[Redditolavoro] risposta al professor ichino

matilde matilde at inventati.org
Sun Feb 5 13:56:57 CET 2012


è illustrato perfettamente quel che avviene nel corridoio fuori dell'aula: 
un vero e proprio mercato.
Per sbarazzarsi di persone sgradite l'azienda propone rientro ma solo in 
sede diversa e lontanissima, rendendo accettazione impossibile e quindi 
spingendo verso liquidazione di una cifra che viene accettata sperando in 
una collocazione futura che porti con sè meno sofferenza.
L'ipotesi del ricollocamento, detto anche outplacement, sarebbe valida se vi 
fosse un collegamento a richieste da parte di altre aziende alla ricerca di 
quella qualifica e esperienza. Dovrebbe esservi una presa in carico per 
vedere dove collocare alternativamente, anche in costanza di rapporto. Nel 
settore pubblico esiste il database che raccoglie richieste trasferimento, 
nel privato si potrebbe creare senza difficoltà con gli attuali mezzi.
A questo è collegabile la mia idea delle 150 ore retribuite per provare 
situazioni diverse, se non gradito il lavoro che si svolge, con possibilità 
ripensamento o esodo. Solo così può determinarsi una transizione non 
traumatica.
Ovviamente non sto parlando di situazioni chiaramente discriminatorie, che 
abbisognano di tutela piena da parte dei sindacati e giudici referenti.
Laura


----- Original Message ----- 
From: "CobasSindacatodiClasse" <cobasta a libero.it>
To: <redditolavoro a lists.ecn.org>
Sent: Sunday, February 05, 2012 8:03 AM
Subject: [Redditolavoro] risposta al professor ichino


Leggendo l'articolo del Professor Ichino, pubblicato sul Corriere della Sera
lo scorso 15 settembre, ci è venuta in mente l'ipotesi in cui la Sig.ra
Irene incontri il Sig. Buonaventura e i due si scambino le reciproche
esperienze. Quest'ultimo inizierebbe a raccontarle della sua attività di
posteggiatore in un'azienda con circa 120 dipendenti, che gestiva diversi
parcheggi in una grande città e nella relativa provincia. Il Sig.
Buonaventura era l'addetto ai ticket: la sua attività consisteva nel
consegnare e ritirare i biglietti agli utenti oltre a versare gli importi
corrispondenti. Tale lavoro veniva svolto per otto ore al giorno sempre 
all'aperto,
d'estate sotto il sole cocente e d'inverno  cercando di resistere alla
nebbia e al freddo. A un certo punto il sig. Buonaventura iniziò a chiedere,
con insistenza quasi quotidiana, che gli  venissero concessi una sedia e un
ombrellone sotto cui ripararsi. L'azienda, per tutta risposta,  lo
licenziava per giusta causa. Recatosi dall'avvocato, quest'ultimo cercava di
rassicurarlo che sarebbe stato reintegrato nei suoi diritti. Di fronte a
precise domande, però, inspiegabilmente, l'avvocato  non dava contezza di
quali fossero esattamente questi "diritti".

Dopo qualche mese, l'avvocato si trova col suo cliente davanti al Giudice
del lavoro e durante l'udienza dall'esterno dell'aula  si sente il Sig.
Buonaventura che ad alta voce esclama. "Ma via, non siamo mica al mercato!"

Ma perché il posteggiatore si è abbandonato a questa imprecazione?

In realtà i fatti sono semplici. Nel tentativo di conciliazione, il Giudice,
come prescritto dall'art. 420 c.p.c., aveva invitato le parti a trovare una
soluzione conciliativa. In quella sede era emersa la richiesta del
dipendente di essere riammesso al servizio, paventando l'applicazione 
dell'art.
18 dello Statuto dei lavoratori., ipotesi rispetto alla quale l'azienda
aveva risposto che lo avrebbero sì riammesso al lavoro, ma in una città
della provincia a 95 km di distanza e praticamente non raggiungibile
giornalmente con i mezzi pubblici. Poiché il malcapitato posteggiatore  non
aveva né la macchina né la patente, si era dovuto indirizzare la
conciliazione, come regolarmente accade, verso ipotesi risarcitorie, ovvero
prevedendo che l'azienda riconoscesse un indennizzo al dipendente in
sostituzione del posto di lavoro. Il problema a quel punto era stabilire
quale fosse il "valore" del posto di lavoro. Ed in questo frangente, nella
baraonda di cifre azzardate dagli avvocati, dal Giudice e dalle parti
personalmente, si era giunti all'esclamazione del povero, ma forse assennato
Buonaventura.

Non vi diciamo com'è finita la causa, ma siamo sicuri che nei parcheggi
gestiti da quell'azienda non lo incontrerete più. Nella realtà, nonostante 
l'art.
18 dello Statuto dei Lavoratori, ogni avvocato che si sia occupato
assiduamente di diritto del lavoro sa bene che, pur a fronte di
licenziamenti dichiarati illegittimi dall'autorità giudiziaria, i dipendenti
che vengono effettivamente reintegrati nelle aziende si possono contare
sulle dita di una mano. Il problema quindi del rapporto tra azienda e
lavoratore va ben al di là dell'art. 18, che nella realtà di oggi non
costituisce alcun deterrente né ai licenziamenti né alle assunzioni.  Forse
il percorso verso un mercato del lavoro che voglia essere effettivamente
competitivo e garantista è più lungo e destinato a coinvolgere un'effettiva
rappresentanza delle parti sociali in un dialogo che - ci auguriamo - possa
essere davvero costruttivo per tutti.


Avv. Mirco Rizzoglio


Avv. Marisa Marraffino

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