[Redditolavoro] Stranieri in sciopero

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Sat Feb 27 23:39:43 CET 2010


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Stranieri in sciopero
<http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/02/articolo/2390/>
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*Negli ultimi tempi, nei molti incontri sparsi per l’Italia per parlare di
immigrazione, clandestinità e lavoro, mi si chiede spesso – preso atto del
cupo contesto – di indicare qualche esempio positivo, qualche speranza,
qualche traccia da seguire. Tra le pratiche sociali che possano prefigurare
qualcosa di diverso, mi accade di citare la lotta delle cooperative della
logistica in Lombardia.*

27/02/2010   |   * Marco Rovelli*
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Stranieri in sciopero*

<http://www.ilmanifesto.it/index.php?eID=tx_cms_showpic&file=uploads%2Fpics%2Fimmigratinew1.jpg&width=500m&height=500&bodyTag=%3Cbody%20bgColor%3D%22%23ffffff%22%3E&wrap=%3Ca%20href%3D%22javascript%3Aclose%28%29%3B%22%3E%20%7C%20%3C%2Fa%3E&md5=42cd5c12eb123da11593b055d1d3d3cd>


Negli ultimi tempi, nei molti incontri sparsi per l’Italia per parlare di
immigrazione, clandestinità e lavoro, mi si chiede spesso – preso atto del
cupo contesto – di indicare qualche esempio positivo, qualche speranza,
qualchetraccia da seguire. Tra le pratiche sociali che possano prefigurare
qualcosa
di diverso, mi accade di citare la lotta delle cooperative della logistica
in Lombardia. Di Brembio e di Cerro si è generalmente parlato solo per le
cariche della polizia ai presidi dei lavoratori delle coop in sciopero. Non
si è però prestata molta attenzione alla valenza politica di questi fatti,
da cui invece si può trarre qualche utile insegnamento. In questa vicenda
infatti – il cui sviluppo più recente sono state le cariche a Cerro di
Lambro il 12 febbraio – compaiono
gli elementi tipici dello sfruttamento del lavoro migrante nel suo nesso con
la precarietà del lavoro, la precarietà esistenziale, la frammentazione dei
processi produttivi.

A smistare le merci nei magazzini sono le cooperative, le quali (a dispetto
del nome nel quale è stratificata tanta parte della storia e degli ideali
del movimento operaio) sono oggi uno dei veicoli migliori dello sfruttamento
dei lavoratori. Anche nel settore della logistica, diversamente dal resto
dell’Europa, si è verificato il classico processo di esternalizzazione della
produzione, assegnando la gestione dei magazzini attraverso appalti dati al
massimo ribasso, pratica che di fatto scarica il rischio d’impresa sui
lavoratori. Così, ad esempio, la Bennet – la società di distribuzione che
gestisce gli stabilimenti di Origgio e Turate, da dove la lotta si è
propagata, magazzini che forniscono gli alimentari alla grande distribuzione
in Lombardia – ha delegato alle cooperative la gestione dei magazzini
abbattendo drasticamente i dipendenti diretti. La forza lavoro delle
cooperative è quasi esclusivamente immigrata, visto che si tratta di un
lavoro molto faticoso, con ritmi e tempi di lavoro intensissimi, e in molti
casi a dirigere le cooperative ci sono prestanomi che ogni anno cambiano. Il
contagio della lotta si è propagato da Origgio, dove 180 lavoratori delle
cooperative hanno costretto la Bennet e la cooperativa di cui erano «soci» a
accettare le condizioni contrattuali previste dalle legge 142 del 2002, alla
quale aveva derogato lo stesso contratto nazionale firmato dai sindacati.

Una lotta difficile, in condizioni di lavoro dure (25, ma anche 40 chili
alzati
145 volte all’ora), dove se hai problemi ti si lascia a casa il giorno dopo.
Una lotta partita a Origgio da due lavoratori originari dello Sri Lanka, che
dopo essersi rivolti negli anni a un paio di sindacati confederali hanno
trovato la via dell’autorganizzazione, appoggiandosi allo Slai Cobas.

Al primo sciopero erano in quindici, poi hanno aderito tutti, fino a
strappare la sindacalizzazione e l’adeguamento salariale e contributivo.
Essendo stata vincente, quella lotta è stata imitata in altri siti: Turate
prima, poi Brembio e Cerro di Lambro. Ogni volta con esiti positivi. Ogni
volta si trattava di rivendicare dignità in fabbrica, sconfiggendo il senso
comune diffuso di rassegnazione a essere trattati come servi, e scoprendo
che la lotta paga. Una lotta solidale, alla quale - come mi raccontava
Abdullah, delegato marocchino di Turate, che al suo paese studiava
letteratura inglese – hanno preso parte srilankesi, pakistani, filippini,
marocchini, tunisini, nigeriani, senegalesi, albanesi. E molti italiani
solidali, grazie all’appoggio del sindacato di base. Le diffidenze sono
state piano piano superate, si è creata una comunicazione culturale man mano
che si diveniva coscienti della comunanza degli interessi. «Sta nascendo
un’identità nuova, c’è una collaborazione fra tutti» dice Abdullah. E anche
da parte degli italiani (che nelle coop fanno quasi esclusivamente lavori
d’ufficio) le cose sono iniziate a cambiare: «All’inizio c’era un po' di
arroganza da parte loro. Dopo che abbiamo iniziato con la lotta sindacale è
cominciata un po' di parità, ci rispettano. Quando cominci ad alzare la
testa, a rifiutare lo sfruttamento, allora loro ti guardano in modo diverso,
perché anche loro sono operai deboli». Alla base di tutto, dunque, la
rivendicazione di una dignità negata. Esistenziale e dei diritti.

Ecco, la rivolta di Rosarno è stata evocata da più parti in occasione dei *
riots* di via Padova a Milano, per quelle però che non sono che analogie
superficiali. Trovo invece molto più pertinente l’analogia tra Rosarno e la
lotta di queste cooperative, dove un gruppo coeso e vasto di immigrati è
insorto per  rivendicare condizioni di lavoro giuste e, ancor prima, il
proprio stato di dignità umana.

Lunedì prossimo è il primo marzo, sciopero dei migranti. L’opportunità
straordinaria che questa giornata offre è quella di creare una rete forte,
una rete meticcia dove esperienze e pratiche di lotta e di costruzione di
alternative possano venire scambiate, e divenire contagio in tutto il paese.

http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/02/articolo/2390/



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