[Redditolavoro] Fw: Valsusa. Default: la democrazia coloniale

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Wed Jul 6 06:02:51 CEST 2011


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Sent: Tuesday, July 05, 2011 5:23 PM
Subject: Valsusa. Default: la democrazia coloniale



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From: singolarità qualunque





Cr*,



Valsusa. Default: la democrazia coloniale






Martedì 05 Luglio 2011 07:48
Niente arriva a sproposito, se arriva insieme al denaro. (Shakespeare)

Tra i tanti significati che default assume, in inglese e nell'uso che ne 
viene fatto in italiano, ce ne sono due che caratterizzano il tipo di 
democrazia coloniale che viviamo. Il primo è legato direttamente al 
linguaggio economico-finanziario. Default è infatti la ristrutturazione del 
debito di uno stato. Assolutamente da evitare, per le banche e per chi ha 
investito in quel debito (non per chi ci ha scommesso contro), per cui il 
"rischio default" comporta durissime politiche di tagli alla spesa e 
all'assistenza pubblica. Il risultato? Coloniale anche se formalmente 
procurato da uno stato sovrano e senza intervento militare esterno. Per fare 
un esempio: recentemente Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo, ha 
detto che la Grecia "ha margini di sovranità ormai molto limitati". Potenza 
coloniale del rischio default.

L'altro significato, su cui focalizzarsi, è default inteso come automatismo, 
qualcosa che scatta all'avvio di un qualsiasi processo di avviamento di 
dispositivo. Ora sappiamo che esistono miriadi di forme di democrazia e che 
questa evoluzione, storica, di differenziazione della forma democratica 
racchiude significati meno legati al senso di libertà di quanto si possa 
immaginare. Ad esempio in Italia si riflette poco sul concetto di democrazia 
coloniale. Eppure storicamente Francia e Inghilterra sono state democrazie 
coloniali, dove, contemporaneamente al processo interno di democratizzazione 
borghese, si delineava una strategia di lunga durata di occupazione 
coloniale di territori extraeuropei. L'introduzione di un codice civile, di 
una rete di formazione e scolarizzazione e di una amministrazione pubblica 
rappresentavano, nei territori occupati, la microfisica di un potere 
coloniale a provenienza democratica.

Quello che sta avvenendo in Valsusa, e ancora prima per il Mose o il Dal 
Molin e in centinaia di implementazioni di termovalorizzatori e di grandi 
opere di ogni tipo, non è altro che l'applicazione di una democrazia 
coloniale. Che funziona, a differenza delle democrazie coloniali del 
passato, per default. Per introduzione quindi di una rete di automatismi 
giuridici, logistici, mediali che salta completamente le regole giuridiche e 
politiche dell'amministrazione pubblica del territorio. Le stesse regole che 
nell'Inghilterra e nella Francia dell'800 e del '900 erano la precondizione 
di governo della popolazione colonizzata e che nei paesi europei, nello 
stesso periodo, facevano parte del processo di governo della 
differenziazione sociale. Si batte sempre poco la strada del rapporto tra 
liberalismo e democrazia coloniale. Eppure nella fase classica del 
colonialismo questo significa che l'estrazione di consenso politico, ed 
elettorale, delle democrazie europee produce quei saperi e quei dispositivi 
politici e giuridici che servono per l'amministrazione e il governo dei 
paesi colonizzati. L'intervento militare, e la sottomissione delle 
popolazioni autoctone, rappresentava l'anello di congiunzione tra democrazia 
liberale e la sua espansione amministrativa oltre confine. Iraq, India, 
Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto rappresentano esempi storici 
dell'efficacia e dell'affinamento di questo processo.

