[Redditolavoro] Fwd: Sergio Bologna sul Concordia

matilde matilde at inventati.org
Tue Jan 17 12:33:24 CET 2012


bell'articolo, l'ho passato ai miei followers
ma voi 'ndo state in twitter - l'avete fatta lista lì?
@laura12ottobre

----- Original Message ----- 
From: "cybergodz" <cybergodz a ecn.org>
To: <redditolavoro a lists.ecn.org>
Sent: Tuesday, January 17, 2012 10:26 AM
Subject: [Redditolavoro] Fwd: Sergio Bologna sul Concordia



-------- Messaggio originale --------
Oggetto: [RedLeghorn] Sergio Bologna sul Concordia
Data: Mon, 16 Jan 2012 21:00:01 +0100

Da "La furia dei cervelli":
http://furiacervelli.blogspot.com/2012/01/costa-concordia-la-movida-galleggiante.html?spref=fb

COSTA CONCORDIA: LA "MOVIDA" GALLEGGIANTE
Sergio Bologna


Strano che nessuno si sia chiesto quale bandiera batte la “Costa
Concordia”. Strano che nessuno si sia chiesto chi stava sul ponte di
comando della nave al momento dell’incidente. Strano che nessuno abbia
ricordato che ai primi di ottobre del 2011 la nave portacontainer “Rena”
della MSC è andata a sbattere contro l’Astrolabe Reef in Nuova Zelanda,
uno dei più preziosi paradisi marini del globo, e che da allora (sono
passati tre mesi e mezzo) sputa petrolio su quelle acque incontaminate,
creando il più grave disastro ecologico in quell’emisfero. Strano che
nessuno ricordi come l’Italia abbia a che fare in questi incidenti, per
più motivi. Costa Crociere, nata italiana come dice il nome, è
controllata dal gigante americano del settore. Ma chi la gestisce? Le
navi, è bene si sappia, sono di proprietà, di norma, di una holding la
cui prima preoccupazione è di metterle al riparo dal fisco e dalle norme
sulle tabelle d’armamento presso certi paradisi fiscali ( da cui le
cosiddette “bandiere ombra” o flag of convenience). Ma sono gestite da
Ship Management Societies specializzate che decidono le assunzioni di
personale e lo fanno di solito in base al principio del minor costo.

Sulla “Rena” c’erano 15 filippini su 20 uomini di equipaggio. I
filippini hanno pessima fama, ma ingiustamente, da “paria” del settore
sono diventati oggi tra quelli meglio preparati, perché negli anni hanno
imparato che la loro vocazione era quella ed hanno investito in scuole
professionali, che rilasciano i diplomi ed i certificati necessari per
l’imbarco. Purtroppo oggi il mercato dei certificati falsi è fiorente,
oggi i “paria” sono altri, ucraini, vietnamiti, turchi, bielorussi.



1. Sabato c’è stata una manifestazione sul Canale della Giudecca a
Venezia contro il passaggio delle grandi navi da crociera. Stava uscendo
in quel momento la “MSC Magnifica”. MSC sta per Mediterranean Shipping
Company ed è la creatura di un geniale italiano di Sorrento, Gianluigi
Aponte, che ha trasferito le sue attività in Svizzera, a Ginevra, dove
sembra abbia preso moglie con tanto di banca in dote. Ha una flotta di
circa 150 navi portacontainer (è la seconda al mondo) ed una flotta
sempre più consistente di navi da crociera. I suoi comandanti e, spesso,
anche i suoi ufficiali, sono di Sorrento o dintorni. Anche quello della
“Costa Concordia” viene da Sorrento, si legge, e con il suo
comportamento ha coperto di disonore una categoria di validissimi uomini
di mare. MSC è famosa nel mondo per la sua mancanza di trasparenza. Non
comunica informazioni relative ai suoi traffici, in particolare sui
volumi di merce trasportata, non conferma né smentisce le notizie che le
pubblicazioni insider sfornano ogni giorno sulle loro costosissime
newsletter. MSC si è fatta largo con una politica di prezzi assai
aggressiva, al limite del dumping, possibile quando si riducono i costi
al massimo e magari quando si dispone di grande liquidità (gli invidiosi
o i malevoli dicono di sospetta origine).

