[Redditolavoro] ALL'EURECO COME ALLA THYSSEN: SI BRUCIANO LE VITE OPERAIE

clochard spartacok at alice.it
Tue Dec 7 00:08:40 CET 2010


Come sempre, i compagni del circolo Giancarlo Landonio contestualizzano con precisione momenti importanti della lotta di classe, evitando che la saturazione mediatica cacci nel dimenticatoio eventi assai gravi appena il giorno dopo.

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----- Original Message ----- 
From: circ.pro.g.landonio at tiscali.it 
CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO 
VIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO -VA-ITALIA- 


(Quart. Sant'Anna dietro la piazza principale) 


e-mail: circ.pro.g.landonio at tiscali.it
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sabato 4 dicembre 2010 
ALL'EURECO COME ALLA THYSSEN: SI BRUCIANO LE VITE OPERAIE IN NOME DEL PROFITTO E DELL'ILLEGALITA' DEI PADRONI, COPERTI DALLE CONNIVENZE POLITICHE! 






A un mese dallo scoppio alla Eureco siamo qui, in piazza a Paderno Dugnano (MI), per rendere omaggio a Sergio Scapolan e Harun Zeqiri, i due operai morti, I NOSTRI MORTI, che si aggiungono alla strage infinita di lavoratori, che ad oggi ha fatto più di 500 morti. Siamo qui nella speranza che gli altri operai ustionati non facciano la stessa fine, anche se sappiamo che il fuoco assassino li ha segnati dentro per sempre. Siamo qui perchè avremmo voluto stringerci, nel dolore, ai loro familiari, parenti, amici, anche se questo, sappiamo, non potrà consolarli della perdita dei loro cari.
Siamo qui per gridare la nostra VERITA' : questi non sono "incidenti", non sono "morti bianche"; queste sono morti annunciate, questi sono OMICIDI commessi in nome del profitto e del malaffare. E i fatti lo confermano. 
Sono anni che all'Eureco si susseguono incidenti e scoppi, che giustamente hanno allarmato i lavoratori, ma anche la popolazione che vive intorno alla fabbrica.

Sono anni che gli organi competenti e le istituzioni, Regione in testa, "rassicurano tutti", della serie "non sta succedendo niente". E i padroni dell'Eureco si sono visti rinnovati la convenzione, continuando a fare i loro affari. E come se non bastasse il padrone, il "signor" Merlino, nel 2005 era stato imputato per omicidio colposo per la morte di un operaio in provincia di Pavia, mentre ora il suo avvocato dice che è: "tutta colpa di un errore umano".. 

Ma come è emerso dalle indagini, all'Eureco si effettuavano lavorazioni pericolose e non autorizzate. Così come questi lavori erano stati dati in appalto alla Cooperativa TNL, che aveva inquadrato gli operai, in maggioranza albanesi, con un contratto di facchinaggio anziché con un contratto da chimici, aggirando così le normative, molto più restrittive, sulla sicurezza. Per non parlare dell'anomalia del delegato alla sicurezza, RLS, che lavorava in un altro sito.
Insomma più che al lavoro si va in guerra senza la certezza di portare la pelle a casa.
E ancora una volta temiamo che non sia fatta giustizia, "grazie", si fa per dire, all'operato del governo Berlusconi, con il ruolo di punta dei Ministri Sacconi e Tremonti, con il collegato lavoro che taglia ulteriormente i controlli ispettivi che devono "collaborare" con le aziende; che smantella pezzo-pezzo il Testo Unico sulla sicurezza; con la depenalizzazione e la riduzione delle sanzioni agli imprenditori colpevoli di infortuni o morti per e sul lavoro.
La Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro è stata finora l'unica realtà in grado di condurre una battaglia unitaria e nazionale con le lotte/manifestazioni nazionali a Torino, Taranto, e in ogni luogo in cui è stato possibile arrivare, unendo operai, delegati RLS, familiari, tecnici, medici, associazioni e ogni energia disponibile.

