[Redditolavoro] Dino, un'infinita militanza avida. Di Amore e di lotta.
Alessio Di Florio
eskimoantimperialista at gmail.com
Sun Jun 3 17:48:46 CEST 2012
Ci sono giorni che sono poco più di un numero di un calendario che
scorre. E ci sono giorni che invece penetrano e rapiscono le corde più
intime del cuore. Il 5 giugno è tra questi. Il 5 Giugno, il giorno di
Dino Frisullo. Giorno in cui la vita, nel lontano 1952, ce lo donò. E
giorno nel quale un crudele destino, nel 2003 ce lo rapì.
Passano gli anni, ma sembra ieri. Poche righe di agenzie diedero a
tutta Italia la tristissima notizia: "è morto il pacifista Dino
Frisullo" e poco più. E tutti sentimmo di aver perso qualcosa di più
di un fratello, di un compagno, di un militante di mille e più
battaglie. A coloro che si dilaniano tra "foto di Vasto"(signora mia,
come è messo male il giornalismo italico se viene a Vasto per
fotografare un pugliese, un molisano e un emiliano seduti in poltrona
e non si accorge minimamente di ben altre bellezze, la Bagnante si
lascia ammirare da decenni nella sua commovente bellezza e loro si
girano oltre...), il-Lusi-oni, margherite e api che sembra di stare in
un prato verde, terzi poli che si sciolgono ancor prima che la neve
cada, Dino avrebbe da insegnare moltissimo, tantissimo, tutto e anche
di più. Ma Dino è troppo passionale, troppo innamorato, troppo scomodo
per le loro vuote certezze. Dino è in mezzo a noi, Dino è patrimonio
degli ultimi, Dino è un'appassionata lotta che non è mai finita.
Ovunque si alzava la voce per i diritti e per la dignità, in ogni
luogo dove si alzava la bandiera della dignità e della pace, Dino
c'era. Dino Frisullo è stato per decenni la storia del pacifismo,
dell'antirazzismo, dell'internazionalismo, della sinistra italiana.
Quella sinistra che non si trastulla nei salotti, che non si arrampica
per le poltrone di una banca o di un palazzo. Ma che vive, si
appassiona, lotta, nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nei
lager per migranti, nei porti. Una lotta che sapeva diventare poesia
commovente e struggente, capace di graffiare le corde dell'animo e di
esprimere denuncia e umanità. L'11 settembre, il dramma di chi
abbandonava la sua terra e trovava ad attenderlo i lager e il
respingimento, nelle sue mani diventavano versi d'indignazione e di
denuncia.
Non esiste la storia di Dino, esistono le storie. La storia di Damiano
Frisullo, un giovane ragazzo pugliese, per vent'anni. E poi esiste
Dino, che per trent'anni ha attraversato i luoghi più martoriati e
difficili della Terra assetato di umanità e di libertà, di dignità e
di giustizia. Già negli Anni Ottanta, quando moltissimi a malapena
conoscevano la parola immigrazione ed erano ben lontani
dall'interessarsene, Dino aveva capito una lezione fondamentale. Non
ci si doveva "occupare" di immigrazione, non bisognava "lavorare" per
i migranti. No, era necessario e doveroso vivere con i migranti,
rivendicare diritti con i migranti, rendere i migranti protagonisti
delle loro vite e non oggetto di assistenzialismo o pietismo. Era, in
fin dei conti, la storia della vita e della militanza di Dino:
affiancarsi agli ultimi e agli oppressi e camminare con loro, essere
uno di loro in tutto e per tutto.
La Bosnia, la Palestina, fino al suo amatissimo Kurdistan sono stati
la sua Patria. Era il 1997, l'Italia aveva appena scoperto che il
Kurdistan esisteva veramente e non era un'invenzione cinematografica,
e Dino ne aveva già calpestato la terra per centinaia di volte. Arrivò
un giorno in un porto del sud, forse Brindisi o Mazara, una nave, una
vecchia carretta arrugginita. Sulla fiancata c'era una scritta rossa:
Frizullo. Poche settimane dopo ne arrivò un'altra: Frisonullo. I kurdi
conoscevano lui, Dino Frisullo, e pensarono di rendergli omaggio
mentre giungevano sulle coste della sua Italia. Dino per loro era più
di un amico, di un compagno, era il loro vessillo che issavano
sperando di trovare le braccia aperte e l'umanità di Dino. Non fu
così. Perché in quegli anni l'Italia cominciò a costruire i Cpt, i
lager per migranti. Dieci anni fa, erano i tempi delle oceaniche
manifestazioni contro la guerra in Iraq, i pacifisti furono accusati
di essere "quelli che sventolano le bandiere", i giovanotti di belle
speranze che non si sporcano le mani ma declamano belle parole. Dino
le mani se le sporcò eccome. E in Kurdistan provò anche l'arresto e la
prigione, fino ad essere espulso. Eminenti mandarini televisivi e
giornalistici, radical-chic da salotto e persino alcuni che si
dichiaravano pacifisti, lo attaccarono e dissero che non lavorava per
la Pace, che Dino danneggiava l'Italia. E' l'ipocrisia dei perbenisti
e di coloro che Dé Andre definì "materassi di piume".
