[Redditolavoro] Una marea di giovani, di donne di ogni età, manifesta a Genova contro il G-8
clochard
spartacok at alice.it
Tue Jul 20 15:41:14 CEST 2010
Una ricostruzione al contempo agile e minuziosa. Personalmente, attribuirei più importanza al ruolo dei servizi di tutto il mondo che alla presenza di Fini e Castelli in cabina di regia. Incidentalmente ricordo che il famigerato Gruppo Operativo Mobile (G.O.M.) della polizia penitenziaria deve molto a Oliviero Diliberto che nel febbraio del ‘99 firmò come Guardasigilli il decreto che ne regolamentava l’istituzione e ne stabiliva le funzioni, il personale, i mezzi e le attrezzature tecnico-logistiche. E come nel marzo, sempre del 2001, il governo di centro-sinistra non si tirò certo indietro da una selvaggia repressione dei manifestanti contro il Global Forum sull' e-government a Napoli.
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From: circ.pro.g.landonio at tiscali.it
CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO
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---------------------------- Archivio giornali murali affissi e diffusi in alcune realtà proletarie della prov. di Varese...
Una marea di giovani, di donne di ogni età, manifesta a Genova contro il G-8.(luglio 2001)
Le "forze dell'ordine" rovesciano sulla folla tonnellate di lacrimogeni; travolgono i manifestanti coi blindati; massacrano chiunque capiti a loro tiro; sparano a bruciapelo contro chi reagisce alla loro violenza.
Onore a Carletto Giuliani!
La carneficina alla scuola "Diaz", i pestaggi alla caserma "Bolzaneto", tutti gli atti di furore poliziesco contro persone inermi, pacifisti o semplici passanti, attestano, al di là di ogni eccesso e brutalità, che la "metodologia di potere" è il "militarismo annientatore", poggiante sulla forza dei reparti armati e sulla negazione di ogni "diritto personale". Questo tipo di militarismo supera la violenza del fascismo.
La "marea" di manifestanti
L'aspetto più importante delle giornate di luglio che va messo in primo piano è l'enorme massa di manifestanti affluita nella città ligure. Non abbiamo una cifra precisa della quantità di giovani e giovanissimi, di donne di ogni età, di lavoratori e studenti, presenti nel corteo di sabato 21. Possiamo calcolarla, con sufficiente approssimazione, in 250.000-300.000. Si tratta di una massa immensa, che nessuno si aspettava; basta pensare che l'auspicio massimo del G.S.F. (Genoa Social Forum) era alla vigilia: "saremo in centomila". Questa marea di manifestanti pone di per sè un interrogativo. Cosa ha spinto tanti ragazzi e ragazze a mobilitarsi contro il G-8, affrontando disagi prevedibili e controlli senza fine? Ci vorrà del tempo per capire meglio questa mobilitazione; ma ne possiamo individuare fin d'ora le ragioni e le molle. La prima è questa. Senza sottovalutare l'effetto mobilitativo che ha avuto l'indignazione giovanile per l'uccisione di Carletto e le cariche assassine delle forze dell'ordine, la marea di manifestanti è un'espressione particolare di quel terremoto sociale (da noi analizzato al 28º Congresso del 3-4/10/1998, ved. Suppl. 16/10/98) che scuote il mondo intero e che rappresenta l'emergenza delle emergenze di fine secolo (ved. Suppl. 1/2/99) e di inizio secolo. A Genova sono giunte, da ogni località italiana europea ed extra, centinaia di migliaia di giovani e giovanissimi in quanto sulle nuove generazioni si abbatte in particolar modo il peso schiacciante della crisi generale del sistema capitalistico. La seconda ragione o molla, che agisce da fattore specifico della protesta antiliberista, risiede nell'inasprimento delle rivalità interimperialistiche, che spinge una parte crescente di europei a schierarsi contro gli americani. La protesta montante contro il capofila dei paesi imperialistici (gli USA) trae origine e/o alimento dal ribollire di tali rivalità. Queste le ragioni di fondo della protesta internazionale anti-globalizzazione. L'immenso corteo di Genova, che ha riscosso la piena solidarietà locale (la gente applaudiva dai balconi e offriva acqua per rinfrescarsi), è quindi il risultato combinato di queste due ragioni di fondo.
