ad uccidere soldati e poliziotti turchi, compiendo ai primi di settembre
nel giro di 48 ore due spettacolari incursioni in cui sono caduti 16
soldati turchi nel sud-est del paese e 13 poliziotti turchi nel nord-ovest.
La grande distanza geografica tra le due località, così come le pesanti
perdite subite dalle forze turche, dimostrano come il PKK disponga di una
forza formidabile.

Il secondo aspetto della guerra è quello del tentativo da parte dello Stato
di pacificare i focolai nei centri del Kurdistan turco. I negoziati tra il
governo turco ed il PKK per un "processo risolutivo" sono in corso dal
2013. Tuttavia, non a tutti nel Kurdistan è andato a genio questo processo.
Abdullah Ocalan, lo storico dirigente del PKK, chiuso in prigione dal 1999,
è l'architetto di questo processo. Ma ci sono altri attori in scena. Quelli
ufficiali sono il PKK con base nell'Iraq del nord, e l'HDP, il Partito
Democratico del Popolo, una sorta di avatar del movimento parlamentare
curdo che ha unito le sue forze ad una coalizione di partiti e movimenti
socialisti turchi. Tra questi tre attori, Ocalan è il più possibilista,
mentre il PKK iracheno proietta un'immagine più intransigente. Ma c'è un
quarto attore sulla scena: sono i giovani del YDG-H, ala radicale del PKK,
che ultimamente si sono mossi come una forza quasi indipendente. Si
collocano all'estrema sinistra del movimento curdo e nonostante il
giuramento di fedeltà incrollabile verso Ocalan, sono apertamente critici
rispetto al "processo risolutivo". Sono loro che organizzano i quartieri in
molte centri curdi rendendoli inattaccabili dalle forze di sicurezza
turche, scavando fossati e trincee e prendendo le armi laddove necessario.
La popolazione può non essere d'accordo con i loro metodi, ma sta con loro
e contro le forze governative durante i periodi di conflitto, quando
arrivano i momenti critici.

Ecco il perché degli attacchi ad una serie di città curde, a centri come
Silopi, Varto, Yuksekova, Silvan, ed ora, con maggiore drammaticità, a
Cizre, la più importante roccaforte del YDG-H (questi ed altri insediamenti
nel Kurdistan turco hanno nomi originari curdi che sono stati sostituiti
con questi nomi turchi imposti agli inizi del periodo repubblicano). In
contraddizione col primo aspetto della guerra, che vede due forze armate
scontrarsi, quest'altro assume le forme di una guerra condotta contro la
popolazione civile. Dal momento che quasi tutta la popolazione sta con i
suoi giovani, quello che può sembrare un attacco ad una milizia viene
necessariamente trasformato in un attacco a tutta la popolazione. Chi
scrive è stato di recente, in una missione di solidarietà, a Silvan, vicino
Diyarbakir, immediatamente dopo un assalto delle forze di sicurezza, ed è
possibile prendere cognizione diretta della devastazione operata
sull'intera città.

Il terzo aspetto è la potenziale minaccia di una vera e propria guerra
civile che coinvolga entrambe le parti. Questa minaccia alberga nel
continuo richiamare quei sentimenti nazionalisti e persino sciovinisti che
esistono all'interno di ampi settori della popolazione turca, di forze non
solo vicine a Erdogan ed all'AKP, ma anche alcune note in Occidente come i
"Lupi Grigi" del Partito d'Azione Nazionale, il movimento più
tradizionalmente fascista del paese, nonché il terzo maggiore partito della
borghesia turca (dopo il Partito Popolare Repubblicano, CHP, di origine
kemalista, che ora passa per socialdemocratico). Sono stati i "Lupi Grigi"
a scendere in strada nella notte dell'8 settembre per rispondere alle due
spettacolari azioni del PKK di cui sopra. Più di 140 sedi dell'HDP
attaccate, molte date alle fiamme, aggressioni a civili curdi nelle strade
dei centri controllati da turchi nella parte occidentale del paese, pullman
intercity fermati e presi a sassate, lavoratori stagionali curdi aggrediti
collettivamente, bruciate le loro case e lo loro auto ed allontanati in
massa. Ora, anche se i curdi sono minoritari nelle città dell'ovest, sono
pur sempre una minoranza di una certa dimensione, ed inoltre si tratta di
comunità molto politicizzate con notevoli capacità di lotta. Se non hanno
reagito, non è stato che per autocontrollo. Il che vuol dire che in futuro
la situazione può sfuggire di mano e degenerare in una guerra civile etnica
che può assumere forme molto sanguinarie.



