[Redditolavoro] Da due mesi sulla maxipetroliera per difendere stipendi e posti di lavoro

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Mon Jan 23 16:12:53 CET 2012


Da due mesi sulla maxipetroliera
per difendere stipendi e posti di lavoro
Gli operai hanno occupato la «Marettimo M» e denunciano una storia di 
speculazione.
L'azienda: iniziativa irragionevole

«Abbiamo contro un padrone spietato, dei sindacati ce ne siamo liberati, 
mentre le
istituzioni si voltano dall'altra parte. All'ufficio provinciale del lavoro 
ci hanno
risposto: va bene, trovate voi la soluzione e poi ci fate sapere. Come si fa 
a
credere nello Stato?». Sono, queste, le parole di Antonino Di Cola, 46 anni 
di cui 16
passati dentro il Cantiere Navale di Trapani, che dalla fine del mese di 
novembre,
festività natalizie incluse, vive assieme a una ventina di suoi colleghi 
sulla
petroliera «Marettimo M». Un'imbarcazione mai del tutto completata che i 
lavoratori
hanno deciso di occupare per non farsela «scippare».

BOLLICINE SVANITE - E' una storia drammatica che parte nel giugno 2009 
quando una
bottiglia Magnum personalizzata con il nome della nave s'infrangeva sullo 
scafo della
più grande petroliera mai costruita in Sicilia. Almeno nelle intenzioni. 
Secondo
Giuseppe D'Angelo, titolare del cantiere, entro tre mesi doveva essere 
consegnata
all'armatore Augusta Due con sede a Roma, chiudendo così una maxi commessa 
da 40
milioni di euro. Sono passati due anni e mezzo e assieme alle bollicine 
dello
spumante sono evaporate le speranze degli operai. Il Cantiere navale di 
Trapani,
lamentando la crisi internazionale, ha prima messo in cassa integrazione per 
tutto il
2011 e infine, prima del Natale ha annunciato il licenziamento dei 59 
lavoratori.
Eppure l'azienda ha recentemente preso una commessa da 7 milioni e mezzo 
dalla Marina
Militare.
«IRRAGIONEVOLE INIZIATIVA» - Alla fine di dicembre, l'incontro fra gli 
operai e i 2
capi di Gabinetto dell'assessore regionale alle Attività Produttive della 
Regione
Sicilia Marco Venturi nel quale hanno spiegato le ragioni dell' 
«occupazione». E con
un gesto eclatante hanno deciso di cancellare la loro iscrizione dai 
sindacati: «E'
la prima mossa che abbiamo fatto per poter lottare liberamente e senza
condizionamenti, e stiamo ottenendo molti più risultati ora», raccontano. 
Perché
forse, al di là della vertenza aziendale, il vero nodo da sciogliere resta 
la
questione sindacale. A tal proposito l'amministratore delegato del Cantiere 
Giuseppe
D'Angelo ha detto: «La società prende atto con disappunto dell'ennesima 
irragionevole
iniziativa intrapresa da una minoranza di lavoratori. Tale comportamento 
ostacola
fortemente i programmi dell'azienda che sono stati ampiamente esposti a 
tutte le
organizzazioni sindacali attraverso il piano industriale». Secondo l'imprenditore
prima la richiesta di mobilità e poi il licenziamento s'inquadrano in un 
contesto più
ampio che consentirà all'azienda di riassorbire la forza lavoro in virtù di 
una
ripresa del mercato. «Queste azioni danneggiano più di ogni altra cosa l'interesse
dei lavoratori», è la conclusione dell'azienda.

LA SATIN - Ma gli operai ci credono poco e mostrano le lettere di 
licenziamento
ricevute dall'azienda Cantiere Navale di Trapani insieme ad altre proposte 
di
assunzione a tempo determinato che riguardano solo una piccola parte dei 
lavoratori.
Dove? Presso Satin, l'azienda «madre» dell'imprenditore che controlla la 
Cantiere
Navale Trapani, cui la Satin potrebbe subentrare ricevendone in cambio 
solamente gli
onori ed eliminando gli oneri. Ché che gli operai lamentano crediti, fra 
ferie
congelate e mai pagate o altri stipendi, di circa 350mila euro. «E' il 
sistema delle
scatole cinesi. E' speculazione - attacca Antonino Di Cola - perché tutti i 
clienti
locali e storici della Cantiere navale Trapani, come la Ustica Lines, sono 
stati
messi nelle condizioni economiche di non partecipare più, proprio per creare 
una
crisi che di fatto è, come dire, una "crisi pilotata". E la commessa 
milionaria con
la Marina Militare non l'ha presa l'azienda Cantiere Navale di Trapani ma la 
Satin,
vecchia azienda della famiglia D'Angelo e con lo stesso consiglio di 
amministrazione
dell'altra. Lui, il padrone, prende i lavori con l'azienda "madre", svuota l'azienda
che ha in concessione l'area e così ha le mani libere, magari di usare 
manodopera a
bassissimo costo come i rumeni che già ci sono».

PARADOSSI - L'Assessorato alle Attività Produttive come soluzione tampone ha 
emesso
un bando per ristrutturare il bacino galleggiante nel porto di Trapani, di 
proprietà
della Regione siciliana. Un'opera che porterebbe una commessa di circa 9 
milioni di
euro. Commessa che però, ne convengono sia gli operai sia in assessorato,
presumibilmente si aggiudicherebbe chi lavora sul posto e dunque l'azienda 
(quale
delle due, controllata o controllante del signor D'Angelo. «Ma così - 
riattacca
Antonino Di Cola - siamo al paradosso e questo signore si ritroverebbe con l'area
libera, tutti gli operai licenziati e un'altra commessa milionaria con cui 
riempirsi
le tasche. E noi e le nostre famiglie? E i nostri crediti passati? E il 
nostro
futuro?"». Già, perché anche se la nuova commessa fosse vincolata al 
mantenimento
della forza lavoro in atto, prendendo l'appalto con la Satin, l'azienda 
«madre» che
giuridicamente è un altro soggetto rispetto al Cantiere Navale di Trapani 
che ha per
ora la concessione dell'area, l'imprenditore D'Angelo nulla avrebbe da 
spartire con i
59 operai prima cassintegrati poi licenziati.

Alessio Gervasi





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