Ma torniamo alla nave naufragata. Chi era sul ponte di comando? Il
comandante e, si suppone, qualche ufficiale erano a cena con gli ospiti
che si erano messi in ghingheri apposta. Che il personale fosse
addestrato all’emergenza è probabile, ma per quanto riguarda il core
manpower, il 10/15% del totale quindi, le centinaia di precari a bordo,
che spesso parlano un paio di parole d’inglese al massimo, certo non lo
erano. Chi aveva verificato il funzionamento dei verricelli delle
scialuppe di salvataggio? Nessuno. La “Rena” era una nave substandard,
sottoposta ad ispezioni almeno una quarantina di volte negli ultimi
anni, in genere era stata fermata e rilasciata solo dopo giorni. Troppo
costoso per il signor Aponte ritirarla dal servizio. Le navi da crociera
invece sono recenti, dotate delle più sofisticate apparecchiature di
bordo. Se causano disastri è per cause diverse da quelle destinate al
cargo. E quali sono queste cause?

3. La principale è di carattere culturale, di costume si potrebbe dire.
Non è tanto problema di preparazione del personale, di controllo del
funzionamento delle apparecchiature, di competenza degli ufficiali, è
prima di tutto la cultura della “movida” a determinare certi
comportamenti irresponsabili. Una nave da crociera è un’oscena “movida”
galleggiante, che, a differenza di quella che ha devastato città come
Barcellona ed altre, coinvolge vecchi e bambini, donne incinte e suore,
paraplegici e malati cronici, tutti ammucchiati nella spensieratezza e
nello shopping, con cabine costruite per essere scomode in modo che i
passeggeri vadano in giro a comperare. Gli introiti all’armatore
provengono dallo shopping in egual misura che dalla tariffa di
passaggio. E poi lo spirito della “movida” è quello che fa avvicinare
questi mostri pericolosamente alle coste più belle, alle acque protette
dei pochi e non presidiati parchi marini. Chi abita a Camogli e dintorni
è ormai abituato a vedere le navi da crociera uscire dal porto di Genova
e puntare diritte sul parco marino di Punta Chiappa, passandoci
sfiorando le boe fatte per barche e motoscafi. Le sente lanciare l’urlo
delle sirene e allora la gente del posto spiega: “I comandanti sono di
Camogli ed è usanza che vengano a salutare le mogli e le mamme. Camogli
viene da Ca’ delle mogli”. All’inizio ci cascavo anch’io e magari
ripetevo questa sciocchezza a dei bagnanti inquieti per l’avvicinarsi
del mostro, ma oggi so che non è così. Perché le grandi navi passano per
il Canale della Giudecca? Per permettere ai passeggeri di scattare una
foto di piazza San Marco dal bacino. E questa “esperienza” pare che
valga l’intera crociera. Altrimenti perché i tour operator
minaccerebbero di boicottare Venezia se le navi non passano più per il
canale della Giudecca?



4. Era troppo tardi all’Isola del Giglio per scattare le foto. La
“movida” si era trasferita ai tavoli delle mense. Ma la “movida” da sola
non basta a spiegare le modalità dell’accaduto. Un fattore strutturale è
il cosiddetto “gigantismo” navale. Perché si costruiscono navi da 100
mila tonnellate, in grado di portare anche 6.000 persone? Per
risparmiare sui costi, punto. Non è che la vacanza è più bella se a
bordo si è in 6 mila invece di mille, anzi il servizio rischia di essere
peggiore. Una simile nave in caso di incidente è governabile assai meno
di una nave più piccola, fosse pure perfettamente esperto tutto
l’equipaggio in evacuazioni d’emergenza. E’ il gigantismo in sé la pura
follìa, perché innesca il circolo vizioso. Quanto più grande la nave,
tanto inferiori i costi unitari per l’armatore che può offrire prezzi a
portata di tutte le tasche. Tanto più basse le tariffe tanto più
difficile la concorrenza da parte di navi più piccole, con costi unitari
maggiori. Le barriere d’ingesso al mercato si alzano, la situazione
diventa di oligopolio e magari su certi  segmenti di mercato diventa
monopolio, allora le tariffe possono riprendere a crescere, ma nel
frattempo è il disastro. Nelle navi portacontainer la logica è la stessa
ed i danni all’ambiente sono costanti. Oggi sono in ordine ai cantieri
navi da 18.000 TEU, per entrare in un porto hanno bisogno di alti
fondali. Se chiedete a un Presidente di un qualunque porto italiano, che
non sia Trieste, in quali attività investe le maggiori risorse, vi
sentirete rispondere: scavare i fondali. Anche a Venezia è così e se non
ci si ferma in tempo sarà la morte della laguna, che già è agonizzante.
Con la costruzione del MOSE le bocche di porto si sono ristrette ed i
conducenti dei vaporetti vi diranno che razza di velocità hanno preso le
correnti in uscita ed in entrata a seconda delle maree, roba da render
difficile il governo di un vaporetto.

