[Redditolavoro] Fw: Giù le mani dalla Siria! - Un documento collettivo NoWar
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Tue Jul 3 15:13:43 CEST 2012
sostegno critico dello
slai cobas per il sindacato di classe
coordinamento nazionale
Giù le mani dalla Siria!
Il movimento contro la guerra e la situazione in Siria. Un documento
collettivo mette i piedi nel piatto sulla funzione di una coerente
opposizione
alla guerra, anche quella â?oumanitariaâ?.
La grave situazione in Siria, pone i movimenti che in questi anni si sono
battuti contro la guerra di fronte a nuovi e vecchi problemi che producono
lacerazioni, immobilismo e un vuoto di iniziativa.
Siamo attivi in reti, realtà politiche e movimenti che in questi anni â?" ed
anche in questi mesi â?" non hanno esitato a schierarsi contro
lâ?Tescalation della guerra umanitaria con cui lâ?Talleanza tra potenze
della Nato e petromonarchie del Golfo, sta cercando di ridisegnare la mappa
del Medio Oriente.
a) Interessi convergenti e prospettive divergenti al momento convivono
dentro questa alleanza tra le maggiori potenze della Nato e le potenze che
governano â?olâ?Tislam politicoâ?. Eâ?T difficile non vedere il nesso tra
lâ?Tinvasione/disgregazione della Libia, lâ?Tescalation in Siria, la
repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione
delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). La
dottrina del Dipartimento di Stato Usa â?oEvolution but not Revolutionâ?
aveva decretato quello che abbiamo sotto gli occhi come lunico sbocco
consentito della Primavera Araba. Da queste gravi responsabilità è
impossibile tenere fuori le potenze dellUnione Europea, in particolare
Francia,
Gran Bretagna e Italia, che hanno prima condiviso lâ?Taggressione alla
Libia, hanno mantenuto intatto il loro sostegno politico e militare ad
Israele
ed oggi condividono la stessa politica di destabilizzazione per la Siria.
b) I movimenti che si oppongono alla guerra, in questi ultimi anni hanno
dovuto fare i conti con diverse difficoltà. La prima è stata la rimozione
della guerra dallâ?Tagenda politica dei movimenti e delle forze della
sinistra o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni
militari
come quella in Libia. Dalla â?ooperazione di polizia internazionale in
Iraqâ? del 1991 alla â?oguerra umanitaria in Jugoslaviaâ? nel 1999 per
finire
con le â?oguerre per la democraziaâ? del XXI Secolo, le guerre asimmetriche
scatenate dai primi anni Novanta in poi dalle coalizioni di grandi
potenze contro paesi più deboli (Iraq, Somalia, Afghanistan, Jugoslavia,
Costa dAvorio, Libia), hanno sempre cercato una legittimazione morale che
poco a poco sembra essere penetrata anche nella elaborazione e nel
posizionamento di settori dei movimenti pacifisti e contro la guerra. I
sostenitori
della â?oguerra umanitariaâ? statunitensi ma non solo, stanno cercando di
definire una cornice legale agli interventi militari attraverso la dottrina
del â?oRights to Protectâ? (R2P). Gli obiettivi di queste guerre sono stati
sempre presentati come la inevitabile rimozione di capi di stato o di
governi relativamente isolati o addirittura resi invisi alla cosiddetta
â?ocomunità internazionaleâ? sia per loro responsabilità che per le
martellanti campagne di demonizzazione mediatiche e diplomatiche.
c) Saddam Hussein, Aydid, Milosevic, il mullah Omar, Gbagbo, Gheddafi e
adesso Assad, sono stati al centro di una vasta operazione di cambiamento di
regime che è passata attraverso gli embarghi, i bombardamenti e le invasioni
militari da parte delle maggiori potenze della Nato e i loro alleati
regionali, operazioni su vasta scala che hanno disgregato paesi immensamente
più deboli perseguendo la â?ostabilitàâ? degli interessi occidentali
attraverso la destabilizzazione violenta di governi o regimi dissonanti. A
prescindere dalle maggiori o minori responsabilità di questi leader verso
il benessere e la democrazia dei loro popoli, le maggiori potenze hanno
agito sistematicamente per la loro rimozione violenta attraverso aggressioni
militari e imposizione al potere di nuovi gruppi dirigenti subordinati agli
interessi occidentali.
d) Seppure negli anni precedenti la consapevolezza che la divisione tra
â?obuoni e cattiviâ? non sia mai stata una categoria limpida e definita â?"
