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Mon Sep 19 20:01:05 CEST 2011
Amianto killer: colossi sotto inchiesta
Indagini su Acmar e Compagnia Portuale
Le storie di Mario e Luigi, lavoratori morti per mesotelioma
Chiesto rinvio a giudizio per il console dei portuali ma è già morto
di Ivan Adonis
Anni di lavoro maneggiando amianto poi la malattia e la morte. La storia di
due lavoratori i cui
decessi sono finiti nel mirino della magistratura. Le imprese per cui
lavoravano Mario e Luigi erano
Acmar e Compagnia Portuali, colossi dell'industria ravennate. Lavori diversi
ma le mansioni degli
operai erano sempre attorno a quella sostanza in polvere. All'ex Sarom
c'erano quei forni che
andavano rifatti ogni tre-quattro anni. Dovevi entrare là dentro, raschiare
via il materiale isolante
con olio di gomito e uscire con la roba nei secchi. Certo, c'erano le
mascherine e gli aspiratori, ma
quella roba faceva lo stesso un sacco di polvere. Al porto c'erano quei
sacchi di carta da spostare a
spalla. Alle volte si rompevano e allora quella roba che stava dentro,
cadeva e si sparpagliava. E così
dalla carta si era passati alla plastica, più resistente direte voi. Ma
tanto quella roba te la ritrovavi
addosso lo stesso mentre sgomberavi certe stive o mentre lavoravi con il
materiale isolante dei
cantieri.
Perché quella roba è amianto, e per sua natura, una volta frantumata,
sminuzzata, risollevata come
polvere, finisce dappertutto. Il conto che può restituire dopo anni - alle
volte tanti anni - si chiama
mesotelioma. Quasi una firma per l'amianto. Questa è la storia di due
fascicoli penali aperti per
accertare eventuali responsabilità sugli allora rappresentanti di due
colossi di settore dell'economia
ravennate. Anche se sarebbe più giusto scrivere che è la storia di due
persone: due lavoratori che non
hanno fatto in tempo a godersi la pensione, stroncati da un tumore
riconducibile, secondo l'accusa, a
una lunga esposizione all' amianto.
Mario - il nome è di fantasia, tutto il resto no - era nato a Civitella di
Romagna poco prima della
guerra. Tra il 1963 e il 1987 aveva lavorato come dipendente della Compagnia
Portuale. Poi gli era
arrivata la pensione. Ma non gli era rimasto molto tempo perché già
nell'autunno del 2003 gli era
stata fatta una diagnosi con ben poche speranze: tumore ai polmoni. L'uomo
era morto nel marzo
dell'anno dopo, a 67 anni. E nel 2007 l'Inail aveva riconosciuto quel
decesso come legato a una
malattia professionale. L'esposizione all'amianto durata per 19 anni sarebbe
stata cioè determinante
nella morte del facchino Mario sebbene per quasi 50 anni l'uomo fosse stato
un accanito fumatore. La
ragione arriva dalla corposa relazione della Medicina del lavoro dell'Ausl
allegata al caso. Siamo
ancora negli anni '60 e quegli involucri di carta - si legge nelle pagine -
alle volte si spaccano, e poi
tocca ai dipendenti pulire magazzini, piazzali, container. I miglioramenti
arrivano solo negli anni
Settanta quando iniziano a girare le maschere a doppio filtro, le tutte usa
e getta, gli stivali, i guanti e
gli aspiratori.
Ma non sapremo mai quanto amianto nel frattempo sia stato movimentato in
banchina perché, a
causa dei traslochi degli archivi delle Dogane, si hanno a disposizione dati
solo a partire dal 1977. E
così l'analisi riparte da quegli anni, da quando proprio su sollecitazione
della Compagnia Portuale si
hanno i primi interventi dell'allora servizio di Medicina del lavoro del
Comune. Quattro-cinque puntate
l'anno per dispersione amianto in banchina, seguite da vari suggerimenti per
contenere quelle fughe.
Però l'esposizione a inalazione va avanti fino al 1982, poi si riduce alle
sole stive che avevano
trasportato il minerale.
Ecco perché, secondo l'Inail, Mario si era ammalato. Ma come si sarebbe
potuto evitare? Per la
procura, erano quattro le cose da fare: attuare le misure d'igiene previste,
istruire i lavoratori sui
rischi, fornire adeguati mezzi di prevenzione ed esigere che i dipendenti
rispettassero le norme di
sicurezza. E siccome - continua l'accusa - ciò non sarebbe accaduto tra il
1971 e il 1982, ecco che per
l'allora console è stato chiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo.
Ma l'uomo, che oggi avrebbe
più di 80 anni, è già morto. Nessun processo allora per la morte di Mario?
Non proprio, perché il
giudice ha deciso di estendere le indagini all'allora consiglio
d'amministrazione. E tutto è tornato nelle
mani del pm.
E qui andiamo alla storia di Luigi - nome ancora di fantasia, il resto no -
morto di mesotelioma a fine
primavera del 2006. Era nato 74 anni prima a Pievequinta, nel Forlivese. E
dal 1968 al 1992 aveva
lavorato per la coop edile Acmar. Lui era tra quelli che, in appalto,
avevano operato in un particolare
reparto dell'allora raffineria Sarom: la manutenzione di forni e caldaie.
Immaginateli come grandi
silos, fuori di lamiera e dentro di amianto; e in mezzo, materiale
refrattario. Quell'amianto bisognava
raschiarlo via ciclicamente. C'erano apposite squadre di operai per farlo.
Trenta ogni volta: 15 fuori e
15 dentro, e ogni mezz'ora si davano il cambio. E alla fine dell'anno potevi
così avere passato a
raschiare quella roba tra i due e i sei mesi. Tutto è andato avanti fino
agli 1985-1990, almeno secondo
quella relazione dell'Inail che a inizio 2010 è finita dritta dritta in un
esposto-denuncia sul caso tirando
dentro alle indagini i nomi di due responsabili Acmar dell'epoca. A gennaio
prossimo i medici incaricati
dalle parti si ritroveranno di fronte al giudice per tentare di dare una
spiegazione all'accaduto. Nel
frattempo quella di Luigi (così come quella di Mario) rimarrà la storia di
un fascicolo penale oltre a
quella di uomo forse morto di lavoro.
19 - 09 - 2011
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