5. La Ship Management Society della “Rena”, la portacontaienr che sta
ancora devastando il reef neozelandese, è la Costamare, con sede in
Grecia. Se andate sul sito, troverete che si considera la migliore del
mondo nel trattamento degli equipaggi. Possiamo anche crederle ma il
problema oggi è che ci si trova ormai nello shipping in una situazione,
come nella finanza, sfuggita ad ogni controllo. Per disastri di
proporzioni inimmaginabili le multe pagate dalle società sono ridicole,
qualche problema in più lo hanno semmai le assicurazioni, la colpa
comunque è sempre dell’uomo, cioè di quel disgraziato a bordo che si è
fatto magari un turno di 16 ore. Si dice che il comandante della “Rena”
fosse ubriaco, forse era fatto di coca o forse il suo secondo al timone,
chissà. Non esiste un’Autorità Internazionale che abbia giurisdizione
sulle acque, in mare ciascuno fa il cazzo che vuole, l’International
Maritime Office può fare solo raccomandazioni e le sue Direttive debbono
essere ratificate dagli Stati…campa cavallo. La deregulation è totale ed
è iniziata con la deregulation del lavoro. Per questo sono nate le
bandiere di comodo, non tanto per pagare meno tasse ma per aggirare gli
standard dell’organico di bordo, cioè delle tabelle d’armamento. Le
caratteristiche fisiche e tecniche di ogni nave richiedono un organico
ben definito in termini di numero e di qualifiche, di ufficiali e di
crew. Gli armatori registrano la nave a Panama, alle Isole Caimane, in
Liberia per poter avere la mano libera sulle caratteristiche
dell’equipaggio. Nel mirino si dovrebbero tenere quindi non solo gli
armatori ma le Ship Management Societies. In Italia si è trovata una via
di mezzo, il cosiddetto Secondo Registro Navale, la nave rimane sotto
bandiera italiana e le tasse l’armatore le paga in Italia (non è il caso
qui di soffermarsi sulle agevolazioni fiscali concesse all’armamento, i
sacrifici si sa debbono farli solo i lavoratori, dipendenti, precari e
freelance che siano). Ma l’equipaggio può essere formato secondo
pratiche che non sono molto dissimili da quelle concesse alle flag of
convenience.


Non esiste salvezza dunque? Non è solo per antico operaismo, ma per una
considerazione fredda ed obbiettiva che ritengo l’unica possibilità di
salvezza la lotta multinazionale dei lavoratori. Purché se ne tenga
conto. Nessuno ci fa caso, nelle cosiddette pubblicazioni antagoniste o
di sinistra ancora non opportunista non c’è traccia di quel che accade
nel mondo della portualità e dello shipping. Invece ci sono fermate,
scioperi e proteste ogni giorno nel mondo, soprattutto nei porti. Forse
qualcuno ricorderà che un paio d’anni fa sui giornali è venuta fuori la
notizia che c’era un porto nuovo in Marocco che avrebbe stracciato tutti
i concorrenti, Gioia Tauro in primo luogo. Da mesi è semiparalizzato
dagli scioperi. Il problema non è quello di essere informati, ma quello
di esser presenti nell’opinione pubblica con ragionamenti che spostino
delle rivendicazioni dal terreno della pura sopravvivenza (di questo si
tratta e non di presunti “privilegi” dei portuali) al versante della
lotta per la salvezza dell’ambiente e di una civiltà del lavoro degna di
questo nome.
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