[Redditolavoro] consolazione alla madre Elivia di Seneca
Vittoria OLIVA
huambos at virgilio.it
Sun Feb 14 18:42:30 CET 2010
l'uomo, infatti, non sta mai fermo, va di qua e di là, rivolge i suoi pensieri a tutto ciò che è ignoto e noto
corrispondenza fra vittoria e pietro sulla consolazione alla madre Elvia di Seneca
vittoria:
Caro amico,
alcune vicissitudini ci hanno portato a parlare di argomenti non usuali di questi tempi.Ci confrontammo sul Simposio, Leopardi ed altro. Non era certo un consolarci a vicenda delle brutture e diciamo anche della noia delle chiacchiere di questi tempi oscuri, era anche questo, ma forse più era trovare e ritrovare un senso, un significato vero, profondo della vita e delle sue ragioni che nel silenzio troppo rumoroso del presente pare perduto.
Qualcuno si chiederà perché questo ritorcere il capo? perché gustare e perché il gusto del passato?, perché questa passione per gli antichi geni? basterebbe rispondere perché geni sono stati, ma non è solo quello. Ciò che ci spinge a ricercare le antiche radici è anche il dato oggettivo che questi sono tempi di transizione caotica, in cui i più accorti avvertono il bisogno di ritrovare certe direttrici nella babele del presente.
Forse per questo e per capire ed essere capaci di dominare il dolore del presente, per non esserne travolti che in mente ci venne Seneca e la sua consolazione alla madre Elvia, o forse era lì che dovevamo arrivare dopo Eloisa, Platone, Leopardi.
Nessuno può negare che quanto noi sappiamo di belle arti umane, di letteratura, di filosofia dagli antichi ci viene, e quanta grazia, quando splendore e forza , civile dottrina e sapienza morale da loro si trae.Purtroppo la conoscenza di questi sapienti è stata ridotta a vuota e mera erudizione e non ad un utile ammaestramento per i giovani: questo è sempre stato con tutte le "riforme" scolastiche succedutesi, e veramente avrebbe potuto essere diversamente?.
Basta imbalsamare i pensieri in una istituzione, la scuola in questo caso, perché essi perdano tutto il loro significato e la loro portata profonda; così è successo, non solo ora, che nei secoli si è imposto di conoscere il pensiero antico più per vanità di sapere, per una mera e vuota erudizione piuttosto che per trarre dal sapere degli antichi padri un ammaestramento utile e pratico alle civili virtù, mettendo in ombra che essi, gli antichi, si dedicarono più al fare che al dire, non "pascevano" la loro anima vuotamente in una vana scienza privata separata dalla pubblica utilità per gli uomini tutti.
Che arrivassimo a Seneca era scontato quasi. Infatti Seneca si espresse in tempi simili a questi corrottissimi, in cui la filosofia morale era considerata una mania da sofisti e non le fondamenta delle antiche e sincere virtù della fu repubblica romana.
Ora basta pensare alla grande tenerezza e potenza di questo scritto, credo io, perché sia possibile trovare e ritrovare le ragioni e la ragione di non farsi travolgere dalla disperazione.
Seneca, esule in Corsica, bandito da Roma scrive alla madre per alleviarne il dolore per le disgrazie del suo figlio.
Colpiscono i passaggi di questa scritto consolatorio: la sua delicatezza da un lato e la sua forza all'apparenza spietata, cosa da non sottovalutare di questi tempi di finto pietismo d'accatto, di piagnisteo perpetuo e duraturo, ahimè!
Con garbo e sentimento si accosta alla sua madre e prima gli confessa il suo pudore nell'accingersi a consolarla: "ho esitato, le dice, per diversi motivi: non volevo che consolandoti io trovassi una scorciatoia per risollevare me stesso invece che te, poi ho atteso che più efficacemente ti avrei rincuorata quando io avessi trovato, prima, la forza in me stesso: "Perciò mi sforzavo in tutti i modi, tenendo una mano sulla mia piaga, di trascinarmi fino a voi per curare le vostre ferite", poi ero consapevole che per quanto io ti portassi conforto, le mie parole, la mia lettera avrebbero rinnovato piuttosto il tuo dolore che lenirlo, come ad un malato nel corpo non si può dare un farmaco anzi tempo, lo stesso non si può fare con i dolori del cuore, attendevo che un poco si attenuassero da sé, che il tuo animo fosse pronto alla consolazione., poi le dice è ben strana la nostra situazione io conforto te per un dolore di cui sono parte attiva, io sono la fonte del tuo dolore e mi tratteneva il timore di esacerbare le tue sofferenze parlandoti io direttamente.
E poi l'intensità di un dolore che "eccede ogni misura è inevitabile che ci tolga il piacere della parola dal momento che, talvolta, ci toglie anche la voce." : quanta tenerezza, quanto rispetto, quanta "corrispondenza di umani sensi".
Dopo questo introito di una tenerezza e delicatezza estrema esce tutta la forza apparentemente spietata di Seneca, il quale non per sadismo ma per ben altro! rievoca alla madre tutte le sofferenze e i lutti della sua difficile e sofferta vita; lo so dice che non è un metodo delicato ma "tutto un tagliare e bruciare", ma io voglio ottenere che il tuo animo che ha saputo sopportare tante sventure proprio da queste tragga la forza per affrontare questo nuovo dolore, "che non se ne vergogni" dice testualmente.
"Piangano, dunque, lungamente e si lamentino gli
animi deboli di coloro che una lunga felicità ha reso fiacchi e che crollano all'urto della minima offesa".
Chi è temprato alla sofferenza saprà sopportare con fermezza anche i colpi più duri.
"L'infelicità ostinata ha un solo vantaggio, che
finisce per rendere forti coloro che continuamente colpisce. ".
Ora io, caro amico, voglio per un momento distaccarmi da questo colloquio privato di un figlio esule alla madre, per fare delle considerazioni più generali.
Seneca è stato filosofo, uomo di cultura, ma anche un uomo politico e per una parte della sua vita compromesso col potere, da quel genio e maestro che era ha saputo tirare le somme della sua esperienza sia negativa che positiva, delle sue illusioni e anche dei sui compromessi possibilisti.
In questo passo lui esprime una concezione politica che perdura nel tempo, al di là delle forme Statuali contingenti e delle epoche contingenti, VALIDA SEMPRE!
L'infelicità ostinata non accade per caso o per destino, o per calamità (almeno che non siano naturali) l'infelicità è il risultato delle condizioni date del contesto sociale in cui si vive, voglio dire che c'è chi ha il potere di creare questa infelicità che arriva alll'insopportabilità, e Seneca era esiliato per dei motivi politici ben precisi, bene: cosa ottiene il potere politico di chi può causare l'infelicità? di rafforzare coloro che
continuamente colpisce.
il resto su
http://controappunto.splinder.com/
doc politici
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