LE DINAMICHE DIETRO LA GUERRA

Per fermare questa guerra, occorre individuare le dinamiche che ne
sottendono lo scoppio. Purtroppo, il movimento curdo, a lungo influenzato
da una intellighenzia liberale, continua a ripetere che è necessario
tornare allo status quo ante, vale a dire al punto in cui si erano fermati
i negoziati del "processo risolutivo". Questa posizione ignora il fatto che
ci sono forze molto ben definite in gioco che hanno portato a questa guerra
e che dovrebbero essere contrastate e sconfitte prima di poter ristabilire
la pace o almeno un cessate-il-fuoco. Queste forze sono molto diverse tra
loro: alcune relative alla congiuntura politica, altre sono più
strutturali.

La ragione predominante, che fa scomparire per importanza tutte le altre, è
quella che ha che fare con gli interessi politici di Tayyip Erdogan. In un
altro articolo (“Una sconfitta strategica per Erdogan” - pubblicato in
questo sito il 17 giugno, ndt) in occasione delle elezioni turche del 7
giugno, avevamo messo in evidenza che il penoso risultato elettorale del
partito di Erdogan, l'AKP, che aveva perso ben 10 punti del voto popolare
insieme alla maggioranza parlamentare che deteneva dal 2002, era la
semplice ratifica di una precedente sconfitta strategica già inflitta ad
Erdogan dalle masse turche, prima con la rivolta popolare innescata dagli
incidenti di Gezi Park nel giugno 2013 e successivamente dalla serhildan
(intifada) dell'ottobre 2014 scatenata dal popolo curdo in reazione
all'atteggiamento di indifferenza dimostrato da Erdogan di fronte alla
tragedia di Kobane quando era stata attaccata dall'ISIS. Il risultato
elettorale è stato una doppia catastrofe per Erdogan. Da un lato, ha
bisogno dei 2/3 della maggioranza parlamentare se vuole emendare la
Costituzione al fine di trasformare il sistema politico turco in un sistema
presidenziale, dando a se stesso il potere di controllare l'intero processo
politico, quel potere che ora egli non ha, stante l'attuale sistema che dà
alla sua carica di Presidente della Repubblica una veste cerimoniale.
Dall'altro lato, il fatto che l'AKP non ha più la maggioranza parlamentare
può aprire le porte ad inchieste sui gravissimi e provati casi di
corruzione in cui sono coinvolti Erdogan stesso ed i suoi ministri. Molti
analisti si dilungano sulle ambizioni di Erdogan riguardo alla carica di
presidente esecutivo. Ma forse la sua necessità più urgente è quella di
evitare che si aprano le inchieste sui casi di corruzione che riguardano
l'AKP, il quale si trova ora in minoranza all'interno del parlamento. Se
gli altri partiti trovassero l'unità per aprire queste inchieste, Erdogan
potrebbe trovarsi sull'orlo del precipizio, col rischio di essere
condannato.

Dopo il successo elettorale dell'HDP, che avendo superato l'altissima
soglia di sbarramento del 10% ha così fatto perdere all'AKP la maggioranza
parlamentare, Erdogan ed i suoi accoliti puntano ora tutte le loro speranze
nell'opera di sobillamento dello sciovinismo turco e nel presentare l'HDP
non come messaggero di pace, bensì come forza che appoggia il "terrorismo"
del PKK, allo scopo di far scendere l'HDP al di sotto della soglia critica
del 10% nelle elezioni dell'1 novembre. Ecco perché questa guerra è per
prima cosa e soprattutto una guerra di sopravvivenza per Erdogan. Nella
storia ci sono state guerre imperialiste e guerre anticolonali. Questo è il
primo caso di guerra egoista!