La vita, le mille vite, di Dino è stata militanza appassionata, è
stata la lotta dei migranti, dei kurdi, di migliaia di persone. Una
militanza che cancellava la stessa vita personale e le dava altri
sentieri, altri passi, altri luoghi. Impegno quotidiano, se fosse
possibile anche 26 ore al giorno, senza pause e senza fermarsi, in una
"folle staffetta mozzafiato", com'ebbe a definirla lui stesso. Sempre
pronto, sempre presente, perché alla porta bussa l’amico tamil senza
visto di soggiorno, c'è un'occupazione o un corteo da organizzare e
mille altri impegni. Sul letto d'ospedale, poco prima di morire, il
suo pensiero non andava alla salute, a sé stesso, ma alla
mobilitazione contro la guerra che stava animando l'Italia, al suo non
poter essere in prima linea. Fino all'ultimo Dino non fu semplicemente
Damiano Frisullo, ma fu l'umanità assetata di altra umanità, la
millenaria storia dei compagni veri, dei socialisti e degli anarchici,
dei comunisti e dei pacifisti, degli operai e delle mondine, che
camminava. Lo straccio rosso di Pasolini per Dino non cadde mai per
terra, non si dovette mai rialzare dalla polvere, non ne aveva il
tempo.
"La cosa più bella è suscitare ricordi forti e belli" scrisse due mesi
prima di esser strappato crudelmente da noi. Tanti, tantissimi,
avranno per sempre ricordi forti e belli di Dino, con Dino. L'avranno
le migliaia di militanti e di attivisti che con lui hanno condiviso il
cammino, l'avranno i migranti, i pakistani, i tamil, i senza casa, i
palestinesi, gli iracheni, i kurdi che hanno lottato con lui e in lui
hanno trovato umanità, voce, speranza. E sono ricordi che superano
ogni calendario, ogni barriera di tempo e di spazio. Scavalcano quel
crudele 5 giugno e ancora oggi infiammano i cuori. Dino vive e lotta
ancora, ama e amerà sempre. Nel popolo dei sognatori e dei ribelli. In
una delle loro canzoni più belle i Modena City Ramblers cantano "Un
giorno, guidati da stelle sicure, ci ritroveremo in qualche angolo di
mondo lontano, nei bassifondi, tra i musicisti e gli sbandati o sui
sentieri dove corrono le fate". Nella lotta dei compagni, dei
militanti che non si arrendono, degli ultimi che reclamano diritti,
dignità, libertà e giorno dopo giorno costruiscono i loro sogni,
guidati dalle stelle più luminose dei cuori veri e degli ideali
appassionati, la musica dei poveri e il calore degli ultimi
disegneranno sempre la magia più bella, la magia di Dino.
Bellissimo conoscerti, impossibile dimenticarti. E oggi cammini ancora
al nostro fianco, ci fai coraggio e ci sproni a non fermarci mai. Nei
mille Alì che sognano l'Europa, nelle bellissime Leyla dagli occhi
"più profondi del mare", sotto il cielo di Zako, nei prigionieri
assetati di vita nel deserto del Neghev, nei 31 migranti deportati
l'altro giorno da Riace, negli aspri monti del Kurdistan, nel senza
casa che disperatamente vuol sperare nel futuro, Dino c'è. Ha altri
nomi, altre radici, ma è sempre lui. E ogni volta che asciugheremo una
lacrima di "chi sa piangere ancora", ogni giorno in cui raccoglieremo
"il testimone del suo entusiasmo", Dino camminerà al nostro fianco, il
mondo respirerà ancora e si nutrirà di ogni sua fibra.
Alessio Di Florio
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