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href="http://controappunto.splinder.com/post/22882631/i-cedimenti-al-feticcio-della-democrazia-si-pagano"><FONT
color=#30829c>I cedimenti al feticcio della democrazia si
pagano.</FONT></A></H2>
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<P><FONT color=#30829c><IMG
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<P><FONT color=#30829c></FONT> </P>
<DIV><FONT color=#ff0000>I cedimenti al feticcio della democrazia si
pagano</FONT>.<BR> <BR><EM><STRONG>Il gioco che si sta conducendo a
Pomigliano è vecchio e sporco. Si isolano i lavoratori e poi, in quella
condizione d’isolamento, in cui pesa tutta la preoccupazione del presente e
l’imbonitura fatta alle loro teste nel passato, si fa “decidere” a loro
l’accettazione di contratti balordi firmati dai sindacati calabraghe. È il
giochetto che fece la Fiom nello “sciopero delle lancette” nell’aprile del ’20,
dove proprio un referendum fece passare un accordo che la Fiat usò come una
clava nei rapporti coi lavoratori, tanto che gli operai riscesero in lotta così
dura che obbligarono lo stato a porre lo stato d’assedio, di fatto, a Torino.
Pure il referendum seppe spegnere l’ardore d’una classe operai così gagliarda
che oggi ce la sognamo. Il motivo è ben spiegato in questo passo, che merita
d’essere riletto attentamente oggi, che i soliti noti ci rintronano che la
democrazia in fabbrica è la soluzione, dato che il referendum è: mezzo
provatamente efficacissimo per fiaccare la volontà di lotta collettiva delle
masse appellandosi alla coscienza individuale dell'operaio esposto a mille
sollecitazioni contrarie, provenienti non solo dalla contingenza con tutte le
sue perplessità e le sue angosce, ma anche dal passato, dal peso bruto
dell'ideologia avversaria metodicamente istillata nel cervello e nel cuore dei
proletari.<BR><FONT color=#ff0000>Dalla “Storia della sinistra comunista,
1919-1920”, da cui abbiamo tratto il passo, rammentiamo i fatti che portarono a
quel referendum.<BR></FONT></STRONG></EM></DIV>
<DIV><EM><STRONG><FONT color=#ff0000></FONT></STRONG></EM>
<DIV></DIV>
<DIV>"<STRONG>In realtà, mentre il proletariato freme e perfino le categorie
minori e impiegatizie (i tecnici, al solito, si proclamano "neutrali") danno
segni non equivoci di solidarietà verso gli scioperanti, i "serrati" e i sospesi
dal lavoro, il "fronte" confederale passo passo arretra; risolta bene o male la
vertenza alle Industrie Metallurgiche, il verbale di accordo stilato dalla FIOM
il 2 aprile sera non solo dà partita vinta ai padroni in materia di... lancette
e di non-corresponsione del salario per le ore di lavoro "perdute", ma statuisce
per le Acciaierie che "gli uomini che dovranno comporre la nuova CI [la vecchia
è stata costretta a dimettersi] siano richiamati al loro compito [...] di
tutelare gli interessi degli operai in rapporto all'esecuzione dei contratti di
lavoro secondo i concordati e il regolamento vigente" (niente, dunque,
iniziative autonome a vasto respiro, né "colpi di testa"), limitandosi a
chiedere alla FIAT di accordare alla CI "le facilitazioni che quelle delle altre
sezioni hanno" e di rinunziare al risarcimento danni per la fermata del 27-29 e
la serrata dal 30 in poi.<BR>Di rimbalzo, gli industriali respingono la bozza
d'accordo esigendo, invece delle gravi sanzioni previste in origine,
l'applicazione di multe pari a 6 ore di lavoro per i responsabili del primo atto
di indisciplina ― il peccato originale! ― e pari a due ore di lavoro per tutti
gli altri scioperanti, l'aperta sconfessione da parte della FIOM dei promotori
del moto contro l'ora legale ("se gli operai delle Acciaierie ― essi dicono,
come si legge nell'Avanti! edizione torinese del 4 ― avessero chiesto
l'intervento della FIOM, le loro richieste si sarebbero collocate nella giusta
sede e si sarebbe evitata la sospensione"), il ritorno a un severo regime "di
regolamento" in fabbrica (5).<BR>Una ripresa delle trattative non è però
esclusa, malgrado il conclamato rifiuto della FIOM di sottoscrivere misure
punitive a carico degli operai: che diavolo, il prefetto si è dichiarato pronto
a interporre i suoi buoni uffici! E lo stato d'animo nel quale gli alti papaveri
della FIOM si preparano a sedersi al tavolo del negoziato non ha neppure lo
scrupolo di circondarsi di veli: l'articolo in cui l'Avanti! ed. torinese del
4.IV commenta la "vertenza dei metallurgici", accusa gli industriali di
"cocciutaggine insulsa" di fronte alla "continua dimostrazione di spirito
