[Redditolavoro] I cedimenti al feticcio della democrazia si pagano.

Vittoria Oliva olivavittoria at virgilio.it
Wed Jun 16 19:58:12 CEST 2010


I cedimenti al feticcio della democrazia si pagano.




I cedimenti al feticcio della democrazia si pagano.
 
Il gioco che si sta conducendo a Pomigliano è vecchio e sporco. Si isolano i lavoratori e poi, in quella condizione d'isolamento, in cui pesa tutta la preoccupazione del presente e l'imbonitura fatta alle loro teste nel passato, si fa "decidere" a loro l'accettazione di contratti balordi firmati dai sindacati calabraghe. È il giochetto che fece la Fiom nello "sciopero delle lancette" nell'aprile del '20, dove proprio un referendum fece passare un accordo che la Fiat usò come una clava nei rapporti coi lavoratori, tanto che gli operai riscesero in lotta così dura che obbligarono lo stato a porre lo stato d'assedio, di fatto, a Torino. Pure il referendum seppe spegnere l'ardore d'una classe operai così gagliarda che oggi ce la sognamo. Il motivo è ben spiegato in questo passo, che merita d'essere riletto attentamente oggi, che i soliti noti ci rintronano che la democrazia in fabbrica è la soluzione, dato che il referendum è:  mezzo provatamente efficacissimo per fiaccare la volontà di lotta collettiva delle masse appellandosi alla coscienza individuale dell'operaio esposto a mille sollecitazioni contrarie, provenienti non solo dalla contingenza con tutte le sue perplessità e le sue angosce, ma anche dal passato, dal peso bruto dell'ideologia avversaria metodicamente istillata nel cervello e nel cuore dei proletari.
Dalla "Storia della sinistra comunista, 1919-1920", da cui abbiamo tratto il passo, rammentiamo i fatti che portarono a quel referendum.