Dopo le elezioni del 7 giugno scrivevamo:

“Gli errori politici della sinistra hanno finito per dare respiro ad
Erdogan, permettendogli di salire alla presidenza della repubblica. Ora
l'AKP non è in grado di formare un suo governo autonomo, ma Erdogan ha
ancora le redini del potere. Utilizzerà ogni centimetro di spazio per
mantenersi al potere, e a questo scopo potrebbe perfino ricorrere alla
guerra contro i curdi o in Medio Oriente. In politica, ogni errore ha un
prezzo.”


Non c'è bisogno di rilevare che la previsione di cui sopra si è purtroppo
rivelata fondata. Per quanto riguarda gli errori della sinistra, ci si
riferisce al fatto che non ha cercato di far cadere Erdogan quando era
possibile farlo. E qui le responsabilità maggiori le ha il movimento curdo.
Se si fosse mosso in tandem con la rivolta popolare di Gezi Park nel 2013,
Erdogan sarebbe certamente caduto, tanto è forte la capacità del movimento
curdo di organizzare le masse specialmente a Diyarbakir. È triste notare
come le sofferenze del popolo curdo sotto gli attacchi atroci delle forze
di sicurezza turche sono dovute, almeno parzialmente, agli errori dello
stesso movimento curdo.

Ci sono, naturalmente, fattori strutturali di fondo che spingono la Turchia
alla guerra contro il movimento curdo. Abbiamo già visto come l'ala
radicale del movimento curdo, rappresentata dai giovani, si sia espressa
contro il "processo risolutivo" senza la liberazione di Ocalan (un
impressionante striscione dei giovani durante una gigantesca manifestazione
nel 2013 diceva: "Una pace col serok (titolo di Ocalan nel movimento)
ancora in prigione è una pace sconclusionata”). I giovani possono contare
su molti sostenitori, anche se meno focosi, e quasi tutta la popolazione
tende verso quelle stesse loro posizioni intransigenti quando il gioco si
fa duro. La serhildan dell'ottobre 2014 aveva spaventato immensamente i
circoli dominanti del governo e messo in agenda la liquidazione di queste
sacche di resistenza urbana (armata) che, diversamente dalla guerriglia
rurale, costituisce una minaccia immediata nel caso dello scoppio di una
nuova serhildan. Per cui la guerra in corso può essere considerata come il
tentativo da parte dello Stato turco di farla finita con queste sacche di
resistenza.

L'altro importante fattore che produce frizioni tra lo Stato turco ed il
PKK è, a causa della semplice sua esistenza, il Rojava, l'entità autonoma
curda a sud del confine turco-siriano. L'autonomia curda o, a fortiori,
l'indipendenza in altre parti del Kurdistan, come in Iraq o in Siria, è
sempre stata vista come una minaccia dalle classi dominanti turche, anche
solo per il fatto che potevano essere d'esempio per i curdi in Turchia. Nei
primi quindici anni del XXI secolo, prima i curdi dell'Iraq, poi i curdi in
Siria hanno raggiunto l'autonomia. Inizialmente contrariata per la
creazione del Kurdistan iracheno di Barzani come regione autonoma, la
Turchia ha poi raggiunto degli accordi con Barzani diventando la forza
dominante sia a livello economico che politico sul Governo Regionale Curdo.
La borghesia turca ripone molte attese nei vantaggi derivanti dal petrolio
della regione di Kirkuk. Ma il Rojava è ben altra questione. Se Barzani è
un fedele alleato, persino un protetto, degli Stati Uniti e poi della
stessa Turchia, il Rojava invece è stato istituito con una leadership
organicamente collegata al PKK! Il governo dell'AKP ha sempre detto
chiaramente che non avrebbe mai fatto accordi con un'entità controllata
politicamente dal PKK a sud dei suoi confini. Ecco perché il Rojava è
stato, in questi tre anni della sua esistenza, una spina nel fianco del
"processo risolutivo".



TURCHIA E QUESTIONE CURDA INSEPARABILI?


