[Redditolavoro] Materiali di o raccolti da Dino Erba
clochard
spartacok at alice.it
Sat Dec 18 23:48:54 CET 2010
Nel volantino sembra risuonare lo spirito radicale di Ludd; poi, un ottimo commento di Dino Erba; infine, un comunicato dei lavoratori della Bocconi in sciopero, dal tenore sicuramente più prosaico e sindacale.
e
Volantino distribuito durante il corteo del 14 a Milano
BRACI ARDENTI NELL'INVERNO
ovvero, cos'è stato questo strano movimento studentesco?
Da un lato, è stata un'altra ondata di freddo.
Si poteva sentire qualcosa di troppo finto, troppo tarocco, nell'aria che si respirava queste ultime settimane, negli slogan che si cantavano in corteo, tra le righe degli articoli dei giornali.
Se leggevi La Repubblica senza uscire di casa, senza sapere cosa stava succedendo in piazza, potevi avere l'impressione che stesse scoppiando l'insurrezione in Italia. Scontri dappertutto, il paese bloccato, il governo pronto a cadere. Poi c'era la realtà della piazza, delle occupazioni. Bella, ma non aveva nulla a che vedere con ciò che si poteva leggere nella stampa.
Questo ci insegna che la sinistra, per quanto appaia morta, sa ancora usare i suoi vecchi trucchi. L'hanno proprio pompato questo "movimento"! La Repubblica, la CGIL, i partiti di sinistra e anche non di sinistra che hanno tutti una stessa ossessione: far cadere Berlusconi.
Hanno voluto rifarci l'Onda. L'Onda: una perfezione fino ad ora inedita nel marketing della contestazione. Una truffa su scala generazionale. Dovrebbe essere insegnata nei corsi di formazione politica di ogni partito: un nome bello come un surfer sulla spiaggia, canzoni che suonano bene, delle azioni riproducibili, un nemico ben definito. E poi, il niente. Crolla il castello di carte, l'operazione è fallita, si proverà di nuovo tra due anni. E l'hanno fatta ripartire quella macchina! La metafora questa volta non è più il mare ma il cielo: tutti sui tetti, tutti sui monumenti!
Gli studenti e i ricercatori sui tetti, i monumenti occupati, i cortei enormi: questo è stato il lato spettacolare di questi giorni. Di questo si è parlato, scritto, dibattuto tanto e ancora tanto. Tutto questo teatro ha sopratutto permesso di nascondere l'altro lato del movimento. I sinistroidi, tutti esaltati, si felicitavano: non si parla più delle minorenni che si scopa Berlusconi, si parla della legge Gelmini, dei tagli, della politica. Un altro velo per nascondere l'ovvio, per ritardare ancora un po' l'inevitabile, per continuare a credere nel sogno, anche se siamo ora tutti svegli.
Le forze dell'ordine hanno giocato la loro parte: qualche manganellata, un po' di sangue qua e là per far tornare l'indignazione che sembrava sparita insieme alla sinistra. I "radicali" hanno indossato i caschi e hanno fatto partire qualche fumogeno, che fa sempre bella scena sulle foto. Allo scontro nessuno ci voleva andare. Il G8 di Genova è ancora nelle teste di tutti, da entrambi le parti.
Il movimento si è dunque giocato sopratutto sul piano virtuale, perché andare su quello reale aprirebbe la porta a una potenza che farebbe cadere molto più del governo, che potrebbe metter fine a ogni forma di governo. La sinistra lo sa, perché questa porta si aprì già trent'anni fa e il prezzo per richiuderla fu altissimo. Tanti l'hanno pagato con la propria vita. La sinistra sarà sempre il miglior guardiano di questa porta, evitando ad ogni costo che la lotta si porti sul piano reale.
Dall'estate in Italia si vive un'atmosfera di fine regno. Su tutti i canali dello spettacolo si parla solo del re-buffone, sia per difenderlo che per linciarlo. Si parla sopratutto della sua fine, di come andrà a chiudersi questa parentesi politica. L'unico contenuto della sinistra durante questi ultimi anni è stato l'antiberlusconismo. Un'opposizione morale al personaggio, al posto di un'opposizione politica allo stato delle cose di cui lui è solo l'emanazione più caricaturale. Ecco come il discorso della legalità è diventato l'alfa e l'omega della sinistra italiana, l'ostacolo che si incontra sempre quando si prova ad incidere sul presente, e che non si riesce a superare da tanti anni.