La Rete è stata l'unica alternativa praticata al sindacalismo confederale, in generale complice e inefficace, tranne rare eccezioni, alle politiche di padroni e governo su questo terreno; la Rete è stata ed è alternativa unitaria al vuoto lasciato dall'attività ristretta e puramente episodica dei sindacati di base su questi temi e una linea pratica e metodo contro il settarismo autoreferenziali con partiti, gruppi e organizzazioni che agitano questa battaglia solo come autopropaganda non come battaglia per farla avanzare nell'interesse dei lavoratori.

Ma le forze sono ancora insufficienti, per questo c'è bisogno che altre energie che si vogliono veramente impegnare nella lotta contro le morti sul lavoro, si uniscano nella Rete per sviluppare quel movimento operaio, popolare, sociale, politico e culturale, necessario per incidere in questa battaglia, fino ad arrivare ad uno sciopero generale per la sicurezza sul lavoro, nel quadro della lotta per una rivoluzione politica e sociale che affermi la vita degli operai sul profitto dei padroni e del sistema del capitale.

Rete nazionale per la sicurezza sui luoghi di lavoro :
bastamortesullavoro at gmail.com
retesicurezzamilano at gmail.com tel. 338-7211377 
blog: bastamortesullavoro.blogspot.com 
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lunedì, 10 dicembre 2007 
Torino, operai manifestano la loro rabbia: lotta, non lutto! 



Manifestazione di lotta, non corteo funebre, a Torino












«Assassini, chi mi ridà mio figlio? Dov'erano gli estintori? Assassini». In prima fila nel corteo a Torino, il papà di Bruno Santino, una delle quattro vittime del rogo alle accierie ThyssenKrupp. Disperato, un giornale in mano con la foto del figlio, continua a ripetere queste frasi. C'è tanto dolore alla manifestazione di Torino, ma anche rabbia e qualche tensione con i numerosi cameramen e giornalisti presenti, mentre il corteo sfila nelle vie del centro cittadino con i negozi chiusi per lutto e in un silenzio quasi irreale della città. In piazza circa 30mila persone, guidate dagli operai dell'azienda.  

La manifestazione doveva concludersi in piazza Castello davanti alla Prefettura con i discorsi dei sindacati metalmeccanici e confederali che sono stati contestati dai lavoratori, così come Bertinotti che si era messo in mostra in testa al corteo (con il sigaro in bocca). Invece c'è stato un fuori programma: dopo i discorsi di piazza Castello, anzi mentre Rinaldini stava ancora parlando, subissato dai fischi, il corteo si è riformato per raggiungere la sede della Confindustria torinese, ove sono stati lanciati sassi e uova, al grido di "Padroni, assassini!"; "Pagherete caro, pagherete tutto!".

Antonio Bocuzzi, delegato Uilm e unico sopravvissuto all'incendio nello stabilimento della ThyssenKrupp, dal palco allestito a Torino per la manifestazione in ricordo delle vittime dell'acciaieria, ha ricordato l''inferno' accaduto in fabbrica; e. scandendo uno dopo l'altro i nomi dei quattro amici e colleghi morti nel rogo, Bocuzzi ha aggiunto: 'L'insulto più grave? Sentire qualcuno che insinua che la colpa sia di noi operai. Non si rendono conto dell'orrore delle loro parole. Sapere che quel gigantesco impianto si sarebbe guastato era roba da tecnici, responsabilità dell'azienda e che adesso non scarichino le loro colpe su noi. perché sarebbe come uccidere Antonio, Roberto, Angelo e Bruno una seconda volta'. 

Adesione totale, allo stabilimento Tk-Ast di Terni, allo sciopero di otto ore proclamato dai sindacati metalmeccanici dopo l'incidente sul lavoro avvenuto nel sito torinese. Hanno scioperato anche i dipendenti delle società controllate, e cioè Tubificio, Titania, Società delle fucine, Aspasiel e Centro finitura, e quelli delle ditte esterne che di solito lavorano all'interno delle acciaierie ternane. In mattinata, un pullman con una delegazione di lavoratori della Tk Ast ha raggiunto Torino per prendere parte alla manifestazioni di stamani nel capoluogo piemontese. Nello stesso autobus anche i lavoratori della Tk di Torino che di recente erano stati trasferiti nella città umbra in vista della chiusura dello stabilimento piemontese. 




