[Redditolavoro] E l'anniversario della strage di via D'Amelio lo celebrano i mafiosi
Alessio Di Florio
eskimoantimperialista at gmail.com
Thu Jul 30 14:58:00 CEST 2009
http://www.peacelink.it/sociale/a/30008.html
E così, in quel di Palermo, accade che lo Stato sfratti la Legalità e
la Giustizia dalle sue aule più nobili e costringa i fedeli servitori
a stendere i tappeti rossi per far posto ai mandanti degli omicidi di
Falcone e Borsellino.. (ImgPress, 27/07/2009)
Passata 'a festa, gabbato 'o santo. Vecchio adagio popolare che ben
smaschera l'ipocrisia borghese di chi, in abiti di festa, si
genuflette devoto a santi, madonne e mammasantissime per poi, smessi
gli stessi, smentire tutti i pii propositi. Un adagio sempre valido,
soprattutto nell'Italia che il mai abbastanza compianto Sylos Labini
definì illo tempore serva. Ma che, purtroppo, viene smentita quando si
approda alle commemorazioni di stragi e omicidi mafiosi. Perché in
questo caso il santo non viene gabbato passata 'a festa, ma durante.
Nel caso di Paolo Borsellino, così come Giovanni Falcone, abbiamo così
visto negli ultimi anni incitare la società civile e gli Italiani a
ricordare e portare avanti il loro esempio personaggi come Dell'Utri
che definì il mafioso Mangano un eroe, Lunardi che affermò che con la
mafia bisogna convivere, La Russa che dichiara guerre in violazione
della Carta Costituzionale (lo stesso La Russa che, negli Anni
Settanta partecipò ad un corteo della destra da cui partì la molotov
che uccise un carabiniere, e oggi manda l'esercito nelle strade),
Cuffaro che ha festeggiato la condanna a 5 anni con laute donazioni di
cannoli siciliani, Micciché che definì l'intitolazione dell'aeroporto
di Palermo ai due giudici 'triste', Cossiga il gladiatore che, meno di
un anno fa, chiese di massacrare sulle strade giovani professori e
studenti dopo aver opportunamente infiltrato le proteste con
devastatori provocatori . E l'elenco potrebbe continuare.
Ma, quest'anno, escluso Napolitano, tutta questa brava gente è rimasta
in silenzio. Quest'anno la commemorazione l'hanno celebrata
direttamente loro: Totò Riina e Massimo Ciancimino. Il primo,
accusando lo Stato di aver ucciso Borsellino e di tramare congiure
contro di lui (da 15 anni la solita manfrina). Mentre il secondo è
tornato a millantare il papello del padre. Un papello che da oltre un
decennio attraversa la cronaca italiana senza mai comparire
(nonostante annunci e proclami) creando, ormai, serissimi dubbi sulla
sua esistenza (ammesso e non concesso che ci si potesse credere
all'inizio). In tutti, tranne che in Marco Travaglio che, sulle
colonne de L'Unità, è tornato a descrivere trame su trame intorno ad
una trattativa Stato-Mafia nel 1992. Trame nelle quali torna a
coinvolgere i suoi cavalli di battaglia, Mori, Ultimo e il covo di
Totò Riina. Qualcuno, se ci legge dalle parti de L'Unità, La
Repubblica, Micromega o AnnoZero per favore gli faccia pervenire la
trascrizione del processo, se serve mi offro io di portargliele a
mano. Non è possibile che, ogni volta che ci torna su, Travaglio
sposti indietro di qualche anno il processo a Mori e Ultimo! Giorni fa
siamo arrivati ad averlo celebrato dieci anni fa, tra poco l'avremo
celebrato mentre Riina veniva concepito dalla mamma e dal padre!
I mafiosi, i potenti e i doppiogiochisti in doppiopetto sono persone
complicate e grigie. Loro tessono trame ardite e intricate. Noi,
invece, siamo gente semplice. E allora, tanto per chiarire, non
lanciamo la penna in pindarci voli. Ci accontentiamo della lineare
semplicità dei fatti. E, allora, questi sono i personaggi di questa
vicenda italica. Dove le parole dei mafiosi influenzano il corso della
storia e chi li arresta è un delinquente.
La nostra storia comincia con un Anonimo impiegato del Comune di
Palermo. Paolo Borsellino chiese che venisse impedita la sosta delle
auto nei pressi della casa materna. La richiesta non fu mai accolta e
una FIAT 126, lì parcheggiata ed imbottita di 100 kg di tritolo, segnò
la fine della vita di Borsellino e della sua scorta.