Quest'ultimo aspetto relativo al Rojava suggerisce che il futuro della
questione curda in Turchia e, di fatto, della stessa Turchia sono
strettamente collegati alle prospettive in Siria. Come molti ben sanno,
Erdogan ed il suo AKP sono attori importanti nel calvario che la Siria sta
vivendo dal 2011. Erdogan, insieme all'Arabia Saudita ed al Qatar, ha
alimentato le fiamme dell'odio e della guerra in Siria tra i sunniti e gli
alawiti (minoranza più vicina agli Sciiti che ai Sunniti). Ciò fa parte di
un disegno più ampio, in cui Erdogan punta ad assumere la guida delle masse
sunnite del Medio Oriente per tornare ai fasti dell'Impero ottomano che fu.
Questa è una delle ragioni per cui il governo dell'AKP ha appoggiato l'ISIS
fino a poco tempo fa e continua ad appoggiare altri gruppi islamisti che
combattono contro il regime di Assad.

La situazione nata dall'accordo tra gli USA e la Turchia alla fine di
luglio, per cui la Turchia ha concesso la base di Incirlik per gli attacchi
aerei degli USA sull'ISIS in cambio del via libera degli USA agli attacchi
al PKK, porta con sé una contraddizione dialettica che può nel tempo
risucchiare la Turchia nella guerra in Siria. Nell'intervento militare
contro l'ISIS, gli USA contano, fra le altre, sulle forze armate del Rojava
quali truppe di terra. I tentativi della Turchia, dall'altro lato, puntano
a tenere queste truppe del Rojava fuori da certe regioni a sud del confine
turco-siriano, che la Turchia vuole trasformare in "zone di sicurezza". Ma
gli Stati Uniti hanno bisogno delle forze di terra del Rojava per
combattere l'ISIS. Sembra che l'unico modo con cui la Turchia possa indurre
gli USA a non chiedere più la collaborazione militare del Rojava sia quello
di inviare essa stessa le sue truppe di terra per istituire quelle zone di
sicurezza a cui mira.

Questa prospettiva, che deriva dalle contraddizioni dell'alleanza militare
tra USA e Turchia, è complementare alla logica infernale della questione di
sopravvivenza di Erdogan: dovesse l'AKP mancare l'obiettivo di conquistare
la maggioranza parlamentare con le prossime elezioni, Erdogan potrebbe aver
bisogno di sospendere il normale funzionamento del sistema, cosa che
potrebbe riuscirgli portando il paese in guerra in Siria o persino nello
scenario più ampio del Medio Oriente. Avevamo previsto che Erdogan avrebbe
attaccato i curdi, non dovrebbe sorprendere se si verificasse anche la
seconda previsione.

Ci sono, naturalmente, certe controtendenze che possono produrre degli
effetti. C'è la possibilità che uno degli attori più importanti, Ocalan,
rimasto in silenzio dalle elezioni fino allo scoppio dell'attuale guerra,
parli di una sorta di disgelo. L'imminente Eid al-Adha, la grande festività
religiosa del mondo islamico, può essere un'occasione opportuna per lui per
aprire un nuovo capitolo nel "processo risolutivo". Non va dimenticato che
nonostante la ferocia della guerra, né da parte dell'AKP né da parte di
Erdogan e nemmeno da parte curda è stata totalmente esclusa la possibilità
di un nuovo inizio. Erdogan stesso ha esplicitamente dichiarato che il
"processo risolutivo" è congelato (e non morto, come la guerra in corso
potrebbe far pensare). È ovvio che appena si sentirà più sicuro possa
tornare volentieri allo status quo ante. Ma questo sarebbe un esito
reazionario dell'attuale situazione di impasse. Erdogan è una maledizione
per la Turchia e per il Medio Oriente, e più rimane al potere nel suo
paese, maggiori saranno i danni che porterà ai popoli della regione.

Un esito progressivo richiederebbe ovviamente la sconfitta di Erdogan, con
la sua fuoriuscita dalla politica e la sua condanna per i crimini commessi.
Le condizioni perché questo accada si stanno verificando. Già il recente
succedersi di lotte di massa nel paese, dalla rivolta popolare di Gezi Park
(2013), alla serhildan di Kobane (2014), allo sciopero dei metalmeccanici
(2015), nel giro di soli due anni, dimostra che c'è una società piena di
gruppi sociali pronti a dichiarare la loro rabbia. È su questo che Erdogan
ha perso credibilità sia agli occhi dei suoi alleati del passato (USA ed
UE) sia agli occhi dei liberali turchi, della confraternita Gulen e di
molti settori della classe capitalista. Ed ora sta perdendo sempre più
l'appoggio di ampi settori del suo partito. L'ex presidente della
repubblica, Abdullah Gul, un altro fondatore e leader dell'AKP, attende
dietro le quinte di riprendersi il partito al momento giusto. Il congresso
del partito che si terrà nei prossimi giorni non farà emergere le profonde
fratture interne, ma le contraddizioni stanno maturando.

