[Redditolavoro] Fwd: Sergio Bologna sul Concordia

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Tue Jan 17 10:26:19 CET 2012


-------- Messaggio originale --------
Oggetto: [RedLeghorn] Sergio Bologna sul Concordia
Data: Mon, 16 Jan 2012 21:00:01 +0100

Da "La furia dei cervelli":
http://furiacervelli.blogspot.com/2012/01/costa-concordia-la-movida-galleggiante.html?spref=fb

COSTA CONCORDIA: LA "MOVIDA" GALLEGGIANTE
Sergio Bologna


Strano che nessuno si sia chiesto quale bandiera batte la “Costa 
Concordia”. Strano che nessuno si sia chiesto chi stava sul ponte di 
comando della nave al momento dell’incidente. Strano che nessuno abbia 
ricordato che ai primi di ottobre del 2011 la nave portacontainer “Rena” 
della MSC è andata a sbattere contro l’Astrolabe Reef in Nuova Zelanda, 
uno dei più preziosi paradisi marini del globo, e che da allora (sono 
passati tre mesi e mezzo) sputa petrolio su quelle acque incontaminate, 
creando il più grave disastro ecologico in quell’emisfero. Strano che 
nessuno ricordi come l’Italia abbia a che fare in questi incidenti, per 
più motivi. Costa Crociere, nata italiana come dice il nome, è 
controllata dal gigante americano del settore. Ma chi la gestisce? Le 
navi, è bene si sappia, sono di proprietà, di norma, di una holding la 
cui prima preoccupazione è di metterle al riparo dal fisco e dalle norme 
sulle tabelle d’armamento presso certi paradisi fiscali ( da cui le 
cosiddette “bandiere ombra” o flag of convenience). Ma sono gestite da 
Ship Management Societies specializzate che decidono le assunzioni di 
personale e lo fanno di solito in base al principio del minor costo.

Sulla “Rena” c’erano 15 filippini su 20 uomini di equipaggio. I 
filippini hanno pessima fama, ma ingiustamente, da “paria” del settore 
sono diventati oggi tra quelli meglio preparati, perché negli anni hanno 
imparato che la loro vocazione era quella ed hanno investito in scuole 
professionali, che rilasciano i diplomi ed i certificati necessari per 
l’imbarco. Purtroppo oggi il mercato dei certificati falsi è fiorente, 
oggi i “paria” sono altri, ucraini, vietnamiti, turchi, bielorussi.



1. Sabato c’è stata una manifestazione sul Canale della Giudecca a 
Venezia contro il passaggio delle grandi navi da crociera. Stava uscendo 
in quel momento la “MSC Magnifica”. MSC sta per Mediterranean Shipping 
Company ed è la creatura di un geniale italiano di Sorrento, Gianluigi 
Aponte, che ha trasferito le sue attività in Svizzera, a Ginevra, dove 
sembra abbia preso moglie con tanto di banca in dote. Ha una flotta di 
circa 150 navi portacontainer (è la seconda al mondo) ed una flotta 
sempre più consistente di navi da crociera. I suoi comandanti e, spesso, 
anche i suoi ufficiali, sono di Sorrento o dintorni. Anche quello della 
“Costa Concordia” viene da Sorrento, si legge, e con il suo 
comportamento ha coperto di disonore una categoria di validissimi uomini 
di mare. MSC è famosa nel mondo per la sua mancanza di trasparenza. Non 
comunica informazioni relative ai suoi traffici, in particolare sui 
volumi di merce trasportata, non conferma né smentisce le notizie che le 
pubblicazioni insider sfornano ogni giorno sulle loro costosissime 
newsletter. MSC si è fatta largo con una politica di prezzi assai 
aggressiva, al limite del dumping, possibile quando si riducono i costi 
al massimo e magari quando si dispone di grande liquidità (gli invidiosi 
o i malevoli dicono di sospetta origine).