Il coraggio spontaneo dei manifestanti di fronte ai dispositivi di sicurezza e alle cariche della polizia
Il secondo aspetto che va messo in luce è il coraggio spontaneo dei manifestanti attaccati dalle forze dell'ordine. Bisogna rilevare che a Genova hanno operato in assetto militare tutti i dispositivi di sicurezza del moderno Stato imperialistico. La zona rossa è rimasta sotto il totale controllo dei reparti militari speciali e dei servizi di sicurezza, italiani, americani, ecc. In questa zona non si è mossa una mosca ma se si fosse mossa sarebbe stata fulminata. La gestione militare di questa zona è un capitolo da scrivere nell'analisi delle strategie e tecniche controrivoluzionarie moderne dei briganti imperialistici. La zona gialla è stata affidata al controllo dei reparti speciali di polizia. Sono stati impiegati 19.000 uomini in divisa: 3.500 carabinieri, sostituiti sabato in prima linea dai finanzieri scelti; 15.000 poliziotti; reparti di picchiatori delle carceri (140 dei 600 superagenti del GOM impiegati contro i detenuti in rivolta); squadre di incursori dello Sco (Servizio Centrale Operativo anticriminalità organizzata) più guardie forestali. Tutti questi reparti si sono avvalsi, a parte l'alto numero di infiltrati con compiti sporchi (un altro capitolo da scrivere), di nuove dotazioni anti-guerriglia, come i blindati agili, e di un parco di elicotteri il cui rombare assordante sulla testa dei manifestanti è ancora negli orecchi di tutti. Questo il dispositivo messo in campo contro manifestanti pacifici. Il 20, quando il corteo delle tute bianche partito dallo stadio Carlini giunge nelle vicinanze di via Torino, viene coperto di lacrimogeni dalla polizia. Il corteo, cui partecipano circa 15.000 persone, è pacifico. I partecipanti portano solo gli scudi simbolici, caschi e giubbotti, ma non hanno né aste né bastoni. La polizia inizia le cariche e il corteo si spezza. Entrano in azione i blindati che cercano di travolgere i manifestanti o di schiacciarli ai muri. Da come agiscono si capisce che le forze dell'ordine mirano al massacro. Ma i manifestanti reagiscono. I più giovani rispondono ai carabinieri e ai poliziotti trasformando quello che trovano a portata di mano in sassaiola o in strumento di difesa. Improvvisano barricate e rispondono colpo su colpo con coraggio impressionante. Per diverse ore, finché non ripiegano, tengono testa alle forze dell'ordine. È grazie a questo coraggio spontaneo che si spunta l'attacco delle forze dell'ordine. Quindi dalla maretta degli scontri emerge l'onda di giovani e giovanissimi con la quale ormai ogni potere statale e ogni forza politica anti-statale deve fare i conti.
L'uccisione di Carletto Giuliani
Carletto è uno di questi giovani coraggiosi. La sua eliminazione avviene durante la reazione dei manifestanti alle cariche delle forze dell'ordine. In piazza Alimonda un gruppetto di dimostranti si scaglia contro una Jeep con tre carabinieri a bordo. Viene frantumato il lunotto posteriore, ma nessuno tenta di tirare fuori i militari. Un carabiniere punta la pistola gridando "bastardi vi ammazzo tutti". Attorno ci sono altri militari che controllano la situazione. Un dimostrante esorta a scappare perché quello spara. Qualche attimo dopo si sentono tre spari. Carletto stramazza al suolo colpito alla testa mentre solleva contro il carabiniere un estintore raccolto per terra. La Jeep prima in retromarcia poi in avvio passa per due volte sul suo corpo. La fine di Carletto è un epilogo della volontà omicida delle forze dell'ordine. Ma il coraggio e la voglia spontanea di combattere del giovane meritano grande stima. Giuliani è un'espressione della nuova gioventù proletaria, che, a differenza dei padri riconciliati al sistema, non teme di scontrarsi col potere contro sfruttamento e ingiustizie. Quindi chi vuole apprezzare il suo coraggio non lo idealizzi col pensiero ma si getti nella lotta di classe.
