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Fri Sep 3 10:38:58 CEST 2010
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LA CORTE DI CASSAZIONE CONTINUA AD AFFERMARE CON FORZA UN PRINCIPIO DI
GRANDE CIVILTA':
IL DATORE DI LAVORO DEVE TUTELARE I LAVORATORI ANCHE DA EVENTUALI LORO
ERRORI O DISATTENZIONI
IN QUESTA SENTENZA STATUISCE CHE IL DATORE DI LAVORO DEVE ARRIVARE
FINO ALLA "PEDANTERIA" PER DIFENDERE LA SICUREZZA DEI PROPRI DIPENDENTI
BASTEREBBE CHE SI ADOTTASSE NEI RIGUARDI DELLA SALUTE E SICUREZZA LA STESSA
SEVERITA' E GLI STESSI SFORZI CHE NORMALMENTE I DATORI DI LAVORO E LE
IMPRESE
IMPIEGANO PER CONTROLLARE LA PRODUTTIVITA' E L'ORARIO DI LAVORO
PER GLI INTERESSATI, IN FONDO AL MESSAGGIO IL TESTO COMPLETO DELLA SENTENZA
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INCIDENTI LAVORO:CASSAZIONE, DATORE SIA PEDANTE NEI CONTROLLI
(ANSA) - ROMA, 02 SET - Il datore di lavoro non deve «limitarsi a informare
i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e
controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai
lavoratori nell'ordinaria prassi di lavoro». E se alcune misure sono
particolari «E' necessario che questi strumenti siano messi a portata di
mano» dei dipendenti. Il monito è della Corte di Cassazione che dice basta
ai tentativi dei capi di addossare la colpa di eventuali incidenti alla
mancato rispetto delle norme da parte degli operai stessi.
Scrive la Quarta Sezione Penale, nella sentenza n.31679, che un capo «deve
avere la cultura e la 'forma mentis' del garante del bene costituzionalmente
rilevante costituito dall'integrità del lavoratore».
Con questa motivazione, perciò i Supremi giudici hanno respinto il ricorso
del proprietario di un cantiere edile ritenuto responsabile per negligenza e
imperizia, dalla Corte d'appello di Trento, dell'incidente di un suo operaio
caduto da un ponteggio. Invano l'impresario ha cercato di addossare la colpa
al gruppo di operai che avevano iniziato a smontare le protezioni mentre la
vittima era ancora sul ponteggio.
Secondo la Cassazione, infatti per garantire la sicurezza sul lavoro, «non è
sufficiente che i datori impartiscano le direttive da seguire a tale scopo,
ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la
puntuale osservanza».
Il datore, sottolinea la Cassazione, è esonerato dalle sue responsabilità
solo quando il comportamento del dipendente «sia abnorme» e cioè si realizza
«in modo autonomo, radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili
e quindi prevedibili imprudenze del lavoratore nell'esecuzione del lavoro».
(ANSA). 02-SET-10 15:17
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Cassazione Penale, sez. 4, 11 agosto 2010, n. 31679 - Omessa indicazione di
rischi nel PSC.
