[Redditolavoro] bari due storie esemplari
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Sun Jun 26 13:22:56 CEST 2011
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Bari, operaio si lancia
da uffici del Comune
«Non ce la faccio più
con questa mafia»
BARI - Un operaio della società Multiservizi di Bari, Vincenzo Pavone, 41
anni, si è suicidato questa mattina buttandosi dal balcone di un ufficio
comunale. L'uomo ha lasciando un biglietto in cui spiega: "Non ce la faccio
più con questa mafia". Lo ha reso noto sul suo profilo Facebook il sindaco
di Bari, Michele Emiliano, che ha annunciato di avere disposto "un'indagine
approfondita perchè i fatti potrebbero essere collegati alla difficile
situazione ambientale dell'azienda".
L'operaio era addetto ai controlli serali degli uffici comunali e all'alba
si è lanciato da un ballatoio dal sesto piano dell'ufficio Lavori pubblici.
La Multiservizi è una società mista fra Comune di Bari e Italia Lavoro.
"Non lasceremo sola la famiglia (l'uomo è separato e ha una figlia, ndr),
ricercare fino in fondo le possibili cause di questo gesto", scrive Emiliano
su Facebook che esprime cordoglio ai familiari dell'uomo e ai suoi compagni
di lavoro. "Ricordo a questi ultimi - conclude - che sono sempre a loro
disposizione anche solo per parlare un po' tra noi. Sono molto addolorato".
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Storia drammatica
«Datemi un lavoro
siamo disperati»
di CARLO STRAGAPEDE
A San Pio, a Enziteto, a due passi dalla casa dove nel 2005 si consumò l'agonia
della piccola Eleonora, la bambina morta di fame e di stenti, una famiglia
italo-albanese sopravvive in un locale al piano terra, poco più grande di
quello della neonata che fece commuovere l'Italia intera. Il nucleo
familiare è composto da: Ferdinand Kurti, nato a Tirana 42 anni fa ma ormai
da anni cittadino italiano (sbarcò in Puglia nel 1990); la moglie, Anna
Pizzimenti; il figlio di lei, Patrizio Pizzimenti, 33 anni, affetto da una
grave disabilità psicomotoria, ipovedente e sordomuto; la figlia 16enne
della coppia, Valentina Kurti. Spesso, con loro, convive un nipote 22enne di
Ferdinand, quando non è al Nord per qualche lavoro momentaneo.
«Tentiamo di sopravvivere con 700 euro al mese, cioè la pensione di
invalidità e di accompagnamento di Patrizio. Ma è praticamente impossibile
andare avanti, in 5 persone», si sfoga Ferdinand. Che lancia un appello:
«Chiedo un lavoro, per me. Lo chiedo al sindaco Michele Emiliano e ai
presidenti della Provincia, Schittulli, e della Regione, Vendola», è il suo
appello. Drammatico. Disperato.
Ferdinand Kurti ha dovuto subire l'asportazione di un rene, anni fa: «Per
questo sono invalido al 45 per cento - racconta - e non posso compiere
sforzi eccessivi, altrimenti l'altro rene, l'unico rimasto, può andare in
tilt». L'immigrato albanese, ormai cittadino italiano a tutti gli effetti,
spera in un lavoro per sé, al più presto: «Magari un impiego come
guardiano - ipotizza - o usciere o simili. Anche un lavoro manuale andrebbe
benissimo, purché non troppo faticoso, per via della mia salute. Mia moglie
Anna - spiega - non può lavorare perché deve assistere suo figlio, invalido
al 100 per cento».
Patrizio Pizzimenti è sulla sedia a rotelle. Indossa una canottiera blu e i
pantaloncini, per addolcire la calura della giornata torrida. Anna
Pizzimenti prende la parola, accarezzandogli la testa: «Deve essere operato
nuovamente all'orecchio sinistro, nella speranza che possa recuperare l'udito,
anche solo in minima parte. Il destro è compromesso da tempo. Lui - la mamma
continua ad accarezzarlo - ha bisogno della mia assistenza 24 ore su 24».
I commenti sono superflui, rispetto a una storia così vera, così autentica
nella sua drammaticità. Ferdinand spiega poi che «Valentina, nostra figlia,
frequentava l'istituto alberghiero, al quartiere San Paolo. Lei - racconta
il papà - amava quella scuola e l'aveva scelta consapevolmente. Ma non
riusciamo a mantenerla agli studi. Quindi qualche mese fa ha mollato». Il
locale al piano terra, nel quale vivono, a Enziteto, è privo di
riscaldamento e presenta vistose macchie di umidità al soffitto. Mentre le
indica, Kurti sospira: «Finché non avrò un lavoro, non potrò mai sperare di
dare alla mia famiglia una casa vera, un tetto dignitoso. Dove, d'inverno,
abbassare la levetta del riscaldamento. Dove non essere costretti a
riempirsi i polmoni di umidità», lamenta.
Per pranzo e per cena, la parrocchia e qualche vicino aiutano la famiglia
Kurti. Ma fino a quando? Il quartiere di Enziteto, due chilometri nell'entroter
ra di Santo Spirito, dopo la tragedia di Eleonora è stato in una certa
misura «adottato» dalle istituzioni e in modo particolare dal Comune. Che vi
ha organizzato eventi musicali prestigiosi. Ha dato vita alla scuola di
cinema che sforna futuri registi, sceneggiatori e attori. Vi ha costruito un
campo di calcio regolamentare, con il fondo in erba sintetica, di ottima
qualità. Con un'ampia gradinata e spogliatoi confortevoli.
Ma a Enziteto c'è ancora gente che sopravvive di giorno in giorno. Anzi di
ora in ora. Come la famiglia Kurti, in un locale inadeguato a un passo dal
capolinea dell'Amtab e dalla casa-inferno di Eleonora. Due chilometri più in
là, la stagione balneare è già incominciata. I lidi di Santo Spirito e
Palese sono affollati di ragazzi e ragazze spensierati, che vivono
legittimamente la loro allegria. Oltre il nastro d'asfalto rovente della
statale 16 bis, oltre il campo di calcio tecnologico, l'allegria non ha
cittadinanza. E nemmeno la speranza.
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