Ma torniamo alla nave naufragata. Chi era sul ponte di comando? Il 
comandante e, si suppone, qualche ufficiale erano a cena con gli ospiti 
che si erano messi in ghingheri apposta. Che il personale fosse 
addestrato all’emergenza è probabile, ma per quanto riguarda il core 
manpower, il 10/15% del totale quindi, le centinaia di precari a bordo, 
che spesso parlano un paio di parole d’inglese al massimo, certo non lo 
erano. Chi aveva verificato il funzionamento dei verricelli delle 
scialuppe di salvataggio? Nessuno. La “Rena” era una nave substandard, 
sottoposta ad ispezioni almeno una quarantina di volte negli ultimi 
anni, in genere era stata fermata e rilasciata solo dopo giorni. Troppo 
costoso per il signor Aponte ritirarla dal servizio. Le navi da crociera 
invece sono recenti, dotate delle più sofisticate apparecchiature di 
bordo. Se causano disastri è per cause diverse da quelle destinate al 
cargo. E quali sono queste cause?

3. La principale è di carattere culturale, di costume si potrebbe dire. 
Non è tanto problema di preparazione del personale, di controllo del 
funzionamento delle apparecchiature, di competenza degli ufficiali, è 
prima di tutto la cultura della “movida” a determinare certi 
comportamenti irresponsabili. Una nave da crociera è un’oscena “movida” 
galleggiante, che, a differenza di quella che ha devastato città come 
Barcellona ed altre, coinvolge vecchi e bambini, donne incinte e suore, 
paraplegici e malati cronici, tutti ammucchiati nella spensieratezza e 
nello shopping, con cabine costruite per essere scomode in modo che i 
passeggeri vadano in giro a comperare. Gli introiti all’armatore 
provengono dallo shopping in egual misura che dalla tariffa di 
passaggio. E poi lo spirito della “movida” è quello che fa avvicinare 
questi mostri pericolosamente alle coste più belle, alle acque protette 
dei pochi e non presidiati parchi marini. Chi abita a Camogli e dintorni 
è ormai abituato a vedere le navi da crociera uscire dal porto di Genova 
e puntare diritte sul parco marino di Punta Chiappa, passandoci 
sfiorando le boe fatte per barche e motoscafi. Le sente lanciare l’urlo 
delle sirene e allora la gente del posto spiega: “I comandanti sono di 
Camogli ed è usanza che vengano a salutare le mogli e le mamme. Camogli 
viene da Ca’ delle mogli”. All’inizio ci cascavo anch’io e magari 
ripetevo questa sciocchezza a dei bagnanti inquieti per l’avvicinarsi 
del mostro, ma oggi so che non è così. Perché le grandi navi passano per 
il Canale della Giudecca? Per permettere ai passeggeri di scattare una 
foto di piazza San Marco dal bacino. E questa “esperienza” pare che 
valga l’intera crociera. Altrimenti perché i tour operator 
minaccerebbero di boicottare Venezia se le navi non passano più per il 
canale della Giudecca?



4. Era troppo tardi all’Isola del Giglio per scattare le foto. La 
“movida” si era trasferita ai tavoli delle mense. Ma la “movida” da sola 
non basta a spiegare le modalità dell’accaduto. Un fattore strutturale è 
il cosiddetto “gigantismo” navale. Perché si costruiscono navi da 100 
mila tonnellate, in grado di portare anche 6.000 persone? Per 
risparmiare sui costi, punto. Non è che la vacanza è più bella se a 
bordo si è in 6 mila invece di mille, anzi il servizio rischia di essere 
peggiore. Una simile nave in caso di incidente è governabile assai meno 
di una nave più piccola, fosse pure perfettamente esperto tutto 
l’equipaggio in evacuazioni d’emergenza. E’ il gigantismo in sé la pura 
follìa, perché innesca il circolo vizioso. Quanto più grande la nave, 
tanto inferiori i costi unitari per l’armatore che può offrire prezzi a 
portata di tutte le tasche. Tanto più basse le tariffe tanto più 
difficile la concorrenza da parte di navi più piccole, con costi unitari 
maggiori. Le barriere d’ingesso al mercato si alzano, la situazione 
diventa di oligopolio e magari su certi  segmenti di mercato diventa 
monopolio, allora le tariffe possono riprendere a crescere, ma nel 
frattempo è il disastro. Nelle navi portacontainer la logica è la stessa 
ed i danni all’ambiente sono costanti. Oggi sono in ordine ai cantieri 
navi da 18.000 TEU, per entrare in un porto hanno bisogno di alti 
fondali. Se chiedete a un Presidente di un qualunque porto italiano, che 
non sia Trieste, in quali attività investe le maggiori risorse, vi 
sentirete rispondere: scavare i fondali. Anche a Venezia è così e se non 
ci si ferma in tempo sarà la morte della laguna, che già è agonizzante. 
Con la costruzione del MOSE le bocche di porto si sono ristrette ed i 
conducenti dei vaporetti vi diranno che razza di velocità hanno preso le 
correnti in uscita ed in entrata a seconda delle maree, roba da render 
difficile il governo di un vaporetto.