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V. Video della manifestazione                            http://lotteoperaie.splinder.com/post/15074396/Torino,+operai+manifestano+la+











Sulla strage di operai alla ThyssenKrupp di Torino 



Dolore e collera per i morti devono diventare odio di classe contro gli assassini e tradursi in azione politica e rivoluzionaria permanente contro padronato e Stato.
Politicanti e burocrati sindacali, che piangono lacrime di coccodrillo, sono complici degli assassini perché trattano gli operai come carne da macello.
Solo l'organizzazione dei lavoratori può arginare la carneficina.
Costituire in ogni ambiente di lavoro i "comitati ispettivi operai". Bloccare il lavoro in caso di pericolo e nocività. Prima la vita, dopo il profitto.






Giovedì 6 dicembre il nostro gruppo di intervento a Torino, appresa la notizia dell'esplosione al laminatoio della Linea 5 della ThyssenKrupp, raggiungeva la fabbrica di c.so Regina Margherita per accertarsi dell'accaduto e solidarizzare con gli operai. Giunto sul posto si rendeva subito conto della strage avvenuta, delle sue dimensioni e gravità: un operaio (Antonio Schiavone) bruciato vivo avvolto nelle fiamme senza scampo; altri 7 dipendenti avvolti nelle fiamme con ustioni su tutto il corpo, di cui 6 gravissimi, tre più morti che vivi (Bruno Santino di 26 anni, Roberto Scola di 32, Angelo Laurino di 43), tre (Giuseppe De Masi e Rosario Rodinò di 26 anni, Rocco Marzo di 53) combattono tra la vita e la morte.

Una violentissima fiammata, sprigionatasi dalla fuoriuscita di olio bollente dal tubo di scorrimento, ha investito la squadra addetta alla linea avvolgendola nel fuoco. Chi era presente non ha potuto far niente; ha assistito impotente alle urla di morte dei compagni di lavoro e ha potuto solo correre per dare l'allarme. La fiammata si sprigiona all'una di notte. Scaglione, con gli altri, era alla 12a ora di lavoro nel reparto trattamento termico sul treno di lavorazione. Le dimensioni della strage appaiono con nettezza il 7 quando decedono Santino Scola Laurino; mentre per gli altri tre rimane il fiato sospeso. [Rocco Marzo è deceduto il 16/12 e il 19 è deceduto anche Rosario Rodinò n.d.r.]

Il nostro gruppo di intervento, dopo avere espresso la propria solidarietà, discute con gli operai presenti di come bisogna organizzarsi per porre fine al macello quotidiano di lavoratori. Ma gli operai sono impietriti dal dolore e profondamente sconvolti e non si riesce a concretizzare alcuna forma di protesta.



Divorati prima della chiusura dello stabilimento


La strage è avvenuta in una fabbrica che tra alcuni mesi chiuderà battenti per il trasferimento della produzione a Terni. E ciò rende più assurda e raccapricciante la sequela di morti. La ThyssenKrupp è il colosso tedesco dell'acciaio, formatosi dalla fusione nel 1998 dei due gruppi Thyssen e Krupp fabbricanti di cannoni del secolo scorso, oggi primo produttore di acciaio in Europa con più di 190.000 dipendenti, di cui 106.000 all'estero, 7.000 in Italia. Negli accordi di giugno con i sindacati era stato stabilito il trasferimento del laminatoio più produttivo e attrezzato (il treno della Linea 4) a Terni e la chiusura a giugno prossimo dello stabilimento. La fabbrica lavora a ciclo continuo (24 ore su 24) e siccome la domanda tira (per la forte richiesta di Russia Brasile India Cina) la direzione aveva imposto 4 ore di straordinario. Praticamente da luglio 200 operai sono chiamati a fare quello che prima facevano 385 operai. Sulla Linea 5 si facevano quindi 12 ore consecutive. Per di più da Terni era arrivata una commessa e le Linee dovevano scorrere al massimo per soddisfare la richiesta.

