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Fri May 27 13:03:14 CEST 2011


La battaglia di Fincantieri

26/05/2011 Marco Arturi

Nei cantieri navali esplode la rabbia operaia. La vicenda Fincantieri - 
originata dalla presentazione di quello che più che a un piano industriale 
somiglia a un bagno di sangue: 2551 esuberi, chiusura dei cantieri di 
Castellammare di Stabia e Sestri Ponente, ridimensionamento di Riva 
Trigoso - ha innescato una serie di proteste che in alcuni casi hanno 
assunto i connotati della rivolta. Perché questa storia ha almeno due 
caratteristiche anomale: a licenziare è lo Stato e a essere licenziate sono 
intere collettività.

Le realtà di Sestri e Castellammare sono connotate da un rapporto stretto, 
indissolubile, tra cantiere e territorio. A Genova il cantiere navale è 
parte integrante della storia e della cultura - che ha in parte generato - 
del quartiere e dell'intera città, mentre a Castellammare la Fincantieri 
rappresenta un'opportunità di lavoro preziosa e uno strumento di tutela e 
riscatto sociale. È questa l'anomalia con cui l'amministratore delegato di 
Fincantieri Giuseppe Bono, ribattezzato «Peppiniello» dai lavoratori per la 
tendenza a muoversi ed esprimersi in maniera roboante, e il governo dovranno 
fare i conti: non è un caso che la condotta del ministro alle attività 
produttive Romani sia caratterizzata da incertezze e marce indietro. E che 
addirittura Sacconi cerchi di ridimensionare gli obiettivi del Piano 
industriale, affermando che un semplice «dimagrimento» degli organici 
dovrebbe essere sufficiente.

Va da sé che in tutti e due i casi, sia in Liguria che in Campania, una 
chiusura avrebbe ricadute devastanti sul tessuto sociale. Eppure, mentre a 
Castellammare il sindaco arriva a invocare l'intervento dell'esercito per 
mettere a tacere la protesta, a Genova tutti gli amministratori locali hanno 
offerto il loro appoggio incondizionato ai lavoratori. Sia da una parte che 
dall'altra, l'atteggiamento della popolazione è di solidarietà e 
partecipazione: tornati da Roma, i delegati di Castellammare hanno trovato l'intera 
città ad attenderli di fronte al municipio che avrebbero occupato da lì a 
poco, mentre per dire di Genova basta il comportamento dei tassisti, che 
dopo tre giorni di disagi dovuti ai blocchi attuati dagli operai hanno 
diffuso un comunicato ufficiale di solidarietà nei loro confronti. «Quello 
che sta succedendo qui da noi ha dell'incredibile per chi non conosce la 
storia e la realtà di questo cantiere e del suo rapporto con la città - 
spiega Giulio Troccoli, Rsu Fiom di Sestri - ma per noi non è stato così 
sorprendente vedere, oltre ai lavoratori di altre fabbriche, studenti, 
commercianti e perfino le associazioni padronali schierarsi a difesa del 
nostro lavoro. Mi rendo conto che siamo portatori di un'idea forse 
romantica, ma alla fine in queste condizioni anche il romanticismo può 
aiutarti: chiedetevi perché qui a Genova anche la Lega ha emesso un 
comunicato in nostro sostegno».

Alleanze inattese o imbarazzanti a parte, è davvero impressionante vedere 
come l'intera città si sia schierata in maniera anche attiva a fianco dei 
lavoratori della Fincantieri. La vera novità a Sestri è piuttosto la 
partecipazione massiva alla lotta dei lavoratori migranti, che qui 
rappresentano 55 nazionalità: gente che rischia di perdere assieme al lavoro 
anche il permesso di soggiorno, si dirà. Ma non basta a spiegare tutto: 
«Questi operai hanno avuto l'opportunità di imparare nel nostro cantiere cos'è 
la dignità del lavoro - racconta ancora Troccoli - e sono determinati quanto 
gli noi a difendere i loro diritti. È gente brava a lavorare, spesso 
specializzata, e va detto una volta per tutte che senza di loro le navi non 
si fanno. Loro lo hanno compreso e si sentono parte attiva. I lavoratori del 
Bangladesh hanno voluto portare lo striscione della Rsu in manifestazione».