anzi è servita a occultare le vere motivazioni delle guerre - nel nostro
paese ci sono stati movimenti di protesta che si sono opposti alla guerra
prescindendo dai soggetti in campo e che si sono posizionati sulla base di
una priorità: quel no alla guerra senza se e senza ma che in alcuni momenti
ha saputo essere elemento di identità e mobilitazione straordinario. Sembra
però che la coerenza con questa impostazione si stia sempre più
affievolendo e in alcuni casi ribaltando. La macchina del consenso alle
guerre ha visto infatti crescere gli elementi di trasversalità. Prima erano
solo personalità della destra a sostenere gli interventi militari, adesso vi
si arruolano anche uomini e donne della sinistra. Questa difficoltà era
già emersa nel caso dellaggressione militare alla Libia ed oggi si rivela
ancora più lacerante rispetto alla possibile escalation in Siria.
e) Le iniziative contro la guerra che ci sono state in questi mesi, seppur
minoritarie, sono riuscite a ostacolare lâ?Tarruolamento attivo di alcuni
settori pacifisti nella logica della guerra umanitaria, hanno creato una
polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di
fronte
alla capito lazione politica, culturale del pacifismo e
dellinternazionalismo. Ma la realtà sta incalzando tutte e tutti, ragione
per cui è necessario
affrontare una discussione nel merito dei problemi che la crisi in Siria ci
porrà davanti nei prossimi mesi.
Nel merito della situazione in Siria
1. In tutte le guerre asimmetriche â?" che di fatto sono aggressioni
unilaterali - le potenze occidentali hanno sempre lavorato per acutizzare le
contraddizioni e i contrasti esistenti nei paesi aggrediti. La questione
semmai è che lingerenza esterna da parte delle potenze della Nato e dei loro
alleati ha agito sistematicamente per una deflagrazione violenta dei
contrasti interni che consentisse poi lintervento militare e servisse a
legittimare la â?oguerra umanitariaâ?. La guerra mediatica ha bisogno
sempre di sangue, orrori, cadaveri, stragi da gettare nella mischia e negli
occhi dellopinione pubblica. Di solito le notizie su questo vengono
martellate nei primi venti giorni. Smentirle o dimostrarne la falsità o la
maggiore o minore manipolazione, diventa poi difficile se non impossibile.
Ciò significa che tutto viene inventato o manipolato? No. Ma un conflitto
interno senza ingerenze esterne può trovare una soluzione negoziata, se le
ingerenze esterne lavorano sistematicamente per impedirla si arriva sempre
ai massacri e poi allintervento militare â?ostabilizzatoreâ?. Chiediamoci
perchè tutti i piani e gli accordi di pace in questi venti anni sono stati
fallire (ultimo in ordine di tempo quello di Kofi Annan sulla Siria). Il
loro fallimento è funzionale al fatto che lunico negoziato accettabile per
le
potenze occidentali è solo quello che prevede la resa o luscita di scena â?"
anche violenta â?" della componente dissonante. Questo è quanto accaduto
ed è facilmente verificabile da tutti.
2. Le soluzioni avanzate dalle sedi della concertazione internazionale
(Consiglio di Sicurezza dellâ?TOnu, organizzazioni regionali come Unione
Africana, Lega Araba e Alba), non state capaci di opporsi alle politiche di
â?ocambiamento di regimiâ? decise dagli Usa o dalla Ue. I leader dei
regimi o dei governi rimossi, hanno cercato in più occasioni di arrivare a
compromessi con gli Usa o la Nato. Per un verso è stata la loro perdizione,
per un altro era una strada sbarrata già dallinizio. Più cercavano un
compromesso e maggiori diventavano le sanzioni adottate negli embarghi. Più
si
concretizzavano le condizioni per una ricomposizione dei contrasti interni e
più esplodevano autobombe o omicidi mirati che riaprivano il conflitto.
Se lunica soluzione proposta diventa il suicidio politico o materiale di un
leader o lo sgretolamento degli Stati, qualsiasi negoziato diventa
irrilevante.
3. Dalla storia della Siria non sono rimovibili le modalità autoritarie con
cui in varie tappe è stata affrontata la domanda di cambiamento di una
parte della popolazione siriana. Non è possibile ritenere che la leadership
siriana sia lâ?Tunica a aver gestito in modo autoritario le contraddizioni
e le aspettative nel mondo arabo. Questa caratteristica è comune a tutti i
paesi del Medio Oriente ed è una conseguenza dellimposizione dello Stato di
Israele nella regione e un retaggio del colonialismo. Ciò non giustifica la
leadership siriana ma ci indica anche chiaramente come la sua sostituzione
non corrisponderebbe affatto ad un avanzamento democratico o rivoluzionario
per il popolo siriano. Eâ?T sufficiente guardare quale tipo di leadership
si è impossessata del potere una volta cacciati Mubarak in Egitto, Ben Alì
in Tunisia, Gheddafi in Libia o chi sta imponendo il tallone di ferro su
Barhein, Yemen, Oman. Sono paesi in cui câ?Tè gente che ha lottato
seriamente per maggiore democrazia e diritti sociali più avanzati, ma chi ne
sta
gestendo le aspettative sono le potenze della Nato, le petromonarchie del
Golfo e le componenti più reazionarie dellâ?Tislam politico. Le componenti
progressiste della Primavera Araba sono state â?" al momento â?" isolate e
sconfitte da questa alleanza tra potenze occidentali e le varie correnti
dellâ?Tislam politico.