E' così, è la fine di un regno. Ma questa fine, quest'apocalisse, non c'entra niente con Berlusconi. Si tratta della fine di un mondo.
Da un altro lato, è stato un fuoco capace di scaldarci.
Il sentimento della fine di questo mondo, lo si rivive ogni tanto. Non tutti i giorni. Lo si rivive quando si fa troppo ovvia la distanza fra il vissuto e la sua immagine, fra ciò che si vive e ciò che si vede. Questo sentimento l'abbiamo provato spesso questi giorni. Si fa sempre più pressante. Ci chiama all'azione.
Nelle occupazioni delle scuole e delle facoltà tutti i discorsi sul "movimento" - sia quelli che lo sostenevano, sia quelli che lo denunciavano - sembravano molto spesso fuori luogo. La Gelmini, la sua fottuta riforma, l'università pubblica, il governo, gli scazzi tra i politici... Tutto questo suonava ogni giorno più assurdo, più lontano da ciò che si stava vivendo, roba di un altro mondo.
Le parole d'ordine che escono dalle casse dei furgoni durante i cortei non si capiscono più. Ma di che cazzo stanno parlando?
Ci parlano di diritti, ma questi diritti che enumerano le costituzioni di ogni paese del mondo, questi milioni di pagine di leggi, contratti, codici che regolano ogni aspetto dell'esistenza, non ci renderanno mai felici. Ma che senso ha questa vita sotto garanzia?
Ci parlano di dare più soldi alla scuola mentre dappertutto il denaro non porta che distruzione e desolazione. Ma soldi per fare cosa? Ricercatori, ma per ricercare cosa? Come sfruttare di più questa terra e i suoi abitanti? Come produrre più merda ad un prezzo più basso? Come vivere di più rinunciando a tutto ciò che rende una vita degna di essere vissuta?
Ci parlano di fare fuori tal dirigente e rimpiazzarlo con un altro meno stronzo. Ma porco dio perché diamine dovremmo aver bisogno di essere governati?
Nelle occupazioni, nelle strade, nelle assemblee, si ponevano questioni di tutt'altro genere. Questioni politiche. Tipo: Come organizzare il pranzo per tutti nella facoltà occupata? Come bloccare effettivamente la stazione? Come trovarsi con gli altri che lottano altrove? Come sbarazzarsi della polizia? Da questo punto di vista, questo movimento è stato sopratutto un momento d'incontro. E ogni vero incontro è un evento. L'incontro è ciò di cui è tessuta la storia. Tanti ragazzi e ragazze che prima si incrociavano nei corridoi delle scuole ignorandosi sono diventati una potenza reale. Capace del meglio e del peggio. Questi vari percorsi si sono incontrati spazzando via il regno dell'indifferenza. E quando la stampa e la televisione non parleranno più del movimento, quando i contestatori spettacolari saranno scesi dei tetti, cosa rimarrà? Rimarrà questa potenza. Ecco dov'era la bellezza di questo strano autunno italiano. Ecco dov'era la luce nelle tenebre. Riconoscendo e raccogliendo questa luce si costruisce irreversibilmente il movimento che seppellirà il vecchio mondo.
Durante i blocchi, le occupazioni, le fughe dalla polizia, le città hanno cambiato volto, come se una nuova cartografia si sovrapponesse a quella esistente. Durante le azioni di questi giorni, si sono appresi quali sono i punti chiave che fanno funzionare l'economia della metropoli. Anche questo rimarrà.
Finora spostarsi nella metropoli voleva dire andare da casa a scuola, dal lavoro all'aperitivo. Questi giorni invece, sapersi spostare nella metropoli voleva dire saper stravolgere la funzione dei suoi dispositivi, trasformandoli in mezzi al nostro scopo. La velocità della metropolitana ha permesso di essere ovunque alla faccia degli sbirri. Gli spazi delle università occupate sono diventati un rifugio e una base di attacco.
Una stazione occupata a Milano, un'autostrada bloccata a Bologna, un esproprio a Genova: da una città all'altra si passa la parola, si diffondono le pratiche. Un'emulazione senza centro, senza direzione. Una staffetta che passa per Londra e per Atene. Queste immagini che riusciamo a scorgere rafforzano la certezza che il momento che stiamo vivendo non c'entra niente con la legge Gelmini ma fa parte di qualcosa di molto più profondo. Non sono da vedere come degli esempi da seguire, ma come i frammenti per ora dispersi dello stesso incendio che non si spegnerà mai.
