[Redditolavoro] dopo lo sciopero generale ...

procomta ro.red at libero.it
Mon May 9 08:08:40 CEST 2011


Lo sciopero generale indetto dalla Cgil ha avuto una mediocre riuscita, le 
percentuali dette dal sindacato sono al di sopra della realtà, così come i 
numeri nelle piazze; è inutile dire poi che, tranne eccezioni a macchia di 
leopardo in alcune realtà industriali, la riuscita nelle fabbriche è stata 
bassa, nelle grandi come nelle medie e piccole.
Ma come avevamo detto prima dello sciopero, non è tanto il dato della 
partecipazione l'elemento rilevante. Uno sciopero generale nelle condizioni 
attuali è molto difficile per tutti, e i numeri raccolti ieri difficilmente 
sono ampliabili dato lo stato delle cose oggettivo e soggettivo nelle 
fabbriche e tra i lavoratori. E, inoltre, il dato di mediocrità che 
rileviamo non è certo per spirito disfattista né per sminuire quegli operai 
e lavoratori spesso di realtà in lotta o che fronteggiano chiusure e 
licenziamenti che a questo sciopero hanno voluto partecipare per portare le 
loro istanze e le loro ragioni.
Il risultato è mediocre nella lotta contro padroni e governo ed è 
soprattutto qualitativamente negativo per la linea che ha guidato lo 
sciopero.
La Camusso dal palco di Napoli ha messo l'accento su uno sciopero 
sostanzialmente per la riforma fiscale, secondo una linea, da sempre 
sbagliata, per cui la lotta sindacale consisterebbe nello spostare con la 
riforma fiscale risorse che poi produrrebbero lavoro e crescita. Non è mai 
successo nei periodi forti della lotta operaia e dei lavoratori, figurarsi 
se può succedere nei periodi come questo, in cui governo e padroni marciano 
verso il fascismo padronale e la cancellazione delle conquiste dei 
lavoratori, con l'utilizzo a fondo della precarietà e disoccupazione come 
arma per ridurre l'occupazione e intensificare lo sfruttamento e, fuori 
dalle fabbriche, per tagliare le spese sociali e le attività che riguardano 
le spese sociali, scuole, sanità, trasporti, ecc.
A che serve questa linea che è certo che non produce alcun risultato? La 
Camusso lo chiarisce subito dopo "proprio il fisco può essere un terreno di 
incontro con cisl e uil che hanno indetto una manifestazione per il 21 
maggio a sostegno di una loro piattaforma. E' possibile riprendere il filo 
con cisl e uil, partendo dal fisco. Diciamo No alle divisioni provocate dal 
governo che determinano attriti, intolleranza tra di noi. Voltare pagina è 
possibile...".
Uno sciopero, quindi, da usare secondo la Cgil per ricostruire l'unità coi 
sindacati del governo e dei padroni e, quindi, col governo e con i padroni.
C'è qualcuno che nella Cgil, nella Fiom, nell'arcipelago opportunista dei 
sostenitori e "generalizzatori" di questo sciopero generale, può negare che 
questa sia l'effettiva sostanza e l'unica consistenza dello sciopero di 
ieri?
C'è chi nelle fabbriche può negare che tutto questo è esattamente l'opposto 
di ciò che vogliono gli operai più combattivi e di quello che è necessario 
agli operai per fronteggiare attacchi all'insegna del piano Marchionne e 
della sua generalizzazione? C'è chi nella Fiom può negare che questo 
scioperosu questa linea ha indebolito gli operai in fabbrica?
C'è chi può negare che il "un piede in due staffe" della direzione Fiom, 
ispirato dal rapporto e dal mantenere il legame con la linea della Camusso 
della Cgil, abbia provocato non il rafforzamento delle istanze classiste 
presente nella Fiom, ma l'aggressività della destra Fiom molto forte in 
realtà tra i delegati Fiom che, tranne eccezioni e minoranze, sono spesso 
più a destra della stessa direzione Fiom?
Chi sta in fabbrica e fa le lotte lo sa benissimo e chi non lo sa se ne 
accorgerà molto presto, a partire da Melfi, Mirafiori, Pomigliano, per non 
ripetere l'esempio spudorato e sputtanato della Bertone.