Per capire la gravità della strage bisogna dire qualche parola sulla ferocità e sull'azzardo del moderno sfruttamento della forza-lavoro sotto lo stress della competitività. Lo stabilimento di Torino era già in collasso da tempo. Avvicinandosi la smobilitazione la direzione aveva trasferito a Terni la linea più moderna coi sistemi antincendio ad azoto liquido in grado di bloccare le fuoriuscite di olio ad alta pressione. I sistemi di protezione nella fabbrica di Torino non venivano invece nemmeno manutenzionati. Alle ore 22 del 5 dicembre, tre ore prima della fiammata, il computer di comando aveva rilevato una perdita al tubo di scorrimento dell'olio caldo ad alta pressione con un principio di incendio; ma la lavorazione è continuata. La direzione era al corrente che il reparto si trovava ad altissimo rischio; ma non ha arrestato il ciclo per assecondare la commessa. Non solo, anche dopo la strage ha chiesto di riprendere la produzione negli altri reparti. E se gli operai non si fossero rifiutati le cose avrebbero continuato come prima. Ciò indica che la logica di profitto attuale, della fase in cui viviamo, non indugia di fronte a niente. Si muore quindi per modernità perché fatica e sangue sono la manna che riempie i portafogli degli azionisti. Il bilancio del colosso, presentato il 4 dicembre, registra un aumento del fatturato del 10% con utili dichiarati di 3,3 miliardi di euro.



Il corteo del 10 dicembre riscatta la dignità operaia


Benché promosso da Fiom-Fim-Uilm, che proclamano uno sciopero di 8 ore con concentramento in P.za Arbarello, il corteo di lunedì 10 dicembre è una manifestazione di forza operaia e di collera anti-padronale. Alle 9,30 la piazza è strapiena: decine di migliaia di operai, provenienti dalla provincia e dalla regione, affluiscono nel luogo di concentramento, cariche di dolore e rabbia (la stima che si tratti di 30.000 è verosimile). Appoggiano il corteo spezzoni della sinistra parlamentare, il sindacalismo di base cui si unisce il "blocco antagonista metropolitano", i raggruppamenti extraparlamentari. I pompieri della Fiom si erano preparati per contenere ogni trasbordamento e mantenere la manifestazione in un'atmosfera mesta di cordoglio e concordia cittadina come chiedeva il sindaco Chiamparino. Il corteo si è mosso dietro lo striscione dei sindacati metalmeccanici portato dagli operai della ThyssenKrupp e dai familiari, ma è stato animato e pervaso da un profondo e vibrante senso operaio: "Assassini pagherete tutto!", e "bastardi, bastardi": sono stati questi gli urli spontanei che partivano dalla testa - dalla bocca di Nino Santino che mostrava la fotografia del figlio Bruno e quella degli altri bruciati vivi pubblicata da la Stampa - e si ripercuotevano in tutto il corteo. La collera operaia si è diretta, senza mezzi termini, contro gli assassini (padroni, managers, dirigenti) e i lo complici, istituzionali (Bertinotti, governo, Asl, ispettori) e sindacali (vertici confederali e di categoria, da Rinaldini a estendere). Essa è stata indirizzata non contro chiunque, ma unicamente contro padroni istituzioni burocrati sindacali, che sono i nemici di classe del nostro tempo. Ed ha riaffermato l'inconciliabilità del contrasto capitale - lavoro salariato.

Da via Cernaia a P.za Castello ai fianchi del corteo e sui marciapiedi c'è un fiume di lavoratori, che solidarizza con la manifestazione e che ribatte che è ora di farsi sentire e che così non si può più andare avanti. Ciò che contraddistingue la piazza è l'estensione operaia. La protesta contro la ThyssenKrupp e le istituzioni ha messo in fila solo facce operaie in quanto solo gli operai potevano onorare i loro morti e sfidare i loro assassini senza la compassione pelosa degli altri ceti cittadini. In piazza è scesa la vecchia e la nuova classe operaia che ha visto, chi più chi meno, generazioni di politicanti e di sindacalisti voltagabbana sedicenti comunisti o socialisti. Ed ha fatto bene a fischiarli e ad allontanarli dalla dimostrazione perché gli operai cominciano a contare quando si delimitano dai loro falsi rappresentanti, dai vicini ambigui e da chi sta con un piede in due staffe.