No future!
Uno strano movimento di strani studenti
VIOLENZA significa lavorare per 40 anni prendendo una paga
misera e chiedersi se riuscirai mai ad andare in pensione ...
VIOLENZA significa buoni del tesoro, fondi pensione rubati e la
frode della borsa ...
VIOLENZA significa essere costretti a sottoscrivere mutui per la casa,
che alla resa dei conti paghi a peso d'oro...
VIOLENZA significa il diritto dei dirigenti di licenziarti quando
vogliono...
VIOLENZA significa disoccupazione, lavoro temporaneo, paghe da
400 euro con o senza previdenza sociale ...
VIOLENZA significa "incidenti" sul lavoro mentre i padroni
diminuiscono i costi sulla sicurezza ...
VIOLENZA significa ammalarsi a causa del lavoro troppo duro ...
VIOLENZA significa consumare psicofarmaci e vitamine per far
fronte a orari di lavoro estenuanti ...
VIOLENZA significa lavorare per i soldi che servono a comprare
medicine, per mantenere il tuo potenziale lavorativo ...
VIOLENZA significa morire su letti belli e pronti in orribili ospedali,
se non ti puoi permettere la bustarella.
Proletari dal GSEE occupato, Atene, dicembre 2008.
Sono sempre di più gli studenti consapevoli che la riforma Gelmini non ha alternative. E se alternative
ci fossero, sarebbero peggio del male.
La causa apparente della riforma Gelimini è il taglio alla spesa pubblica. Ma i conti non tornano,
perché i quattrini, per la scuola privata, ci sono.
La causa vera è che il futuro offre molto poco, anzi pochissimo, a chi, nei prossimi anni, uscirà
dalla scuola, e soprattutto dall'università. E allora, per i padroni, tanto vale ridurre le spese. Ai livelli
superiori, basta tenere in piedi una struttura, in grado di accogliere un numero ridotto di privilegiati.
Ai livelli inferiori, a partire dalle elementari, prevale il fai da te. Sulle spalle delle famiglie e
degli insegnanti. Per i ricchi, c'è sempre la scuola privata.
La scuola non è altro che il banco di prova di un sistema in bancarotta, che non è in grado di assicurare
alcun futuro alla stragrande maggioranza della popolazione. Nella migliore delle ipotesi, il
domani sarà come il presente. Salvo qualche brusco scossone che, all'improvviso, precipita verso il
basso le nostre condizioni di vita e di lavoro. Al peggio non c'è fine.
In Italia i disoccupati REALI sono circa quattro milioni. La cassa integrazione sta terminando e,
nel 2011, i licenziamenti saranno circa mezzo milione. Secondo la Caritas, i poveri sono 8.370.000;
altre 800mila persone hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita. Questo significa che un italiano
su sette fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, a pagare il mutuo, a mandare i figli a
scuola, a curarsi ...
Questi dati desolanti potrebbero essere confortati da una possibile uscita dal tunnel della crisi.
Ma le cronache economiche non alimentano illusioni: i timidi accenni di ottimismo sono subito
smentiti, da nuove e più gravi preoccupazioni.
Dopo il crash di Grecia e Irlanda ... è l'ora della Spagna? L'Italia è in pole position. Ma il gioco
al massacro non è finito. Tutti i Paesi della UE versano in condizioni difficili. Negli ultimi due anni,
la produzione industriale è caduta del 12% (UK), del 15% (Francia) e del 20% (Italia, Germania e
Spagna). Di Romania e Bulgaria non se ne parla neanche. Sono in fondo al pozzo.
Con le misure anti-crisi, i sacrifici, i padroni non fanno altro che estorcere quattrini ai proletari,
per salvare se stessi e i loro servi, politicanti e sbirri. Questi quattrini non danno fiato alla produzione,
ma finiscono subito nel calderone della speculazione, preparando nuovi e più gravi dissesti economici.