4. Dentro la crisi in corso in Siria, la leadership di Bashar El Assad ha
conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine
autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze che
spingono verso la democratizzazione. I risultati delle ultime elezioni
legislative non sono irrilevanti: ha votato il 59% della popolazione
nonostante la guerra civile in corso in diverse parti del paese (in Francia,
in
condizioni completamente diverse, alle ultime elezioni ha votato il 53%, in
Grecia nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni ha votato il
62%); per la prima volta si è rotto il monopolio politico del partito di
governo, il Baath, e nuove forze sono entrate in Parlamento indicando questa
rottura come obiettivo pubblico e dichiarato, si è creato cioè lembrione di
uno spazio politico reale per un processo di democratizzazione del paese;
le forze che si oppongono alla leadership di Assad vedono prevalere le
componenti armate e settarie, un dato che si evidenzia nei massacri e
attentati
che vengono acriticamente e sistematicamente addossati alle truppe siriane
mentre più fonti rivelano che così non è. Le forze di opposizione con una
visione progressista sono ridotte a ben poca cosa e non potranno che essere
stritolate dallâ?Tescalation in corso; infine, ma non per importanza,
lâ?Tingerenza esterna è quella che sta facendo la differenza. Non è più un
mistero per nessuno che le forze principali dellâ?Topposizione ad Assad
siano sostenute, armate e finanziate dallâ?Talleanza tra le potenze della
Nato (Turchia inclusa) e i petromonarchi di Arabia Saudita e Qatar. Eâ?T
unâ?Talleanza già sperimentata in passato sia in Afghanistan che nei Balcani
e nel Caucaso, unâ?Talleanza che si è rotta alla fine degli anni Novanta
e poi ricomposta dopo il discorso di Obama al Cairo che annunciava e
auspicava gli sconvolgimenti nel mondo arabo. Queste forze e lâ?Talleanza
internazionale che li sostiene puntano apertamente ad una guerra civile
permanente e diffusa per destabilizzare la Siria. I corridoi umanitari a
ridosso del confine con Turchia e Libano e la No fly zone, saranno il primo
passo per dotare di retrovie sicure i miliziani dellâ?TEsercito Libero
Siriano, spezzare i collegamenti tra la Siria e i suoi alleati in Libano
(Hezbollah soprattutto), destabilizzare nuovamente il Libano e rompere il
Fronte della Resistenza anti-israeliana. Se il logoramento e la
destabilizzazione tramite la guerra civile permanente non dovesse dare i
risultati
desiderati, è prevedibile un aumento delle pressioni sulla Russia per
arrivare ad un intervento militare diretto delle potenze riunite nella
coalizione ad hoc dei â?oFriends of Syriaâ? guidata dagli Usa ma con molti
volonterosi partecipanti come la Francia di Hollande o lâ?TItalia di Monti
e del ministro Terzi.
5. In questi anni, nelle mobilitazioni in Italia contro la guerra o per la
Palestina, abbiamo registrato ripetuti tentativi di gruppi e personaggi
della vecchia e nuova destra di aderire e partecipare alle nostre
manifestazioni. Un tentativo agevolato dallâ?Tabbassamento di molte difese
immunitarie nella sinistra e nei movimenti sul piano dellâ?Tantifascismo ma
anche dalla voragine politica lasciata aperta dallâ?Tarruolamento di molta
parte della sinistra dentro la logica eurocentrista, dalla subalternità
allâ?Tatlantismo e dalla complicità â?" o al massimo dallâ?Tequidistanza â?"