L'abisso tra la violenza del potere e le rotture provocate dalle "tute nere"
Il terzo aspetto che va esaminato è la demagogia del potere sulla violenza. Più il potere fa uso di violenza reazionaria più esso terrorizza coloro che la subiscono con la falsa accusa di violenti ed eversivi. Questo aspetto contrassegna lo sviluppo degli avvenimenti dall'inizio alla fine; e richiede alcune considerazioni in più al fine di evidenziarne i momenti più cruciali. La stessa sera del 20 Carlo Azeglio Ciampi lancia dalla prefettura un appello ai dimostranti "perché cessi subito questa cieca violenza che non dà contributo alcuno alla soluzione dei problemi della povertà nel mondo", sentenziando che "la violenza è indegna della nostra civiltà". Con questo appello il Presidente della Repubblica capovolge i termini della situazione in quanto imputa la cieca violenza, anziché alle forze dell'ordine che hanno scatenato le cariche assassine, ai manifestanti che si sono limitati a difendersi. Ma anche ad attribuirla alle tute nere l'accusa di cieca violenza rimane una mistificazione. Infatti. Chi sono le tute nere? Sono gruppi di giovani autonomi, senz'altra organizzazione che se stessi, che credono di negare il capitalismo colpendo le sue strutture materiali. Non sono i luddisti del 21º secolo. Pensano che la proprietà privata sia un condensato di violenza e che sfasciare una vetrina non è violenza se non c'è spargimento di sangue. La loro tecnica operativa è mordi e fuggi evitando di scontrarsi frontalmente con la polizia. Si coprono di nero per simboleggiare il colore dell'anarchia e dell'anonimato. Questo colore è valso alle tute nere l'epiteto di Black Block (blocco nero) affibbiato dalla polizia agli autonomi tedeschi. Tutto sommato sono giovani fantasiosi. I loro atti sono sconsiderati non perché violenti, ma perché inconcludenti sul piano della lotta anti-capitalista. In ogni caso non sono affetti da cieca violenza perché, se colpiscono, prendono di mira cose non persone. Queste sono le tute nere. Per cui l'accusa del nostro Capo dello Stato mistifica il fenomeno per giustificare la caccia all'uomo.
Nelle due giornate in esame hanno operato a Genova circa 300-400 tute nere (sul numero ci sono posizioni discordanti ma ciò non cambia il senso delle cose) provenienti da vari paesi europei. I danneggiamenti da esse arrecati a banche negozi e altre strutture, che hanno destato il livore di proprietari e negozianti, non sono che una briciola di fronte alla cappa di violenza, cui è stata sottoposta per un mese la popolazione genovese, e al dispositivo di uomini armati impiegato contro i manifestanti. Quindi c'è un abisso tra la violenza del potere e le azioni iconoclaste di questi gruppi di arrabbiati.
La rampogna di Ciampi contro la cieca violenza è lo squillo di tromba per lo scatenamento delle forze dell'ordine contro l'immenso corteo pacifico del 21. E qui passiamo al secondo momento cruciale. Non si può attaccare di petto un corteo di 300.000 persone. I responsabili dell'ordine pubblico avevano svuotato Marassi e preparato le carceri di Voghera Alessandria Pavia Bollate ecc. per riempirle di manifestanti. Ma non avevano un piano di controllo-contenimento di una mobilitazione di siffatte proporzioni, che non si potevano aspettare. I poliziotti temevano il lancio di sangue infetto e/o di acido muriatico che non c'è stato in quanto coloro che lo avevano minacciato alla vigilia hanno poi concordato con Scajola e De Gennaro il "patto di pacificità" e lo hanno rispettato. Ma non si aspettavano di trovarsi di fronte a una marea di manifestanti come quella che c'è stata. Non potendo attaccare di petto il corteo le forze dell'ordine ricorrono alla tecnica di spezzettamento-gassificazione. Il corteo viene spezzato, con l'ausilio degli elicotteri, in due tronconi, uno attaccato da dietro e l'altro frontalmente. La coda del primo troncone viene attaccata in C.so Torino dopo un diluvio di lacrimogeni e gas speciali. L'altro troncone viene attaccato in C.so Italia. L'attacco è preceduto da un fitto lancio di lacrimogeni e dall'impiego di mezzi corazzati anfibi, senza lasciare vie di fuga ai manifestanti. L'aria è irrespirabile. La gente rimane accecata e soffocata. Poi sbucano gli agenti che colpiscono più che possono: prendono a manganellate tutti quelli che trovano sotto tiro, ragazzi bambini anziani invalidi ecc., e procedono all'arresto di ogni giovane ragazzo e ragazza. Anche quelli che acrobaticamente fuggono verso il mare vengono attaccati dal cielo e dal mare. L'elicottero è sceso fino ad altezza d'uomo. Bisognerà veramente scrivere la furia bestiale di poliziotti e finanzieri. Quindi, come i fatti dimostrano, la cieca violenza è una prerogativa propria del potere (di quello padronale s'intende).