Né più né meno di quanto avviene negli Stati Uniti d'America, dove, lo scorso novembre, il
governo ha regalato 600 miliardi di dollari alle banche, con la scusa di sostenere le imprese. Ma le
uniche imprese che ne approfittano sono quelle finanziarie, per nuove speculazioni. Le altre imprese,
le industrie, hanno l'acqua alla gola, affogano nel mare della stagnazione (il crollo della produzione
industriale è stato più del 10%); e non attirano certo i quattrini. Altro che investimenti produttivi!
Nelle fabbriche, l'unica via praticata è il maggiore sfruttamento degli operai, come avviene alla
Chrysler di Marchionne, a Detroit, come nelle altre fabbriche della FIAT, e di tutti gli altri padroni
del mondo. Senza eccezione. In Italia come in Brasile, negli USA come in Cina.
Intanto, intorno alla «fortezza Europa», le acque si fanno assai agitate. I pescecani dell'economia
mondiale stanno rovinando un numero crescente di Paesi, gettando nella miseria e nel terrore milioni
di proletari. Di pari passo, crescono i flussi migratori: 700 milioni nei prossimi anni (MOISÉS
NAIM, 700 milioni la migrazione del secolo, «Il Sole 24 Ore», 23 febbraio 2010). Molti di quei milioni
di proletari in fuga sono cinesi, quei cinesi che, secondo i preti del capitale, dovrebbero vivere
una nuova primavera di crescita e sviluppo. In realtà, vivono in un inferno, di sfruttamento e repressione;
che i padroni europei vorrebbero imporre anche a noi.
Di fronte a questo scenario, i ritocchi alla riforma Gelmini servono a ben poco. Anzi, a nulla.
Come a nulla servono i ritocchi al governo Berlusconi. È il sistema che è da cambiare, e da buttare.
Tutto il sistema è da buttare. Molti studenti lo hanno capito. Il 14 dicembre 2010.
Dino Erba
Milano, 17 dicembre 2010
Il GSEE è la Confederazione Generale del Lavoro della Grecia (affiliata alla CSI). Il 17 dicembre
2008, molti lavoratori occuparono la sede del GSEE di Atene, e diffusero un comunicato in cui
affermavano che la loro azione aveva lo scopo di «sfatare il mito generato dai media che i lavoratori
non avrebbero partecipato agli scontri e che la rabbia di questi giorni sarebbe dovuta a qualche centinaia
di "mascherati", "teppisti" ed altre favole simili». Gli striscioni appesi davanti al palazzo dicono:
«Dagli "incidenti" sul lavoro agli assassini a sangue freddo - lo Stato/Capitale uccide»; «Nessuna
persecuzione! Rilascio immediato di tutti gli arrestati!»; «Sciopero Generale!»; «L'autorganizzazione
dei lavoratori sarà la tomba dei padroni!».
Come un inverno fatto di mille dicembre, TPTG-Blaumachen, 4 febbraio 2009, in
http://www.tapaidiatisgalarias.org/wp-content/uploads/2009/12/inverno.pdf.
http://www.operaicontro.it/index.php?id=5b94b5b70
Lavoratori della Bocconi in sciopero. Non accadeva dal 1992!
Sabato 18 Dicembre 2010
In Italia, la scuola privata è una finzione giuridica. Le scuole private prendono i quattrini dallo Stato (ossia dai contribuenti), e poi fanno quello che vogliono. Nelle scuole cattoliche divulgano il verbo del papa; alla Bocconi insegnano la finanza creativa, quella di Madoff, che frega gli allocchi e fa diventar ricchi i furbi. Ma non solo.
Ai lavoratori impongono le loro regole. Alla Bocconi, la direzione vuole tagliare gli scatti di anzianità. Il 15 dicembre, 400 tecnici e impiegati, su 650, sono scesi in sciopero. Non avveniva dal 1992. In tutti questi anni, la Bocconi è stata un'oasi di pace sociale. Anche con il contributo dei sindacati confederali.
Benché l'azienda Bocconi macina profitti su profitti, in questa intervista, il rappresentante della CGIL afferma che nell'ultimo contratto non erano stati chiesti aumenti salariali. La sua dichiarazione svela la perversa logica della concertazione, attraverso la quale, i sindacati chiedono ai lavoratori sacrifici, ancor prima che il padrone li imponga. Ma in questo modo, come si vede, si apre solo la strada a ulteriori sacrifici.