tra diritti dei palestinesi e la politica di Israele. Se la sinistra e una
parte dei movimenti hanno liberato le piazze dalla mobilitazione contro la
guerra, dal sostegno alla resistenza palestinese e araba ed hanno smarrito
per strada la loro identità, è diventato molto più facile lâ?Taffermazione
di alcuni gruppi marginali della destra e della loro chiave di lettura
esclusivamente geopolitica ed eurasiatica della crisi, dei conflitti e delle
relazioni sociali intesi come lotta tra potenze. I gruppi della destra
veicolano un antiamericanismo erede della sconfitta subita dal nazifascismo
nella seconda guerra mondiale e completamente avulso da ogni capacità di
lettura dellâ?Tegemonia imperialista sia nel suo versante statunitense che
in
quello europeo. Una chiave di lettura sciovinista e reazionaria che nulla a
che vedere con una identità coerentemente anticapitalista ed
internazionalista. Non solo. La paura di gran parte della sinistra di
declinare la solidarietà con i palestinesi come antisionista e
anticolonialista,
ha regalato a questa destra e alla sua declinazione razzista e antiebraica
uno spazio di iniziativa, cultura e solidarietà che storicamente ha sempre
appartenuto alle forze progressiste. Se si cede su un punto decisivo si
rischia di capitolare poi su tutto lo scenario mediorientale. Se questo è
già
visibile anche negli altri ambiti dellâ?Tagenda politica e sociale nel
nostro paese, è difficile immaginare che non avvenga anche sul piano della
mobilitazione contro la guerra e sui problemi internazionali. Sulla
Palestina e nella mobilitazione contro la guerra abbiamo sempre respinto
ogni
tentativo di connivenza con i gruppi della destra. Intendiamo continuare a
farlo ma vogliamo anche segnalare che â?" come sul piano sociale o
giovanile â?" è lâ?Tassenza di iniziative e la debole identità della
sinistra a facilitare il compito ai fascisti, non viceversa. Eâ?T necessario
dunque che alla coerenza con le posizioni e il ruolo svolto dalle nostre
reti, associazioni, organizzazioni in questi venti anni e che ha visto
schierarci sempre contro la guerra senza se e senza ma, si affianchi un
recupero di identità e di contenuti.
f) La seconda difficoltà che abbiamo dovuto registrare è stata quella di una
lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori
economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea soprattutto) e
il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione e
della competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Una
concertazione evidente quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati
deboli (Libia, Jugoslavia, Afghanistan) , una competizione quando si tratta
di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari
(Georgia, Iraq. Libia). Se il colonialismo classico è andato allâ?Tassalto
del Sud del mondo per accaparrarsi le risorse, il neocolonialismo è andato
a caccia di forza lavoro a basso costo. Ma dentro la crisi di sistema che
attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo, queste due dimensioni
oggi si sono ricomposte nella loro sintesi più alta e aggressiva. Alcuni di
noi la definiscono come imperialismo, altri come mondializzazione,
comunque la si chiami oggi si è riaperta una competizione a tutto campo per
accaparrarsi il controllo di risorse, forza lavoro, mercati e flussi
finanziari. Questa conquista ha come obiettivo soprattutto leconomia dei
paesi emergenti e quelli in via di sviluppo che molti ritengono poter essere
lâ?Tunica via dâ?Tuscita e valvola di sfogo per la crisi di civilizzazione
capitalistica che sta indebolendo Stati Uniti ed Unione Europea. In tale
contesto, la guerra come strumento della politica e dellâ?Teconomia è
allâ?Tordine del giorno. Se pensiamo di aver visto il massimo degli orrori
in
questi anni, rischiamo di doverci abituare a spettacoli ben peggiori.
Lâ?Talleanza â?" non certo inedita â?" tra potenze occidentali,
petromonarchie e
movimenti islamici ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il
processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la
realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare
lâ?Tanalisi e lâ?Tazione politica.
I firmatari di questo documento declinano in modo diverso categorie come
imperialismo, mondializzazione, militarismo, disarmo, antisionismo,
anticapitalismo, pacifismo, solidarietà internazionale e internazionalismo,
ma convergono su un denominatore comune sufficientemente chiaro nella
lotta contro la guerra e le aggressioni militari.
Per queste ragioni condividiamo lidea di promuovere:
â?¢ Il percorso comune di riflessione che ha portato a questo documento
â?¢ La costituzione di un patto di emergenza per essere pronti a scendere in
piazza se e quando ci sarà una escalation della Nato e dei suoi alleati
contro la Siria al quale chiediamo a tutti di partecipare
â?¢ lâ?Timpegno ad un lavoro di informazione e controinformazione coordinato
che contrasti colpo su colpo e con ogni mezzo a disposizione la
manipolazione mediatica che spiana la strada a nuove â?oguerre
umanitarieâ?, anche in Siria
Sottoscrivono per ora questo documento:
Rete Romana No War
Rete Disarmiamoli
Militant
Rete dei Comunisti
Partito dei Comunisti Italiani
Forum contro le guerre
Comitato Palestina, Bologna
Comitato Palestina nel Cuore, Roma
Gruppo dAzione per la Palestina, Parma
Collettivo Autorganizzato Universitario, Napoli
Csa Vittoria, Milano
Alternativa
Federazione Giovani Comunisti
Forum Palestina
Associazione Oltre Confine
Associazione amici dei prigionieri palestinesi, Italia
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