Se Erdogan cadrà, sarà ben diverso se cadrà per mano di una opposizione
borghese guidata da Gul e dai due partiti della borghesia, i
"socialdemocratici" ed i fascisti, o persino per mano dell'esercito, o se
invece saranno le masse a farlo cadere, guidate si spera dalla classe
operaia, che sembra essere tornata attiva dopo un lungo sonno.


C'è stato un confronto incessante fra due linee, nella sinistra, fin dagli
eventi di Gezi Park. Una linea è quella della minor resistenza, che spera
in un rimescolamento dei partiti borghesi, scommettendo per il successo,
all'interno del campo borghese, di forze ostili ad Erdogan. Forze che
verrebbero guidate da Abdullah Gul e dai suoi seguaci all'interno dell'AKP,
e dal CHP, il principale partito dell'opposizione, sedicente
socialdemocratico. La confraternita islamica di Gulen, ex partner di
Erdogan ma ora suo principale bersaglio, sarebbe organicamente collegata a
queste forze. Se queste forze comprenderanno anche i fascisti è da
verificare, ma vi sarebbero comunque coinvolte altre minori formazioni
borghesi. Questa coalizione di forze fu inizialmente definita alla fine del
2013 dall'allora ambasciatore degli USA in Turchia, Frank Ricciardone.
Sebbene possa sembrare un'esagerazione, è esattamente il modo in cui le
cose si svilupparono nella concreta realtà: subito dopo la ribellione di
Gezi Park, Ricciardone ebbe un incontro segreto con il leader del CHP, il
quale successivamente si recò negli Stati Uniti per incontrare uomini di
Gulen, per poi tornare a casa e seguire una linea di alleanza con con ogni
tipo di organizzazione della destra borghese. Resta da vedere se questa
politica sarà in grado di registrare successi contro Erdogan. Dipende tutto
dall'equilibrio delle forze all'interno dell'AKP, difficile da discernere.

L'HDP sta ultimamente aprendo a questa coalizione. L'atteggiamento di
completa passività che ha adottato dopo le elezioni del 7 giugno è stato
nei fatti una conseguenza di ciò. Dalla fine di luglio, quando il governo
AKP ha rilanciato la guerra ai curdi, ha combattuto con sacrificio
quest'odiosa azione. Al polo opposto, anche il cosiddetto "Blocco di
Giugno", variegato gruppo che mantiene le distanze dal movimento curdo,
comprendente diversi partiti socialisti ma dominato da associazioni
alevite, fornisce un sostegno indiretto a questa linea attraverso il suo
malcelato appoggio al CHP. Fra loro, queste due aree formano la stragrande
maggioranza della sinistra socialista in Turchia, vale a dire della
sinistra che non confina la sua azione sottoterra.

Il nostro partito, il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (DIP), si trova
quasi da solo nel proporre un'altra linea: in solidarietà attiva con il
popolo e il movimento curdo, mette tuttavia in guardia contro i pericoli
che derivano dall'alleanza che il movimento curdo sembra aperto a stabilire
con l'imperialismo, e dall'orientamento sia dell'HDP che del "Blocco di
Giugno" verso il CHP. Lottiamo per costruire il partito all'interno della
classe operaia - durante lo sciopero selvaggio di decine di migliaia di
metalmeccanici nei mesi di maggio e giugno di quest'anno abbiamo
guadagnando un visibile successo - con l'obiettivo del potere del
proletariato. L'alleanza che la sinistra ha bisogno di costruire è quella
della classe operaia con il popolo curdo in lotta e con le ampie masse
popolari politicizzate dalla ribellione di Gezi Park, di cui quella degli
aleviti è la componente più importante. Quest'alleanza rappresenterebbe una
forza formidabile, e il suo peso scuoterebbe non solo le strutture del
potere turco e del Kurdistan turco, ma dell'intero Medioriente e del Nord
Africa. È questo l'obiettivo per cui lottiamo.

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