Il massacro alla scuola Diaz e i pestaggi alla caserma di Bolzaneto
A manifestazione compiuta la cieca violenza e la demagogia governativa sulla violenza toccano il punto più alto. E veniamo all'ultimo momento cruciale. Alle 23.30, entrando da ingressi diversi, i superagenti dello Sco guidati da Francesco Gratteri e gli specialisti antisommossa del settimo nucleo del reparto mobile di Roma guidati da Canterini, ma sul posto c'è anche La Barbera direttore dell'Ucigos (antiterrorismo) e Sgalla del Siulp, fanno irruzione nelle medie Pertini e Diaz dove sono alloggiati gli appartenenti al G.S.F. I superpoliziotti fracassano tutto: crani e oggetti. Colpiscono ragazze e ragazzi rannicchiati per terra sfiniti dalla giornata di mobilitazione. Quelli che possono urlano dalle finestre assassini. Arrivano parlamentari e avvocati, ma nessuno può mettere piede nelle scuole assaltate. La carneficina termina alle 2 del mattino. Dei 93 occupanti della Diaz 62 vengono trasportati nei vari ospedali; i restanti vengono arrestati. I feriti presentano teste, facce, braccia rotte. Un giovane è stato ricoverato in coma; cinque in prognosi riservata. Gli assalitori si impadroniscono di macchine fotografiche, rullini, documenti vari. Rompono i computer di avvocati e giornalisti. Evidentemente miravano a cancellare tracce, a impadronirsi di documenti interni delle varie associazioni anti-globali o a mettere le mani su presunti terroristi. Gli arrestati vengono portati alla caserma di polizia di Bolzaneto. Qui vengono pestati e trattati a calci e sputi dagli agenti del Gom. Vivono momenti di orrore così inimmaginabili che provano un senso di liberazione appena rinchiusi nelle carceri. Il "bilancio" delle due giornate registra per i manifestanti: a) un morto; b) sei o sette giovani in gravissime condizioni; c) 606 feriti medicati in ospedali e nei presidi; d) quasi 300 arresti; e) un centinaio di persone, in particolare straniere, che non si sa dove siano. Quindi la cieca violenza di Stato non si ferma davanti a niente anche se questo andazzo porta gli apparati stessi alla follia.
Ma non si ferma ugualmente davanti a niente la demagogia governativa sulla violenza. Per giustificare il massacro alla Diaz Scajola accusa risibilmente la protesta di strategia eversiva e il G.S.F. di coprire le tute nere. I giudici per le indagini preliminari, chiamati in ballo per la convalida degli arresti dei 93 occupanti della Diaz, dichiarano illeciti 68 arresti scarcerando gli altri. E trasmettono gli atti alla Procura Generale perché questa assuma provvedimenti disciplinari a carico dei responsabili del blitz. Il G.S.F. è sceso in piazza rispettando gli accordi, i percorsi e le modalità concordati. Pur non avendo i compiti della polizia esso ha cacciato via e disarmato le tute nere ed un proprio elemento è finito all'ospedale con la testa rotta proprio per questo. Venerdì sera dopo l'uccisione di Carletto i dirigenti del G.S.F. hanno superato se stessi per impedire ai giovani di invadere le piazze. Tutti i pacifisti, dal G.S.F. ai Cobas (questi ultimi hanno rimpianto i bastoni per isolare i "neri"), hanno respinto le tute nere in P.za Da Novi in P.za Manin e altrove. Tra gli uni e gli altri non c'è copertura ma una contrapposizione. Scajola butta quindi nella spazzatura il G.S.F. (e compagnia) dopo averlo cinicamente utilizzato.