Responsabilità del DL per l'infortunio verificatosi
Martedì 24 Agosto 2010 13:52
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIERO MOCALI
Dott. VINCENZO ROMIS
Dott. FAUSTO IZZO
Dott. FELICETTA MARINELLI
Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA
- Presidente -
- Rel. Consigliere -
- Consigliere -
- Consigliere -
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1) R.G. NATO ****
avverso la sentenza n. 331/2008 CORTE APPELLO di TRENTO, del 24/04/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Carmine Stabile che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso
Udito, per la parte civile, l'Avv. Luciano Mascolo che ha concluso per
l'inammissibilità o rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv. Giacomo Merlo che ha concluso per l'accoglimento del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
R.G. e S.M. venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Trento per
rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 590 del codice penale, perché
il R. in qualità di amministratore unico della R. s.p.a., esecutrice dei
lavori di costruzione di tre palazzine per conto dell'I.T. presso il
cantiere di Spini di Gardolo, alle cui dipendenze lavorava C.G. ed il S. in
qualità di preposto della R. s.p.a., in cooperazione tra loro, per colpa
consistita in negligenza, imprudenza, e/o imperizia, nonché per violazione
dell'art. 2087 c.c. ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli
infortuni sul lavoro (artt. 24 e 10 del d.P.R. n. 164/56), avevano cagionato
lesioni personali gravi (con indebolimento permanente dell'organo della
deambulazione) al C. in conseguenza di infortunio sul lavoro verificatosi
secondo la seguente dinamica per come descritta nel capo di imputazione: il
C., unitamente ad alcuni colleghi, era intento a fissare un parapetto
(costituito da un prefabbricato in cemento armato) al poggiolo del secondo
piano di una delle palazzine erigende; il C. si trovava sul piano di
calpestio del ponteggio allestito all'esterno del poggiolo mentre gli altri
operai lavoravano su quest'ultimo; al fine di consentire il passaggio e la
posa in opera del parapetto, su indicazione di S.M., i lavoratori stavano
provvedendo a rimuovere tutte le protezioni prima ivi installate (parapetti,
tavole fermapiede, correnti intermedi e cavalletti); nell'eseguire le
operazioni di fissaggio, il parapetto del balcone si era improvvisamente
spostato verso l'esterno, così spingendo anche il C.; non essendovi più
alcuna protezione laterale, il C. stesso, il quale non indossava nemmeno
un'idonea cintura di sicurezza, era caduto dal ponteggio precipitando al
suolo da un'altezza di circa sei metri riportando lesioni gravissime.
Per la parte che in questa sede rileva, il suindicato Tribunale, all'esito
del giudizio svoltosi con il rito abbreviato condizionato, dichiarava
entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto, condannandoli alla
pena ritenuta di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore della
parte civile costituita da liquidarsi in separato giudizio.
A seguito di gravame ritualmente interposto dagli imputati, la Corte
d'Appello di Trento confermava l'affermazione di colpevolezza pronunciata
dal primo giudice e motivava il proprio convincimento con argomentazioni che
possono cosi sintetizzarsi: Posizione S. - Il giorno del fatto, il S. si
trovava sul posto e, in assenza del direttore tecnico di cantiere e del
capocantiere, ed essendo stato nominato assistente di cantiere per
affiancare il direttore, ricopriva quanto meno il ruolo di preposto a norma
dell'art. 3 del d.P.R. n. 164/56, ed era stato lui a dare le disposizioni
relative alla posa in opera del parapetto, così determinando le condizioni
di pericolo per il C. sprovvisto di qualsiasi protezione verso il vuoto e
privo della cintura di sicurezza il cui uso non gli era stato imposto da
alcuno; dalle testimonianze assunte era emerso che gli ordini di lavoro
erano impartiti dal S. il quale anche in occasione dell'infortunio in
oggetto aveva provveduto a dare tutte le disposizioni relative alle modalità
di lavoro per la posa in opera del parapetto; di tal che, il S. aveva
assunto, in relazione alle mansioni effettivamente svolte, il ruolo di
preposto secondo i criteri individuati e precisati nella giurisprudenza di
legittimità; Posizione R. - Quanto al R., avuto riguardo alla sua veste di
amministratore unico della R. s.p.a., ed in quanto legale rappresentante
della società, era il principale garante della sicurezza degli operai; il
piano di sicurezza, finalizzato alla individuazione dei rischi in relazione
alle attività lavorative da svolgere, la cui predisposizione rientra tra gli
oneri che incombono sul datore di lavoro, non prevedeva l'installazione di
un parapetto prefabbricato in cemento armato che, comportando
necessariamente la rimozione della parte superiore del ponteggio, avrebbe
reso il ponteggio stesso, in quanto privato dei parapetti, assolutamente
inidoneo a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori, esponendo costoro al
rischio di caduta, rischio poi effettivamente concretizzatosi; la mancata
previsione dei rischi connessi all'installazione dei parapetti
prefabbricati - il cui montaggio metteva in crisi il sistema di sicurezza
realizzato con la predisposizione del solito ponteggio fisso - e la omessa
prescrizione di misure di sicurezza idonee a prevenire il rischio di caduta
dall'alto (al quale sarebbe stato possibile ovviare con l'uso della cesta
applicata al braccio mobile di una macchina operatrice), costituivano
evidenti profili di colpa a carico del R.; sussisteva all'evidenza il nesso
di causalità tra la condotta del R. e l'evento, posto che la previsione del
rischio riconducibile alla posa in opera del parapetto e l'adozione delle
opportune misure di sicurezza avrebbero di certo impedito che si verificasse
l'infortunio in danno del C.; la disposizione impartita dal S. di togliere
parte del ponteggio - non poteva essere considerata causa sopravvenuta da
sola sufficiente a determinare l'evento, perché detto ordine rappresentò lo
sviluppo consequenziale dell'originaria omissione del datore di lavoro; il
R., quale datore di lavoro, era anche venuto meno al suo obbligo di formare
ed informare non solo il preposto, ma anche i singoli lavoratori in
relazione agli specifici fattori di rischio cui i lavoratori stessi erano di
fatto esposti: il parapetto poteva essere montato in sicurezza con un ponte
sviluppabile e non erano state predisposte misure di sicurezza alternative
come, per esempio, l'uso della cintura di sicurezza.