conciliativo e di volontà pacificatrice" data da un'organizzazione operaia che
ha pure la forza di riconoscere e correggere gli errori e i "torti" dei suoi
iscritti: "insistendo nel chiedere una multa anche oggi dopo che
l'organizzazione ha offerto come riparazione [!!] tutto quanto da essa si poteva
pretendere, gli industriali chiedono un doppio castigo, chiedono una
umiliazione; non possono ricevere altro che ripulse!". In realtà, le "ripulse"
non ci sono se non tardivamente e ob torto collo: la sola accettazione di un
rinvio della decisione di sciopero in risposta al no padronale e di un nuovo
round di trattative in prefettura equivale di fatto a una prima Canossa; gli
industriali abilmente rinunciano alle punizioni a carico degli operai che hanno
scioperato per solidarietà, ma insistono che queste vengano applicate alle
Acciaierie, se pure in misura ridotta, "onde riaffermare la validità del
regolamento" e nella chiara consapevolezza che in tal modo si terrà aperta la
porta ad uno scontro sul problema non tanto dell'esistenza, quanto delle
attribuzioni delle commissioni interne, di fabbrica e di reparto, e sui
Consigli; infatti, quando l'8 i commissari di reparto respingono le nuove
proposte di accordo (lesive degli interessi degli operai delle Acciaierie, se
non completamente di quelli degli altri stabilimenti), gli organi direttivi
confederali non decidono essi lo sciopero, ma affidano ogni decisione al
responso di un referendum ― mezzo provatamente efficacissimo per fiaccare la
volontà di lotta collettiva delle masse appellandosi alla coscienza individuale
dell'operaio esposto a mille sollecitazioni contrarie, provenienti non solo
dalla contingenza con tutte le sue perplessità e le sue angosce, ma anche dal
passato, dal peso bruto dell'ideologia avversaria metodicamente istillata nel
cervello e nel cuore dei proletari ― e, ottenuta una maggioranza antisciopero,
gli stessi commissari di reparto e le commissioni interne piegano il capo
deliberando "di uniformarsi alla volontà della massa la sola sovrana in
qualsiasi deliberazione [!!!]" (santa democrazia: non era sovrana la massa,
dieci giorni prima, quando aveva agito incrociando le braccia; lo è ora che,
dopo aver riflettuto testa per testa, accetta a conti fatti di offrire
nuovamente le braccia all'uso che vorrà farne il capitale!), e di rimanere al
loro posto di lotta "conformemente al principio fondamentale in base al quale
furono creati i consigli di fabbrica" un principio evidentemente
ultrademocratico, cioè non di guida, ma di subordinazione al sacro e inviolabile
dettato della scheda, neppure alle elezioni o in parlamento, ma nei conflitti
sociali!<BR>I cedimenti al feticcio della democrazia si pagano. Dopo aver dato
"per 15 giorni prova non solo di remissività e moderazione che ad alcuni
poterono sembrare eccessive, ma di conservare la completa padronanza di sé"
(Avanti! ed. torinese del 13 aprile), gli operai si accorgono che gli
industriali vanno in cerca di ben altro che di soddisfazione a richieste
marginali, ma sono (sono sempre stati) decisi a portare la vertenza sul loro
terreno, quello dello smantellamento progressivo delle commissioni interne e dei
consigli di officina; al momento della firma di un primo accordo a conclusione
dell'ottenuta ripresa del lavoro, eccoli risfoderare prima l'annosa "questione
del regolamento", delle "norme disciplinatrici precise" da introdurre per
evitare "i va e vieni degli operai alla ricerca dei loro commissari e delle CI"
e, subito dopo, presentare uno schema di procedura in base al quale (citiamo
ancora l'Avanti!) "gli operai non potranno venire a contatto con la CI che in
ore fuori dell'orario di lavoro, giudici naturali di tutte le vertenze saranno i
capi-reparto e i capi-officina eletti dai padroni, e ad essi pure spetterà di
giudicare i casi nei quali gli operai possono rivolgersi ai loro rappresentanti"
(fra i quali non sono neppure nominati i fiduciari della CI). Non resta ai
delegati operai che respingere in blocco le proposte degli imprenditori: detto
fatto, questi tengono chiuse le porte delle officine sui tetti delle quali
"vegliano ancora le mitragliatrici puntate".<BR> </STRONG></DIV>
<DIV><EM><STRONG>Storia della sinistra comunista, Vol. II,
1919-1920</STRONG></EM></DIV>
<DIV><STRONG></STRONG> </DIV>
<DIV><STRONG><FONT color=#ff0000>COMPAGNI COMUNISTI</FONT></STRONG></DIV>
<DIV><STRONG><FONT color=#ff0000>L'AVAMPOSTO DEGLI
INCOMPATIBILI</FONT></STRONG></DIV>
<DIV><STRONG><FONT color=#ff0000></FONT></STRONG> </DIV>
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