La democrazia coloniale per default viene invece applicata sulle popolazioni 
interne all'Europa in questo scorcio di secolo. Prendiamo l'Italia e la Val 
di Susa: si costruisce un automatismo di interventi per grandi opere fatto 
di un perimetro giuridico, logistico, finanziario generato da una delle reti 
della governance europea, lo si definisce come gerarchicamente superiore 
alle regole storiche dell'amministrazione del territorio e si procede 
militarmente per realizzarlo. Si tratta della modalità contemporanea della 
democrazia coloniale. Ci si legittima per procedure giuridiche, si 
costruisce tutta una legittimità completamente interna a queste procedure, e 
poi si rovescia il tutto nei confronti delle popolazioni prescelte: due 
regimi di legge, e quello che tutela le popolazioni è il subordinato, come 
precondizione per l'intervento militare. Come nelle democrazie coloniali 
inglesi e francesi: la legittimazione democratica interna, tramite elezioni, 
serviva come elemento di forza per l'intervento non democratico in altri 
paesi. Oggi, la Val di Susa è paradigmatica: la proliferazione di 
dispositivi giuridici, nati dall'accordo tra democrazie, produce 
l'intervento coloniale non democratico contro la propria popolazione. Ecco 
quali sono gli automatismi che oggi scattano di default nella democrazia 
coloniale: una filiazione giuridicamente sofistica della logica politica, 
militare, affaristica, amministrativa dell'800 e del '900 liberali. Con il 
liberalismo, appunto, come filo rosso tra le due epoche. E con legioni di 
fessi che, di default appunto, parlano di democrazia liberale come se questa 
avesse a che fare davvero con la libertà.

L'altro default, l'altro tipo di automatismi, riguarda i media. Anche qui la 
storia delle democrazie liberali, proprio in contemporanea con il periodo 
coloniale classico, ci insegna e non poco. Sia in Francia che in Inghilterra 
il periodo coloniale si dispiega con la crisi della stampa radicale di 
massa. Fenomeno che viene sostituito, nelle riviste e nei quotidiani a 
tiratura popolare, da un tipo di stampa che non costruisce più notizie sul 
modello del dibattito (la notizia per far discutere a più voci) ma su quello 
della circolazione dei luoghi comuni (la notizia per far discutere con una 
voce sola). Si mantiene così la tiratura di massa della stampa radicale, 
utile per l'economia di scala, evitando la politicizzazione inevitabile 
nella notizia costruita per la discussione a più voci, a più punti di vista 
con diverse opzioni culturali. Il liberalismo della democrazia coloniale 
classica, l'Inghilterra rappresenta davvero un caso paradigmatico, 
costruisce quindi la spina dorsale dell'opinione pubblica sulla crisi della 
stampa radicale e riproducendo a livello di massa luoghi comuni. Per 
estrazione di profitto, tramite speculazione linguistica e in sinergia con i 
dispositivi governamentali. E' un primo procedere per default, per 
automatismi di notizia in forma di luogo comune per estrarre ricchezza e 
governare la popolazione (sia interna che quella di prima scolarizzazione 
delle colonie). In questo senso Repubblica, non più solo quotidiano ma 
piattaforma mediale formale e informale, rappresenta oggi il processo di 
default, per automatico, in materia di informazione, della democrazia 
coloniale italiana. Supporta l'intervento militare contro le popolazioni, 
come in Valsusa, alimenta la performatività dei dispositivi giuridici che la 
legittimano procedendo per automatismi di luoghi comuni in forma di notizia. 
Gli automatismi si succedono secondo la logica della performatività storica: 
si dispongono quindi con il criterio de "la notizia che ha funzionato come 
propaganda altre volte può funzionare oggi". Non c'è, fortunatamente, 
analisi dei contesti differenti su cui costruire notizia ma dispiegamento di 
modalità di costruzione di notizia sperimentate nel passato che si spera, o 
si crede, funzionino anche oggi. Per cui, sfogliando il quotidiano dei 
nemici del popolo detto Repubblica, quando ci sono incidenti si costruiscono 
notizie per procedura consolidata: si cita Pasolini su Valle Giulia (una 
replica andata in onda più di un film con Gary Cooper sulla Rai), si cerca 
di separare i "violenti" dai manifestanti "pacifici", si accende il coro 
della condanna istituzionale, si fanno pezzi di colore sui manifestanti, si 
fa scrivere qualche corsivo a qualche autorità morale per ristabilire 
simbolicamente l'ordine coloniale violato. L'effetto divorzio dalla realtà è 
netto, quello dello scatenamento del luogo comune in forma di notizia è però 
assicurato, la legittimazione e la performatività dei dispositivi della 
democrazia coloniale può però, in virtù di questo modo di fare informazione, 
scattare. E sul terreno i militari si muovono.