Ricorre per Cassazione il R. svolgendo argomentazioni, sotto il duplice
profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, che possono
così riassumersi:
1) la caduta del C. dall'alto sarebbe stata conseguenza esclusiva della
condotta degli operai, ivi compreso lo stesso C. per non aver osservato
regole di comune esperienza avendo provveduto ad eseguire un'operazione di
montaggio, rimuovendo una struttura deputata proprio alla sicurezza dei
lavoratori: né sarebbe stato possibile prevedere un rischio derivante dallo
smontaggio ad opera dello stesso lavoratore infortunato di una struttura
posta a presidio della sua sicurezza;
2) anche se il piano di sicurezza avesse previsto il rischio in argomento,
la autonoma condotta del S. - concretizzatasi nell'ordine di rimuovere parte
del ponteggio - sarebbe risultata causa di per sé idonea a determinare
l'evento: la responsabilità commissiva del S. sarebbe incompatibile con la
responsabilità di natura omissiva che sarebbe stata integrata dal datore di
lavoro: donde la contraddittorietà riscontrabile nel percorso argomentativo
seguito dalla Corte di merito;
3) sarebbe apodittica l'affermazione della Corte distrettuale, secondo cui
il R. avrebbe omesso di formare ed informare i lavoratori in ordine ai
rischi connessi all'attività lavorativa, non avendo il P.M. addotto alcun
concreto elemento probatorio al riguardo, e non potendo ipotizzarsi a carico
dell'imputato un onere di prova contraria;
4) la Corte avrebbe errato nel ricondurre la responsabilità dell'infortunio
in oggetto al datore di lavoro, non avendo considerato che il R. aveva
nominato un Responsabile della sicurezza in fase di esecuzione nella persona
del geom. O.L., ed un vero e proprio Responsabile della sicurezza nella
persona dell'architetto N.A..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, per l'infondatezza delle censure dedotte.
La mancata indicazione nel piano di sicurezza dei rischi connessi al
montaggio dei parapetti - la cui installazione, comportando la rimozione
della parte superiore del ponteggio, rendeva inidoneo, ai fini della
sicurezza dei lavoratori, il tradizionale ponteggio fisso - e la assoluta
mancanza di quelle specifiche misure di sicurezza particolarmente indicate
per il lavoro da svolgere (l'uso di una cesta applicata al braccio mobile di
una macchina operatrice oppure l'uso della cintura di sicurezza),
costituiscono evidenti profili di colpa riconducibili al ruolo del R. quale
datore di lavoro, la cui condotta omissiva, così individuata e precisata, si
pone in palese nesso di causalità con l'infortunio in oggetto; nemmeno
potrebbe giovare alla posizione del R. l'eventuale adempimento (peraltro
escluso dai giudici di merito) dell'obbligo della formazione e
dell'informazione dei lavoratori, non avendo poi, il R. stesso, in concreto,
fornito ai lavoratori i dovuti presidi di sicurezza: è logico ritenere,
comunque, che, trattandosi di rischio neanche previsto nel piano dì
sicurezza, sul punto non vi sia stata formazione ed informazione dei
lavoratori.
La tesi difensiva del ricorrente - secondo cui l'evento sarebbe
riconducibile ad altri soggetti - è infondata.