"In realtà, mentre il proletariato freme e perfino le categorie minori e impiegatizie (i tecnici, al solito, si proclamano "neutrali") danno segni non equivoci di solidarietà verso gli scioperanti, i "serrati" e i sospesi dal lavoro, il "fronte" confederale passo passo arretra; risolta bene o male la vertenza alle Industrie Metallurgiche, il verbale di accordo stilato dalla FIOM il 2 aprile sera non solo dà partita vinta ai padroni in materia di... lancette e di non-corresponsione del salario per le ore di lavoro "perdute", ma statuisce per le Acciaierie che "gli uomini che dovranno comporre la nuova CI [la vecchia è stata costretta a dimettersi] siano richiamati al loro compito [...] di tutelare gli interessi degli operai in rapporto all'esecuzione dei contratti di lavoro secondo i concordati e il regolamento vigente" (niente, dunque, iniziative autonome a vasto respiro, né "colpi di testa"), limitandosi a chiedere alla FIAT di accordare alla CI "le facilitazioni che quelle delle altre sezioni hanno" e di rinunziare al risarcimento danni per la fermata del 27-29 e la serrata dal 30 in poi.
Di rimbalzo, gli industriali respingono la bozza d'accordo esigendo, invece delle gravi sanzioni previste in origine, l'applicazione di multe pari a 6 ore di lavoro per i responsabili del primo atto di indisciplina ? il peccato originale! ? e pari a due ore di lavoro per tutti gli altri scioperanti, l'aperta sconfessione da parte della FIOM dei promotori del moto contro l'ora legale ("se gli operai delle Acciaierie ? essi dicono, come si legge nell'Avanti! edizione torinese del 4 ? avessero chiesto l'intervento della FIOM, le loro richieste si sarebbero collocate nella giusta sede e si sarebbe evitata la sospensione"), il ritorno a un severo regime "di regolamento" in fabbrica (5).
Una ripresa delle trattative non è però esclusa, malgrado il conclamato rifiuto della FIOM di sottoscrivere misure punitive a carico degli operai: che diavolo, il prefetto si è dichiarato pronto a interporre i suoi buoni uffici! E lo stato d'animo nel quale gli alti papaveri della FIOM si preparano a sedersi al tavolo del negoziato non ha neppure lo scrupolo di circondarsi di veli: l'articolo in cui l'Avanti! ed. torinese del 4.IV commenta la "vertenza dei metallurgici", accusa gli industriali di "cocciutaggine insulsa" di fronte alla "continua dimostrazione di spirito conciliativo e di volontà pacificatrice" data da un'organizzazione operaia che ha pure la forza di riconoscere e correggere gli errori e i "torti" dei suoi iscritti: "insistendo nel chiedere una multa anche oggi dopo che l'organizzazione ha offerto come riparazione [!!] tutto quanto da essa si poteva pretendere, gli industriali chiedono un doppio castigo, chiedono una umiliazione; non possono ricevere altro che ripulse!". In realtà, le "ripulse" non ci sono se non tardivamente e ob torto collo: la sola accettazione di un rinvio della decisione di sciopero in risposta al no padronale e di un nuovo round di trattative in prefettura equivale di fatto a una prima Canossa; gli industriali abilmente rinunciano alle punizioni a carico degli operai che hanno scioperato per solidarietà, ma insistono che queste vengano applicate alle Acciaierie, se pure in misura ridotta, "onde riaffermare la validità del regolamento" e nella chiara consapevolezza che in tal modo si terrà aperta la porta ad uno scontro sul problema non tanto dell'esistenza, quanto delle attribuzioni delle commissioni interne, di fabbrica e di reparto, e sui Consigli; infatti, quando l'8 i commissari di reparto respingono le nuove proposte di accordo (lesive degli interessi degli operai delle Acciaierie, se non completamente di quelli degli altri stabilimenti), gli organi direttivi confederali non decidono essi lo sciopero, ma affidano ogni decisione al responso di un referendum ? mezzo provatamente efficacissimo per fiaccare la volontà di lotta collettiva delle masse appellandosi alla coscienza individuale dell'operaio esposto a mille sollecitazioni contrarie, provenienti non solo dalla contingenza con tutte le sue perplessità e le sue angosce, ma anche dal passato, dal peso bruto dell'ideologia avversaria metodicamente istillata nel cervello e nel cuore dei proletari ? e, ottenuta una maggioranza antisciopero, gli stessi commissari di reparto e le commissioni interne piegano il capo deliberando "di uniformarsi alla volontà della massa la sola sovrana in qualsiasi deliberazione [!!!]" (santa democrazia: non era sovrana la massa, dieci giorni prima, quando aveva agito incrociando le braccia; lo è ora che, dopo aver riflettuto testa per testa, accetta a conti fatti di offrire nuovamente le braccia all'uso che vorrà farne il capitale!), e di rimanere al loro posto di lotta "conformemente al principio fondamentale in base al quale furono creati i consigli di fabbrica" un principio evidentemente ultrademocratico, cioè non di guida, ma di subordinazione al sacro e inviolabile dettato della scheda, neppure alle elezioni o in parlamento, ma nei conflitti sociali!
I cedimenti al feticcio della democrazia si pagano. Dopo aver dato "per 15 giorni prova non solo di remissività e moderazione che ad alcuni poterono sembrare eccessive, ma di conservare la completa padronanza di sé" (Avanti! ed. torinese del 13 aprile), gli operai si accorgono che gli industriali vanno in cerca di ben altro che di soddisfazione a richieste marginali, ma sono (sono sempre stati) decisi a portare la vertenza sul loro terreno, quello dello smantellamento progressivo delle commissioni interne e dei consigli di officina; al momento della firma di un primo accordo a conclusione dell'ottenuta ripresa del lavoro, eccoli risfoderare prima l'annosa "questione del regolamento", delle "norme disciplinatrici precise" da introdurre per evitare "i va e vieni degli operai alla ricerca dei loro commissari e delle CI" e, subito dopo, presentare uno schema di procedura in base al quale (citiamo ancora l'Avanti!) "gli operai non potranno venire a contatto con la CI che in ore fuori dell'orario di lavoro, giudici naturali di tutte le vertenze saranno i capi-reparto e i capi-officina eletti dai padroni, e ad essi pure spetterà di giudicare i casi nei quali gli operai possono rivolgersi ai loro rappresentanti" (fra i quali non sono neppure nominati i fiduciari della CI). Non resta ai delegati operai che respingere in blocco le proposte degli imprenditori: detto fatto, questi tengono chiuse le porte delle officine sui tetti delle quali "vegliano ancora le mitragliatrici puntate".
 
Storia della sinistra comunista, Vol. II, 1919-1920

COMPAGNI COMUNISTI
L'AVAMPOSTO DEGLI INCOMPATIBILI

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