Comunicato sullo sciopero del 15 dicembre
16 dicembre 2010, una giornata storica e indimenticabile
Stamane il termometro segnava 8 gradi sotto zero. Il gelo mordeva con denti aguzzi, intenso e penetrante. Eppure quelle prime facce, tirate e intirizzite di colleghe e colleghi, ritrovate davanti alla Bocconi, andavano lentamente, ma inesorabilmente, moltiplicandosi. Lentamente ed inesorabilmente, nelle prime ore del mattino, andava materializzandosi quell'essere massiccio, dalle dimensioni tanto estese quanto inaspettate, di cui ognuno di noi era parte integrante e micro-sistema prezioso ed essenziale a dargli vita.
Vederlo prendere corpo, snodarsi in tutta la sua sorprendente estensione, aveva insinuato in ognuno di noi la curiosità di prendergli le misure. Altrettanto sorprendente e confortante il risultato: più di 320 i presenti.
Ciò che stava accadendo sotto i nostri occhi era il magico, potente e ineguagliabile effetto creato dall'unione di tante persone che, insieme e compatte, perseguono lo stesso obiettivo con azioni concrete, reali e che richiedono anche una buona dose di sacrificio. Componente, quest'ultima, che rende un simile evento mai così scontato e mai così semplice da realizzare. Proprio perchè tutti devono dare il proprio contributo economicamente oneroso e di fatica. Ma c'è chi necessariamente, per scelta o per forza di cose, in tali occasioni, deve affrontare sforzi ancora più gravosi. Nel nostro caso: i nostri rappresentanti. Credo, pertanto, che a loro debba andare un sentito e sincero ringraziamento per l'ottimo successo della giornata di oggi, da parte di tutti noi, iscritti e non iscritti a Sindacati.
Oggi, così numerosi e tutti insieme, abbiamo rimarcato l'importanza del nostro ruolo all'interno delle varie componenti della comunità bocconiana. Abbiamo chiesto maggior considerazione, rispetto e valorizzazione della nostra categoria.
Abbiamo gridato forte che per un'istituzione come la nostra, che si fregia di collocarsi all'avanguardia nell'insegnamento di materie quali l'organizzazione aziendale e la valorizzazione delle risorse umane, dovrebbe essere quantomeno fonte di un certo imbarazzo e disagio lasciare per ben due anni il proprio personale senza contratto. Cui, oltretutto, nel corso di quest'anno è stata negata unilateralmente l'erogazione del premio di produzione. Istituto rivelatosi, quindi, improvvisamente incerto. Accettato a suo tempo in cambio della cessione di un altro istituto, invece di natura certa, come quello degli aumenti tabellari per livello. In due anni cosi' cruciali, caratterizzati da una crisi che morde senza sosta il bilancio delle famiglie con aumenti tariffari di ogni genere, è stata negata l'opportunità di alleviare il drenaggio cui, in maniera progressiva e costante, sono sottoposti i nostri salari.
Oggi abbiamo gridato forte che, oltre a cio', non crediamo corretto ed equo che alla nostra categoria venga richiesto di accettare ulteriori tagli ai nostri scatti di anzianità compensandoli parzialmente, ancora e per l'ennesima volta, con un aumento (non garantito) del premio di produzione, che resta qualcosa di incerto e che alla prima occasione, come dimostrato dai fatti, può essere unilateralmente ritirato e negato.
Oggi abbiamo gridato forte che non crediamo sia corretto ed equo riservare alla nostra categoria un simile trattamento esclusivo. Esclusivo in quanto non risulta che analoghi tagli siano stati applicati, o si vogliano applicare in futuro, alle altre componenti della nostra comunità.
Oggi abbiamo gridato forte che il Personale di Ateneo "vuole essere partecipe della buona situazione economica che giustamente viene presentata come solido punto di forza della nostra Istituzione", come ha bene espresso il Prof. Borgonovi nel suo lucido intervento.
Da oggi dobbiamo rivedere e reimpostare radicalmente la trattativa per il rinnovo del nostro contratto su basi nuove, con parametri più equi e corretti che tengano conto di tutto ciò. Indubbiamente anche noi abbiamo commesso vari errori. Uno fra i quali, quello di non aver creato un anno prima un evento quale quello odierno, vi erano già allora tutte le condizioni. Ma tant'è. Da oggi si riparte con la trattativa. La si dovrà condurre in maniera più ferma e decisa. Perchè da oggi.. siamo più forti.
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