Alla Fincantieri di Sestri Ponente [2500 lavoratori a pieno organico tra 
diretti e appalti, età media 38 anni] si realizzano prevalentemente navi da 
crociera e imbarcazioni militari. Si tratta di produzioni che non possono 
essere sufficienti a garantire continuità, anche a causa degli effetti di 
una crisi che continua a mordere; il sindacato propone una riconversione che 
preveda l'impegno del cantiere su segmenti come l'offshore, le navi da 
trivellazione e i grandi traghetti, produzioni che del resto a Genova si 
sono realizzate nel passato. Quello che manca è l'impegno sull'innovazione 
tecnologica. L'incubo della chiusura, per quanto concreto, non si 
concretizzerà comunque prima della primavera del prossimo anno, dal momento 
che il lavoro è garantito fino ad aprile 2012. Per ora qui è tregua armata, 
in attesa dell'incontro tra il governo e le parti, programmato per la 
mattinata del 3 giugno al Ministero delle Attività produttive. Da Genova 
partiranno diversi pullman a seguito della delegazione.

Nel cantiere di Castellammare di Stabia [684 addetti diretti, che diventano 
quasi 2000 con l'indotto, età media 34 anni] la produzione è dedicata per lo 
più ai grandi traghetti. Qui di tregua non se ne parla: ancora oggi cortei e 
blocchi stradali hanno paralizzato la città dopo l'occupazione del municipio 
e le azioni dei giorni passati. «Non ci fidiamo più, veniamo presi in giro 
da due anni - dice Antonio Santorelli della Fiom - dal signor Bono, ma anche 
dalla politica locale e dal governo. Non molleremo, se non in presenza di 
atti seri e concreti. E chiediamo il contributo di tutti alla nostra lotta, 
perché se qualcuno pensa che lo smantellamento di questi due stabilimenti 
sia sufficiente a chiudere la partita si sbaglia di grosso: dopo di noi 
toccherà agli altri, qui ciò che sta per essere dismesso è l'intero settore 
della cantieristica navale». In discussione ci sono l'ipotesi della 
realizzazione di un bacino di costruzione da Castellammare all'inizio del 
porto di Napoli e un impegno sulle riparazioni, ma le promesse del 
presidente della regione Stefano Caldoro non sono riuscite a persuadere i 
lavoratori, che ogni mattina si trovano con parte della popolazione di 
fronte al palazzo del Comune per decidere le modalità delle lotte della 
giornata. Anche qui parte della cittadinanza scende in piazza a fianco degli 
operai, ma il sindaco Luigi Bobbio ha reagito come un signorotto 
ottocentesco di fronte ai tumulti popolari: ha chiesto l'intervento dell'esercito 
contro le «azioni sovversive» messe in piedi dagli operai e ha sollecitato 
la prefettura al ripristino dell'ordine. «Hanno detto che abbiamo costretto 
i commercianti alla serrata e questa è una bugia vergognosa - spiegano i 
delegati Fiom - la realtà è che i negozianti hanno abbassato spontaneamente 
le saracinesche al nostro passaggio in segno di solidarietà. Ma anche la 
disinformazione l'avevamo messa in conto»

Resta una situazione drammatica, che secondo i sindacati andrebbe gestita 
parlando direttamente con Berlusconi e Tremonti. La vera proprietà di 
Fincantieri è il ministero del tesoro, che attraverso Fintecna controlla il 
99, 06 per cento della società. È ancora troppo presto per capire se 
Fincantieri stia «alzando l'asticella», minacciando le chiusure per 
strappare più agevolmente concessioni in termini di diritti e produttività. 
Ma non sono pochi a pensare che anche in questo caso Marchionne abbia fatto 
scuola. «Con tutta probabilità non verrà richiesta la limitazione delle 
libertà sindacali come il diritto di sciopero o l'elezione delle Rsu - 
spiega Franco Grondona, segretario Fiom di Genova - ma ci aspettiamo 
richieste tipo la mensa a fine turno, una maggiore elasticità sugli orari e 
concessioni in termini di produttività. Ma adesso l'imperativo è scongiurare 
la chiusura».

La posta in gioco è alta anche in termini politici, perché se il piano Bono 
andasse a compimento ad avere chiuso i cantieri sarebbe stato di fatto il 
governo. Un precedente che stravolgerebbe la logica delle relazioni 
industriali: i ministeri - e più in generale le istituzioni - vedrebbero 
svuotato di credibilità il loro ruolo di arbitri tra le parti e qualunque 
imprenditore privato potrebbe sentirsi maggiormente legittimato a chiudere o 
licenziare. Ma del resto, questo è il mercato globale.

Non possono non tornare alla mente di chi li ha visti i protagonisti e le 
storie di un piccolo grande film spagnolo di qualche anno fa, «I lunedì al 
sole», che raccontava le vicende di alcuni operai di Vigo reduci dalla 
chiusura del loro cantiere navale. In una delle scene più esilaranti della 
pellicola uno di loro racconta la storiella dei due compagni che si 
ritrovano dopo tanto tempo. Uno dice all'altro: «Hai visto? Tutto quello che 
ci avevano raccontato sul comunismo era falso». L'altro gli risponde «Già, 
ma il peggio è che quello che ci avevano detto del capitalismo era vero».



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