Dopo avere ascoltato in P.za Castello sotto la Prefettura il breve discorso di Boccuzzi, l'operaio scampato ma non completamente alle fiamme micidiali, e fischiato e urlato Vergogna Vergogna a tutti i sindacalisti che volevano parlare, la testa del corteo riprende la marcia e si dirige verso la sede dell'Unione industriali. Circa 3.000 manifestanti attraversano le vie del centro al grido Assassini! Assassini! La sede degli industriali ha i cancelli sbarrati ed è presidiata da ingenti forze dell'ordine. Dall'angolo dei Centri sociali volano alcune uova un fumogeno e slogan contro carabinieri e polizia. Due sindaci dei paesi di appartenenza di alcuni dei morti, in fascia tricolore, si interpongono per stemperare la tensione. Alle 13 la manifestazione finisce non avendo come suo obbiettivo lo scontro con le forze dell'ordine. In conclusione a Torino si è rivisto in piedi quel soggetto che è determinante nell'assetto dei rapporti sociali; ed è certo che chi piange con rabbia i propri morti e sfida gli assassini ha grande dignità e forza per conquistarsi un avvenire.



Come fare a far pagare tutto


La morte o la mutilazione è lo scotto che paga, normalmente, chi lavora nelle acciaierie alla catena di montaggio, nei cantieri, in edilizia e via dicendo. I bollettini infortunistici sono noti bollettini di guerra: nei primi 8 mesi dell'anno hanno perso la vita 811 lavoratori, mentre un milione ha subito mutilazioni più o meno gravi o gravissime; in Piemonte i morti sono stati 55, i mutilati 53.000. Come si fa, cosa bisogna fare, per far pagare tutto agli assassini, ai padroni; e, prima di tutto, per contenere questo fiume di sangue? Boccuzzi, dicendo che "quella sera siamo andati a morire non a lavorare", ha toccato - forse senza volerlo - il tasto dolente: il comportamento operaio. Si può andare a lavorare, e lavorare effettivamente e prolungatamente, in condizioni di rischio come quello incombente nello stabilimento in smobilitazione della ThyssenKrupp? E ancora in materia di sicurezza sul lavoro si può stare dietro agli ordini dei padroni e ai pareri degli esperti (Asl, ispettori)? Discutiamo di queste due questioni partendo, per la sua pregiudizialità, dalla seconda.

La sicurezza che interessa alle imprese è, sempre e invariabilmente, la sicurezza dei profitti. Per i padroni gli operai sono limoni da spremere. Le norme anti-infortunistiche, che vengono contingentemente varate dai governi, si uniformano alla logica del profitto. Tutto questo in condizioni normali. In questo periodo di accesa competitività le imprese, pressate dalla competizione, compromettono ogni condizione di sicurezza. Da parte loro i burocrati sindacali, con la scusa di salvare i posti di lavoro, chiudono entrambi gli occhi. Le Asl e gli ispettori nella maggior parte dei casi certificano per routine o per corruzione la regolarità. E così il compendio normativo anti-infortunistico resta lettera morta. Nel laminatoio di c.so Regina Margherita era stata compromessa ogni condizione di sicurezza in quanto il dimezzamento della forza-lavoro aveva scompigliato squadre e competenze e ridotto le stesse capacità di controllo dei lavoratori, che peraltro sopportavano turni di 12 ore non per sopperire al mancato rincalzo ma perché così conveniva all'azienda. In ogni strage sul lavoro si levano poi in coro gli accademici a reclamare una cultura manageriale che concili competitività e salute, mentre politicanti e sindacalisti ragliano che l'operaio venga considerato una risorsa non un costo. La cultura manageriale è la prassi della razzia del lavoro e la teoria dell'operaio risorsa è l'ideologia del lavoro flessibile sottopagato coatto, in debito con la stessa considerazione espressa dal cardinale Poletto al funerale del 13 che "il lavoro è per l'uomo, non l'uomo per il lavoro". Quindi in materia di sicurezza non si può stare dietro, o in compagnia, né dei padroni né dei burocrati sindacali né degli esperti né di chicchessia.

