[Redditolavoro] Da San Precario: la-coerenza-del-sindacato-nel-favorire-la-diffusione-della-precarieta

afuma afuma at eco.unipv.it
Fri Nov 19 11:49:55 CET 2010


http://www.precaria.org/la-coerenza-del-sindacato-nel-favorire-la-diffusione-della-precarieta.html

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Sappiamo perfettamente  come certe idee, certe convinzioni, col passare
del tempo, possano mutare;  cambia la realtà che ci circonda e perchè non
dovremmo cambiare il nostro modo di agire e pensare in essa? La saggezza
popolare ha immortalato questa semplice ma importante conclusione con il
motto ” errare è umano, perseverare è diabolico”.  Sappiamo anche che in
una grande organizzazione come ad esempio la Cgil vi sono infinite
differenze comportamentali e attitudinali: in alcuni territori o settori il
sindacato è più combattivo, la base militante è ben diversa dai quadri
burocratici e così via. Lo sappiamo bene noi che, pochi o tanti che siamo,
abbiamo al nostro interno mille traiettorie sindacali diverse, molte delle
quali fanno capo alla Cgil.

Quindi la questione non è essere contro la Cgil a priori. Se domani il più
grande sindacato italiano dovesse dire “ok, ci siamo sbagliati, d’ora in
poi si cambia registro, uniamoci nella lotta contro la precarietà” noi ne
saremmo solo felici. Non è una questione di pelle, bensì è una questione 
di dignità. Non possiamo farci prendere per il culo sempre. Non sono
sufficienti una campagna di marketing virale sulla precarietà, due
dichiarazioni alla stampa, tre vertenze giocate all’attacco, per
convincerci che l’andazzo è cambiato, anzi.  Prendiamo la Fiom (sempre
Cgil): siamo convinti che le aperture sulle questioni del reddito, dei beni
comuni, verso un impianto di diritti nuovo capace di tutelare chi non lo è
mai stato, siano aperture vere.

Abbiamo dei dubbi su un’impostazione che ha una centralità troppo
sbilanciata su un lessico operaio, mentre noi pensiamo che il cambiamento
si potrà avere solo attraverso l’adozione di “un punto di vista precario”
con tutto quello che ciò implica. Su questo punto però ritorneremo, ora è
poco rilevante. Ci basta dire, per concludere, che il percorso lanciato
dalla Fiom ha un ragionamento alle spalle e la dignità per essere
attraversato, e ad  esso guardiamo con interesse, seppur nelle differenze.
La rete dei precari “non più disposti a tutto”, la manifestazione del 27,
le roboanti dichiarazioni sul tema della produttività, sul piano
industriale, sulla competitività, invece non ci interessano. Anzi
aggiungiamo anche, il sucecsso del 27 verrebbe giocato dalla Cgil contro la
Fiom, e contro lo sciopero generale, sempre più lontano. Siamo sicuri di
voler avallare tutto ciò?

La coerenza di un sindacato: è una storia lunga, leggendaria, ma non è una
favola a lieto fine

Tutto cominciò con il Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che,
durante il discorso alla Fiera del Levante di Bari, nel 1996 pronunciò la
storica frase “Scordatevi il posto fisso!”.
La dichiarazione d’intenti trova un immediata applicazione nella Legge
n.196 del 27 luglio 1997, nota ai più come Legge Treu, che istituiva in
Italia il lavoro interinale. Tale legge ha avuto l’avvallo dei sindacati e
dei partiti della sinistra. Il voto favorevole era stato giustificato da
due ragioni. Le forme di flessibilità  avrebbero interessato “le qualifiche
di elevato contenuto professionale” (art. 4). Il sindacato avrebbe vigilato
tramite i contratti collettivi e garantito contro gli abusi. Come mai
allora il lavoro interinale, grazie alla firma di Cgil, Cisl e Uil nei
contratti collettivi di cui sopra, è stato introdotto nel settore
artigianale (1999), nel settore dell’edilizia (1999), nel settore
metalmeccanico e nel settore pubblico (agosto 2000)? Dove sta in questi
settori l’elevato contenuto professionale?

Ma veniamo a tempi più recenti. Nel maggio 2004, vi è il rinnovo contratto
tessili-abbigliamento. Vengono introdotte norme sul tempo determinato,  il
job sharing e l’apprendistato che recepiscono interamente il decreto 368/01
che consente ai padroni di introdurre tali contratti atipici per un certo
ammontare, non sempre verificabile. La stessa Cgil si era pronunciata
contro tale decreto. Perché allora firma il contratto? L’abitudine di
dichiararsi contro una legge ma poi firmare i contratti che ne consentono
l’applicazione (soprattutto se si tratta di aumentare la precarietà)
raggiungerà il parossismo dopo il varo della Legge (30), impropriamente
nota come Legge Biagi.

Negli anni recenti, occorre ricordare  il caso dell’accordo su Atesia, una
firma che ancora oggi è una ferita aperta. Si tratta di una storia
emblematica. In Atesia operavano più di 2000 precari, situazione simbolo
della precarietà. In seguito all’intervento del Ministro Damiano e della
Cgil, sulla base della distinzione tra inbound e outbound, alcune figure
precarie vengono sottoposte a stabilizzazione del posto del lavoro. Una
stabilizzazione che tuttavia richiede alcuni sacrifici in termini di
orario, salario e perdita di contributi previdenziali. Di fronte al
classico ricatto: o accetti queste condizioni peggiorative (rispetto a ciò
che ti spetterebbe) oppure rischi il posto di lavoro, la maggior parte dei
precari ha accettato.

Oggi si trova a guadagnare poco più di 800 euro al mese in condizioni
lavorative pessime e senza che gli anni con contratto precario siano stati
riconosciuti come contribuzione previdenziali. Quei pochi che non hanno
accettato obtorto collo la firma voluta dalla Cgil e hanno fatto causa,
oggi, dopo le sentenze favorevoli della pretura del lavoro di Roma nel
giugno del 2010, si trovano a poter scegliere se essere ammessi al tempo
indeterminato con condizioni contrattuali migliori (se vogliono) o avere un
risarcimento che varia tra gli 80.000 e 100.000 euro. Un bel risultato, si
direbbe.

Il  caso Atesia non è isolato, ma paradigmatico e fa scuola  (vedi ad
esempio Telecom). Numerosi sono gli esempi di come la Cgil pur di arrivare
ad una firma più o meno concertativa spinge i propri aderenti a firmare
contratti capestro. Ultimissimo caso è quello a noi vicino di Rho Fiera. In
una giungla di subfornitura e subappalti con condizioni lavorative più o
meno di tipo feudale (senza neanche avere la certezza di essere pagato,
come hanno amaramente constatato i dipendenti della Best Union),  la
società Milano Fiera decide di sbarazzarsi di circa 85 dipendenti su 300.
Immediatamente la Cgil inizia una trattativa che porta al non rinnovo di
contratti per alcune figure precarie e alla Cassa Integrazione per gli 85
dipendenti considerati in esubero, senza neanche la certezza ella
riassunzione. Tutto ciò avviene ponendo i lavoratori di fronte all’aut/aut
di dire sì o di rischiare la perdita del lavoro. A neanche pochi mesi dalla
firma dell’accordo, gli esuberi si sono già moltiplicati…… Chissà come mai.
Sul caso Fiera sta oggi intervenendo San Precario.


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