E la sua faccia tosta non è una caratteristica personale; è un tratto ministeriale; un connotato della nuova coalizione di governo. Fini è andato nella sala operativa a seguire e a consigliare le operazioni delle forze dell'ordine per poi sparare a zero sulla violenza dei manifestanti. Castelli, presente al coordinamento di Bolzaneto, non ha certo frenato il furore del Gom sottoposto al suo ministero. Pertanto tutte le invettive di governo sulla violenza dei manifestanti sono trucchi demagogici, ingenui, per coprire la violenza degli arroganti.
La fine della fase romantica della protesta contro la globalizzazione neoliberista
Esaminati questi aspetti vediamo quali lezioni principali trarre dagli avvenimenti. La prima lezione da trarre è che dopo le giornate di luglio si è definitivamente chiusa la fase generica, eterogenea, trasversalista, della protesta antiglobale iniziata con le manifestazioni di Seattle nel novembre del 1999. Già ancor prima che si arrivasse a queste giornate il movimento di protesta aveva subito una spaccatura verticale tra pacifisti e movimentisti in seguito al patto di pacificità convenuto da Scajola Ruggiero De Gennaro col G.S.F.. Ora che la libertà di manifestare è finita sotto i cingolati della polizia, come sempre avviene quando i manifestanti si affidano al governo, questa spaccatura appare irreversibile. Se fino a Genova esisteva una certa tolleranza, ora nessuno accetta che gli altri si muovano come vogliono. Ogni tendenza cerca la sua strada. E le strade non si incontrano più. Si dividono.
L'ultimo sussulto di tale protesta "etica" si ebbe con le enormi manifestazioni contro l'attacco all'Iraq.
La seconda lezione da trarre è che la metodologia di potere si imbeve progressivamente e si avviluppa in tecniche di guerra. La sottoposizione di Genova per circa un mese a controllo militare, la divisione della città in due zone - la rossa e la gialla -, la sospensione del trattato di Schengen dal giorno 14 alle ore 24 del 21 luglio per il controllo delle frontiere, l'impiego dei nuovi blindati e dei nuovi gas lacrimogeni contro i manifestanti, ecc., segnano l'applicazione su vasta scala di procedure di guerra alle relazioni sociali, alla vita quotidiana di centinaia di migliaia e di milioni di persone. Ed indicano che il militarismo sanguinario, che è la metodologia di potere da quattro anni a questa parte, progredisce in senso bellico. Per questo possiamo dire che col vertice del G-8 di Genova il militarismo sanguinario fa un salto bellico. Senza afferrare questa evoluzione e questo passaggio è facile scadere in giudizi emotivi e fuorvianti. È sbagliato e retrogrado dire che l'incursione alla Diaz sia un blitz cileno, che le forze dell'ordine siano roba di dittature latino-americane perché hanno picchiato anche medici avvocati giornalisti, che ci troviamo temporaneamente sotto una dittatura militare, o che si sia fatta una prova tecnica di governo fascista perché sono state violate le garanzie giuridiche, o cose di questo genere. Le forze dell'ordine sono il prodotto del lungo processo di militarizzazione che rimonta ai primi anni settanta e lo strumento modernissimi del militarismo sanguinario. Gli uomini di governo, e questo vale con qualche sfumatura anche per quelli di opposizione, sono i rappresentanti di un sistema marcito, del capitalismo finanziario-parassitario (detto neoliberismo), basato sul lavoro usa e getta e sulla mercificazione di uomini donne e bambini. Essi sono molto più violenti e reazionari del fascismo in quanto per loro non c'è più nulla che tenga di fronte al denaro. Quindi la lezione da trarre assimilare praticare è che ormai bisogna fare i conti col salto bellico del militarismo sanguinario, mettendo a tema l'impiego della forza da parte dei moviment e dei diversi spezzoni di classe.
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