Il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla
istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori, e dalla
necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di
queste misure: di tal che, ove dette misure consistano in particolari cose o
strumenti, è necessario che questi strumenti siano messi a portata di mano
del lavoratore. Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis
del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità
del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle
norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla
pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria
prassi di lavoro (cfr., Sez. IV, 3 marzo 1995, Grassi). Sul punto ebbero
modo di intervenire anche le Sezioni Unite di questa Corte, enunciando il
principio secondo cui "al fine di escludere la responsabilità per reati
colposi dei soggetti obbligati ex art. 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 a
garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che
tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è
necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale
osservanza" (conf. Sez. IV, 25.9.1995, Morganti, secondo cui le norme
antinfortunistiche impongono al datore di lavoro una continua sorveglianza
dei lavoratori allo scopo di prevenire gli infortuni e di evitare che si
verifichino imprudenze da parte dei lavoratori dipendenti).
Quanto alla condotta del lavoratore, è sufficiente ricordare il consolidato
orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il
datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato
da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme
(Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004 Ud. - dep. 13/10/2004 - Rv, 229564, imp.
Giustiniani): deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che
sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un
ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni
prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che
gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente,
ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili,
imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso,
"ex plurimis", Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud. - dep.
04/07/2007 - Rv. 236991); orbene, in relazione ai principi così enunciati,
nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento del C..
È stato altresì condivisibilmente precisato che le norme sulla prevenzione
degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino
eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati
all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui
siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e
disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4, 14 dicembre
1984, n. 11043; in tal senso, "ex plurimis", anche Sez. 4, n. 4784 del
13/02/1991 - dep. 27/04/1991- imp. Simili ed altro, RV. 187538). Se è vero,
infine, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul
lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche
gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette
norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore
assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può
assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti
obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4,
n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e
altro).
Neppure può dirsi che il nesso di causalità tra la condotta colposa del R. e
l'evento sia stato interrotto dalle disposizioni impartite dal S. al C. ed
agli altri lavoratori in occasione dell'infortunio "de quo". La Corte
territoriale, nel disattendere l'assunto difensivo del R. in proposito, ha
correttamente osservato che l'ordine impartito dal S. rappresentò lo
sviluppo consequenziale dell'originaria condotta colposa del datore di
lavoro. Al riguardo, è sufficiente ricordare il consolidato indirizzo
interpretativo, delineatosi nella giurisprudenza di legittimità - che anche
in questa circostanza deve essere ribadito perché del tutto condivisibile -
per il quale "in tema di rapporto di causalità, ai sensi dell'ultimo comma
dell'art. 41 c.p., secondo cui «le disposizioni precedenti si applicano
anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consiste nel
fatto illecito altrui», il nesso di causalità non resta escluso dal fatto
volontario altrui, cioè quando l'evento è dovuto anche all'imprudenza di un
terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o
volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri
fattori accidentali o naturali" (in termini, Sez. IV, 6 maggio 1986, Ori, RV
172820).
Ancora, mette conto sottolineare che questa Corte ha avuto modo di precisare
ulteriormente che "in tema di reati colposi, per escludere il nesso causale
(rispetto alla condotta dell'agente) non è sufficiente che nella produzione
dell'evento sia intervenuto un fatto illecito altrui, ma è necessario che
tale fatto configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa
eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola
sufficiente a produrre l'evento" (in termini, Sez. IV., 15 dicembre 1988,
Scognamiglio, RV 180738).
Del tutto generica ed assertiva è infine la doglianza del R. circa la nomina
di taluni soggetti quali Responsabili della sicurezza, non avendo il
ricorrente sviluppato alcuna specifica considerazione al riguardo. Peraltro,
giova ribadire che la dinamica dell'infortunio in oggetto trova la sua
origine nella predisposizione da parte del R. di un Piano di sicurezza in
cui non erano stati previsti i rischi connessi al montaggio dei parapetti:
profilo di colpa, questo, riconducibile alla specifica posizione di garanzia
del R. quale datore di lavoro.
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali; il ricorrente va altresì condannato alla
rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio che
si liquidano in complessivi euro 2.500,00 , oltre accessori come per legge.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile
nel presente giudizio liquidate in complessivi euro 2.500,00, oltre
accessori come per legge.
Roma, 8 giugno 2010
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