La democrazia coloniale contemporanea in Italia agisce quindi per default. 
Per automatismi giuridici, logistici, finanziari e mediali. Salta ogni reale 
norma democratica del governo dei territori e agisce contro le popolazioni 
interessate. Dalla Val di Susa a Vicenza, al sud, ad ogni paese interessato 
ad una grande opera, persino nei confronti delle popolazioni di tifosi da 
inquadrare in una tessera. Curiosamente, nel momento in cui si sente 
minacciata, la democrazia coloniale per default tira fuori gli stessi 
argomenti della democrazia coloniale classica. Il relitto anticomunista 
sopravvissuto della destra del Pci detto Fassino, intervistato proprio da 
Repubblica, ha parlato della Tav con gli stessi toni da estetica del 
progresso delle locomotiva, sempre di treni si tratta, con i quali un secolo 
e mezzo fa si magnificavano i progressi nelle democrazie coloniali. Il 
ministro Romano ha definito i manifestanti della Valsusa "dei luddisti" con 
la sicurezza, anche questa proveniente dalla vecchia democrazia coloniale, 
chi chi è convinto di essere dalla parte vincente della storia.  E si tratta 
di complesso di affari, istituzionale e mediale che tanto più riesce a 
separare i propri destini da quelli della società tanto più si sente forte. 
Inoltre questa democrazia coloniale italiana riprende tutta l'estetica, e le 
retoriche dell'ottocento postunitario. Nei Fassino, nei Romano, nei Bersani, 
nei Di Pietro, su Repubblica gli appalti, le grandi opere, il relativo 
project financing si difendono con una retorica, formalmente democratica, 
che viene da lontano. Da Dogali, da Adua, dalla Tripoli bel suol d'amore. 
Solo che adesso, a parte le avventure in terre lontane come l'Afghanistan 
(buco nero della democrazia coloniale italiana), le popolazioni da 
sottomettere sono quelle interne. E non per portar loro la civilizzazione, 
come scambio perverso e ineguale della colonizzazione, ma per implementare 
grandi opere e far scattare complesse operazioni finanziarie e di 
governance.

Con un potere coloniale non c'è "interlocuzione civile" per usare 
un'espressione cara a chi crede nell'efficacia dei processi di 
partecipazione che in realtà sono una scatola vuota. Il fatto che si tratti 
di una democrazia, abbiamo visto come, non rende questo potere tanto più 
accettabile. Ma lo rende più complesso quanto più è esaltante la sua opera 
di decostruzione.

Per Senza Soste, nique la police

5 luglio 2011

Ps. Dopo tanti presìdi inutili, di cui è colma la storia dei movimenti, 
perché non organizzarne uno utile? Per esempio in contemporanea davanti ad 
ogni sede di Repubblica dove i giornalisti sono chiamati, in assemblea 
pubblica, a rendere conto di quanto sono servi. Senza torcere loro un 
capello, è materia preziosa ci mancherebbe, sarebbe una forma di pressione 
reale nei confronti di un media che così cortocircuiterebbe più di quanto si 
immagina. E' l'ora di far scendere il gruppo Repubblica nella realtà. 
Funziona questa strategia? Ci si informi presso il Tirreno di Livorno, viale 
Vittorio Alfieri 9, che è testata del gruppo Repubblica. Chiedere, per 
informazioni, proprio alla Chernobyl culturale di viale Alfieri cosa pensano 
di Senza Soste. Certo, si può fare di meglio ma siamo qui per questo.


singolarità qualunque
http://materialiresistenti.blog.dada.net/



__._,_.___


Siamo in guerra, una guerra nuova, una guerra finanziaria,
subdola, feroce, criminale, nascosta, che piano, piano lentamente
ma inesorabilmente sta sequestrando il nostro futuro e quello
dei nostri figli, dei nostri nipoti, delle generazioni future!




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__________ Informazione NOD32 6256 (20110701) __________

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