Guardato da questo lato gli effetti di questo sciopero se sono, purtroppo, 
poco significativi come arma di pressione verso padroni e governo, sono 
davvero negativo nella battaglia generale per un vero sciopero generale.
Praticamente il 6 maggio ha bruciato la battaglia per uno sciopero generale 
vero e ha messo fine al ciclo, virtuoso anche se venato di ambiguità, che ha 
visto le pagine della grande manifestazione metalmeccanica del 16 ottobre, 
la grande ribellione degli studenti del 14 dicembre, il nettamente migliore 
sciopero del 28 gennaio, e le numerose iniziative nazionali delle donne, 
degli immigrati, che in qualche maniera richiedevano uno sciopero generale 
vero.
Questa battaglia nelle forme con cui finora si è espressa di fatto si è 
conclusa. Ora effettivamente bisogna partire dagli esiti negativi di questa 
battaglia per aprire una nuova fase. E su questo noi non siamo affatto 
pessimisti.
Il punto d'approdo della Cgil è la parziale fine dell'"anomalia Fiom", mette 
sul tappeto il problema reale della riorganizzazione dal basso e di massa 
del sindacato di classe, della costruzione del fronte unito proletario, 
studentesco, popolare, alternativo alla linea perdente del riformismo 
sindacale e politico. Mette sul tappeto l'assunzione di una battaglia 
prolungata con l'organizzazione di una vera rivolta operaia e popolare che 
non abbia obiettivi intermedi, di un'accumulazione di forze e di una 
costruzione di una direzione di classe adeguata.

Ma ora non è il tempo dell'unità. Non ci può essere unità senza lotta a chi 
nel nostro campo lavora per il re di Pirro.
Certo non tutti, per quanto inconseguenti, sono uguali nell'arcipelago del 
sindacalismo di base, del sindacalismo di classe, interno ed esterno alla 
Fiom, nella stessa sinistra elettorale, nelle espressioni di base dei 
coordinamenti, nel movimento degli studenti.
Serve un lavoro di scomposizione e ricomposizione che parta dalla sostanza 
della linea praticata più che dalle sigle e dall'autodefinizione.
Sono tante le energie che si possono unire e darsi e avere forza e 
rappresentanza, ma questo richiede che ci sia una lotta frontale, uno 
scontro frontale, una separazione, rispetto a quelle due componenti che 
agiscono come braccio del riformismo politico e sindacale nei movimenti.

Questo è innanzitutto l'arco propagandato da Il Manifesto e Liberazione e 
che ha il suo perno nei Disobbedienti, nei Cremaschi e nei suoi amici, fino 
alle mosche cocchiere del Carc. Luca Casarini in un editoriale, ospitato da 
Il Manifesto, rappresenta molto bene questa tendenza. Anche lui parla di 
chiusura di un ciclo e rilancio, ma il bilancio che fa di questo ciclo è 
esattamente opposto al nostro. Laddove noi vediamo il progressivo spegnersi 
dei contenuti antagonisti della lotta, davvero presenti nell'opposizione 
agli accordi Fiat, nella partecipazione alla manifestazione del 16 ottobre, 
nella rivolta degli studenti, nei mille fuochi di guerriglia sociali e 
politica sviluppatisi in questi mesi, Casarini vede invece il positivo nel 
portare tutto il movimento nell'alveo della Camusso condito con  una serie 
di iniziative, più spettacolari che sostanziali, messe in atto anche in 
questa occasione; la dove lui vede "ricomposizione, alternativa verso la 
conquista di un nuovo welfare con versione ecologica, nuova democrazia dei 
beni comuni, maturità", noi vediamo invece il ricomporsi di un fronte 
riformista al servizio di un nuovo governo dei padroni, antiberlusconiano ma 
non anticapitalista. Questo è chiarito in maniera definitiva ed esplicita 
nel finale di questo editoriale in cui, citando la Sardegna, si dice: 
"partite Iva e pastori, commercianti e operai, studenti e ricercatori si 
sono messi insieme oltrepassando i modelli sindacali, politici e di 
movimento conosciuti prima per sconfiggere gli strozzini di Equitalia". Oh, 
chiaramente, sappiamo tutti che Casarini ormai è un piccolo imprenditore e 
che il suo ragionamento è direttamente figlio della sua attuale condizione 
di classe che porta a termine il ciclo, assai poco virtuoso, di una certa 
piccola borghesia prima sovversiva, oggi al massimo inferocita per le 
tasse...
E' facile vedere come questo si sposi in maniera organica con la battaglia 
per una vera riforma fiscale della Camusso.

L'altro fronte importante è quello nel sindacalismo di base e di classe. Noi 
non siamo per l'unità della Fiom, non siamo per l'unità con la Fiom, non 
siamo per l'unità dei sindacati di base. Ma siamo per un'unità frutto della 
separazione in ognuna di queste realtà tra posizioni classiste e di vera 
opposizione proletaria e posizioni opportuniste.

Ecco, noi pensiamo che tutto questo sia un fastidioso ostacolo da cui 
bisogna liberarsi. Non è possibile aprire un ciclo e rilanciare la lotta di 
classe senza una guerra interna alla classe e al movimento.
E' questo il compito che le effettive realtà proletarie, comuniste, di 
opposizione sociale e politica sono chiamate a misurarsi da subito.


proletari comunisti
9 maggio 2011 



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