[Redditolavoro] Condannato Berlusconi e Cgil-Cisl-Uil dalla corte europea per i diritti umani

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Mon Jun 20 16:09:39 CEST 2011


Il governo Berlusconi e Cgil Cisl Uil condannati dalla Corte europea dei 
diritti dell’uomo.

Si tratta della vertenza dei circa 80.000 lavoratori delle scuole dipendenti 
degli enti locali trasferiti allo Stato nel 2000 con perdita di salario e 
diritti (vertenza i cui strascichi legali continuano ancora oggi!).

Allora solo noi ci opponemmo per diversi mesi attivamente al passaggio (a 
parte qualche gruppo di lavoratori non organizzato ma con le vertenze legali); 
il cobas scuola “non capiva” questa nostra incazzatura (mentre un professore 
loro iscritto, consigliere comunale di Rifondazione Comunista, prendeva 
posizione contro i lavoratori), mentre Cgil-Cisl-Uil volevano convincere i 
lavoratori che si sarebbero trovati meglio… ma non contenti nell’estate del 
2000 firmarono un accordo con l’Aran con il quale si negava il riconoscimento 
dell’anzianità.

Ma l’illegalità era così palese che le vertenze legali per il riconoscimento 
dell’anzianità in tribunale si vincevano tutte e il governo Berlusconi, con il 
beneplacito dei sindacati confederali, “corse ai ripari”: nella finanziaria per 
il 2006 iscrisse un comma, il 218, che bloccava di fatto i giudici.

Adesso questa sentenza europea che accusa Berlusconi e i sindacati 
confederali… ma la sfacciataggine non ha limiti! La Cgil ha inserito la 
sentenza nel suo sito e per mano addirittura del Segretario Generale FLC CGIL 
Domenico Pantaleo ha scritto una lettera ai ministeri parlando di “macroscopica 
ingiustizia” e della necessità di intervenire “al fine di ripristinare una 
situazione di legalità e legittimità”.

Riportiamo l’articolo di Italia Oggi che non riporta però questa posizione 
della Corte sull’accordo tra sindacati e governo:

“33. Il 20 luglio 2000, l’Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle 
Pubbliche Amministrazioni (ARAN) concludeva un accordo con i sindacati per 
derogare al principio di conservazione dell’anzianità. Tale accordo veniva 
successivamente cristallizzato in un decreto ministeriale del 5 aprile 2001.”

***
Gli ATA hanno diritto alla carriera
La Corte dei diritti dell'uomo condanna l'Italia per lo stop inferto con la 
Finanziaria 2006
14/06/2011
 
ItaliaOggi
di Carlo Forte
Precludere agli Ata ex enti locali il diritto alla ricostruzione di carriera 
viola la Convenzione europea per i diritti dell'uomo e il Protocollo n. 1. Cosi 
ha deciso la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha condannato l'Italia con 
una sentenza depositata il 7 giugno scorso (reperibile in lingua originale su 
questo sito).
La Corte di Strasburgo ha censurato una norma contenuta nella Finanziaria del 
2006, con la quale il governo aveva sbarrato il passo ai giudici. Che all'epoca 
dei fatti condannavano sistematicamente l'amministrazione a pagare le 
ricostruzioni di carriera degli Ata passati dagli enti locali allo stato. La 
sentenza potrebbe riaprire il contenzioso in Italia.
Il fatto
Il caso riguardava un gruppo di lavoratori appartenenti al personale Ata 
(amministrativi, tecnici e ausiliari) transitati dagli enti locali allo stato, 
per effetto di un'apposita previsione contenuta nella legge 124/99. A seguito 
dell'inquadramento nell'amministrazione statali, però, a questi lavoratori era 
stato negato il riconoscimento dell'anzianità di servizio ai fini retribuitivi. 
L'inquadramento, infatti era avvenuto con il cosiddetto meccanismo della 
temporizzazione. In buona sostanza, dunque, ai lavoratori era stata 
riconosciuta la classe stipendiale coincidente con l'importo della retribuzione 
in godimento all'atto del transito dagli enti locali e non la ricostruzione di 
carriera. E siccome il trattamento contrattuale presso gli enti locali faceva 
riferimento ad importi inferiori, i ricorrenti, pur avendo svolto le stesse 
mansioni dei loro colleghi inquadrati come dipendenti dello stato fin dall'atto 
dell'assunzione, si erano trovati nella condizione di essere pagati di meno. 
Tale trattamento deteriore aveva indotto i dipendenti a rivolgersi al giudice 
ottenendo in I e II grado il riconoscimento pieno del diritto a far valere 
l'anzianità di servizio al pari degli altri colleghi già dipendenti dello 
stato. Il ministero, però, aveva impugnato anche la sentenza d'appello e la 
Cassazione dopo circa 3 anni, aveva capovolto la situazione, disponendo anche 
la restituzione degli emolumenti retributivi già versati ai lavoratori per 
effetto delle sentenze di merito. La sentenza della cassazione, peraltro, era 
intervenuta dopo che il legislatore, con una norma di interpretazione autentica 
(art. 1, c. 218 legge 266/2005) aveva disposto che agli Ata provenienti dagli 
enti locali non dovesse essere riconosciuto il periodo di servizio pregresso, 
ma solo la retribuzione in godimento all'atto del passaggio. In altre parole, 
la norma di interpretazione autentica aveva disposto la preclusione del diritto 
alla ricostruzione di carriera, in favore del mero riconoscimento della 
retribuzione in godimento secondo il meccanismo della cosiddetta 
temporizzazione. Di qui il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo e 
la pronuncia favorevole ai ricorrenti.
Violato il Protocollo
La Corte sovranazionale ha accertato in particolare due violazioni. La prima 
riguarda l'art. 6 della Convenzione, perché il governo, con l'art. 1, comma 
218, della legge 266/2005, secondo i giudici, ha violato il principio del 
giusto processo. Ciò in quanto, attraverso un intervento legislativo ad hoc, ha 
capovolto le sorti di un contenzioso sfavorevole allo stato, pur in presenza di 
un orientamento ormai consolidato. E soprattutto in assenza di motivi di 
interesse generale. Presupposto, questo, che costituisce l'unica eccezione 
ammissibile alla regola del divieto di interferenza con l'amministrazione della 
giustizia. E in più secondo i giudici europei, il governo ha anche violato il 
Protocollo n. 1 , perché ha privato alcuni cittadini di loro diritti 
patrimoniali già acquisiti. Insomma, secondo il supremo collegio europeo, il 
governo ha sbagliato.
Il no della Consulta
E quindi, di rimbalzo, avrebbe sbagliato anche la Corte costituzionale, che 
nel 2009, con la sentenza 311, aveva conferito alla norma censurata da 
Strasburgo il crisma di costituzionalità. Il tutto nonostante la Corte di 
cassazione, facendo riferimento all'art. 117 della Costituzione, avesse 
avanzato dubbi proprio in riferimento alla compatibilità con gli obblighi 
internazionali riguardanti il rispetto dei diritti umani previsti dalla 
Convenzione.
Gli effetti
Resta il fatto, però, che siccome l'art.46 della Convenzione dispone appunto 
che le sentenze della Corte di Strasburgo assumano carattere obbligatorio per 
gli stati, il mutato quadro giurisprudenziale potrebbe ingenerare una 
riapertura del contenzioso in questa materia.



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