Passiamo alla prima questione. Gli operai esistono per sè non per il capitale. Nei luoghi di lavoro debbono mantenere la loro piena autonomia di azione e movimento. Sono essi che debbono stabilire come e quando interrompere la prestazione lavorativa in caso di pericolo o di nocività. Ci sono limiti di rischio che non possono essere scavalcati senza incorrere in tragedie. E bisogna far valere la forza collettiva senza andare sempre più indietro perché il padrone vuole sempre di più. Non si deve dimenticare che col contratto di lavoro l'operaio mette a disposizione del padrone la propria capacità di lavoro non la propria salute o la propria vita. Perciò esso deve anteporre all'esplicazione dell'attività lavorativa l'interesse inalienato e prioritario all'integrità fisica, interrompendo questa attività quando occorre e come prassi normale. C'è un consumo distruttivo della forza-lavoro che va frenato e bloccato. Questo consumo ha come suo canale protocollare lo straordinario. Dal 2001, per non andare più indietro nel tempo, gli operai si debbono ammazzare di lavoro per sopravvivere. Con la decontribuzione degli straordinari, concessa dal governo in carica, il padronato spingerà i lavoratori ancor di più in questa strettoia infernale. Lo straordinario, anche quando non è la causa diretta dell'infortunio, alza ugualmente la soglia di rischio ed agisce da concausa. Perciò lo straordinario a briglie sciolte non va accettato né giustificato dal ricatto del sottosalario; va combattuto e la lotta portata sull'aumento del salario. Non si può concedere tutto questo potere al padronato. Quindi non si deve andare a farsi scannare o accettare di rischiare la vita; c'è il modo di porre un freno alla carneficina e anche di eliminarla alla radice; e questo modo è nelle mani degli stessi lavoratori.



Cosa fare 
Come muoversi e agire



La chiave della sicurezza sul lavoro sta nel controllo, nell'ispezione operaia, delle condizioni di lavoro, stabilmente organizzato. L'esercizio del controllo e la stabilizzazione dello stesso passano attraverso la formazione di organismi adeguati, di comitati ispettivi operai di azienda, cantiere, zona, ecc.; che devono avere quale compito specifico quello di controllare, ispezionare, l'ambiente di lavoro e di bloccare il processo produttivo in caso di pericolo e/o nocività, fino alla rimozione della fonte di pericolo e/o di nocività. I comitati ispettivi operai debbono essere composti da operai combattivi e competenti e debbono avere la piena consapevolezza che l'incolumità fisica e la salute costituiscono una questione cruciale del lavoro sfruttato. I comitati ispettivi operai non vanno poi confusi coi RLS (rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza), che sono creature di animazione sindacale, ligie alla competitività e all'efficientamento delle aziende. Quindi, e tiriamo con ciò la prima conclusione, la cosa da fare è quella di formare e di estendere, partendo dalle aziende più grosse, questi organismi di controllo ed ispezione, per porre un argine al dilagare della carneficina.

Ma questo è il primo passo da fare. Accanto a questo livello elementare di organizzazione operaia, che serve solo per contrastare il padronato, occorre costituire un livello superiore di organizzazione che sia in grado di attaccare lo Stato e di rovesciare il sistema di sfruttamento; e con ciò tiriamo la seconda conclusione. La classe operaia non può stare al rimorchio di un sistema distruttivo, militarizzato, morente. Per far pagare tutto agli assassini bisogna spodestarli del potere. E per poter far questo occorre attrezzarsi degli strumenti necessari e, in particolare, del partito rivoluzionario. Dunque i più forti sentimenti di sfida debbono tradursi nell'organizzazione di questa arma assoluta.







                                                                                                                                                            

                                                                                                                                               





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