5. La Ship Management Society della “Rena”, la portacontaienr che sta 
ancora devastando il reef neozelandese, è la Costamare, con sede in 
Grecia. Se andate sul sito, troverete che si considera la migliore del 
mondo nel trattamento degli equipaggi. Possiamo anche crederle ma il 
problema oggi è che ci si trova ormai nello shipping in una situazione, 
come nella finanza, sfuggita ad ogni controllo. Per disastri di 
proporzioni inimmaginabili le multe pagate dalle società sono ridicole, 
qualche problema in più lo hanno semmai le assicurazioni, la colpa 
comunque è sempre dell’uomo, cioè di quel disgraziato a bordo che si è 
fatto magari un turno di 16 ore. Si dice che il comandante della “Rena” 
fosse ubriaco, forse era fatto di coca o forse il suo secondo al timone, 
chissà. Non esiste un’Autorità Internazionale che abbia giurisdizione 
sulle acque, in mare ciascuno fa il cazzo che vuole, l’International 
Maritime Office può fare solo raccomandazioni e le sue Direttive debbono 
essere ratificate dagli Stati…campa cavallo. La deregulation è totale ed 
è iniziata con la deregulation del lavoro. Per questo sono nate le 
bandiere di comodo, non tanto per pagare meno tasse ma per aggirare gli 
standard dell’organico di bordo, cioè delle tabelle d’armamento. Le 
caratteristiche fisiche e tecniche di ogni nave richiedono un organico 
ben definito in termini di numero e di qualifiche, di ufficiali e di 
crew. Gli armatori registrano la nave a Panama, alle Isole Caimane, in 
Liberia per poter avere la mano libera sulle caratteristiche 
dell’equipaggio. Nel mirino si dovrebbero tenere quindi non solo gli 
armatori ma le Ship Management Societies. In Italia si è trovata una via 
di mezzo, il cosiddetto Secondo Registro Navale, la nave rimane sotto 
bandiera italiana e le tasse l’armatore le paga in Italia (non è il caso 
qui di soffermarsi sulle agevolazioni fiscali concesse all’armamento, i 
sacrifici si sa debbono farli solo i lavoratori, dipendenti, precari e 
freelance che siano). Ma l’equipaggio può essere formato secondo 
pratiche che non sono molto dissimili da quelle concesse alle flag of 
convenience.


Non esiste salvezza dunque? Non è solo per antico operaismo, ma per una 
considerazione fredda ed obbiettiva che ritengo l’unica possibilità di 
salvezza la lotta multinazionale dei lavoratori. Purché se ne tenga 
conto. Nessuno ci fa caso, nelle cosiddette pubblicazioni antagoniste o 
di sinistra ancora non opportunista non c’è traccia di quel che accade 
nel mondo della portualità e dello shipping. Invece ci sono fermate, 
scioperi e proteste ogni giorno nel mondo, soprattutto nei porti. Forse 
qualcuno ricorderà che un paio d’anni fa sui giornali è venuta fuori la 
notizia che c’era un porto nuovo in Marocco che avrebbe stracciato tutti 
i concorrenti, Gioia Tauro in primo luogo. Da mesi è semiparalizzato 
dagli scioperi. Il problema non è quello di essere informati, ma quello 
di esser presenti nell’opinione pubblica con ragionamenti che spostino 
delle rivendicazioni dal terreno della pura sopravvivenza (di questo si 
tratta e non di presunti “privilegi” dei portuali) al versante della 
lotta per la salvezza dell’ambiente e di una civiltà del lavoro degna di 
questo nome.


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