Pochi minuti dopo l'arrivo degli agenti il Capitano dei Carabinieri
Arcangioli si allontanò da via D'Amelio portando con sé la borsa del
magistrato. Borsa che, secondo la famiglia e i colleghi di Paolo,
conteneva l'agenda rossa dove annotava le considerazioni più private
sulle sue indagini e colloqui.
Mezz'ora dopo l'arresto di Riina, tutta la stampa sapeva la strada
dove si trovava 'il covo' di Riina (che poi covo non era ...). I
giornalisti ringraziano il Maggiore Ripollino.
Importante per la cattura di Riina fu il ruolo di Vittorio Aliquò,
procuratore aggiunto di Palermo. La sua astuzia e perspicacia
costrinse Ultimo a dimezzarsi la squadra per sorvegliare Fondo
Gelsomino, un luogo sperduto e disabitato di Palermo, dove era
impossibile ci fosse alcunché. Lo stesso Aliquò nel processo contro
Ultimo e Mori produsse un diario, rivelatosi falso (Ingroia lodò
Aliquò per la scrupolosa e minuziosa cronaca)
Dopo l'arresto di Riina le qualità di Ultimo furono abbassata da
eccellente a superiore alla media. Il Crimor, la squadra di Ultimo, fu
poi smembrata e molti dei suoi componenti mandati in giro per l'Italia
a fare multe. Il responsabile fu Sabatino Palazzo, generale dei Ros.
Accusato, negli anni successivi a Pozzuoli, di reati quali corruzione,
falso, favoreggiamento aggravato e abuso d'ufficio. Informato
dell'ora, giorno e posto dove poteva trovare Provenzano, non diede
alcun seguito alla segnalazione. Non ha mai risposto di questa voluta
omissione. Ultimo e Mori hanno subito un processo basato
sull'asportazione di una cassaforte mai avvenuta.
Dopo tanti anni stiamo ancora aspettando, invece, da Attilio Bolzoni
di Repubblica che ci dica come ha fatto, pochi mesi dopo l'arresto di
Riina, a scrivere un libro dove descrive minuziosamente e nei dettagli
la trattativa e la consegna del boss. Record da premio Pulitzer a vita
se non fosse che, in tribunale durante il processo a Mori e Ultimo, ha
detto non ricordo, non ho riletto il libro. Avrebbe realizzato lo
scoop del secolo e non ricorda cosa ha scritto!
Molto più onesto Saverio Lodato che, negli anni è stato uno dei
massimi divulgatori del falso diario di Aliquò. Interrogato in
tribunale si trincerò dietro l'inesperienza del 1993 e chiese scusa
per aver scritto cose non vere.
E ora, in chiusura, alcune domande permettetele anche al sottoscritto.
1) Qualcuno ha mai chiesto a Francesco Cossiga (lo stesso che, pochi
mesi della sua violenta morte, indicò con disprezzo Rosario Livatino
come il giudice ragazzino) a cosa si riferiva nel discorso di fine
anno del 1991, quando disse che il dovere sommo, e direi quasi
disperato, della prudenza sembra consigliare di non dire, in questa
solenne e serena circostanza, tutto quello che in spirito e dovere di
sincerita' si dovrebbe dire?
2) Mentre si continua a dare credito alle assurde e pretestuose
dichiarazioni di Riina e Ciancimino, (che in una lettera a imgpress.it
è arrivato a scrivere che bisogna lasciar lavorare la magistratura.
Parole che scritte dal figlio di un noto mafioso hanno un sapore
strano ...) c'è un Santoro o un Grillo che sia disposto a ricordare
cosa nel 1992 si trovava al Castello Utveggi sul Monte Pellegrino
(cioè il luogo dal quale fu azionato il detonatore della FIAT 126 che
provocò la strage di via D'Amelio)?
Trascriviamo da Wikipedia:
Sempre grazie alle indagini del consulente Gioacchino Genchi, infatti,
si accertò la presenza di una sede coperta del SISDE sul Monte
Pellegrino, che sovrasta Palermo e via Mariano d’Amelio, all’interno
del Castello Utveggio che ospita il Cerisdi, un centro di ricerche e
studi manageriali. La circostanza venne fuori dall’analisi del
tabulato del numero 0337/962596, intestato al boss Gaetano Scotto, che
chiamò un’utenza fissa del SISDE installata proprio in quel castello.
Suo fratello, Pietro Scotto, per conto della società Sielte, compì
lavori di manutenzione sull’impianto telefonico della palazzina di via
D’Amelio. Lavori necessari, si scoprì successivamente, per
intercettare abusivamente la linea telefonica della madre del giudice
Borsellino e quindi ottenere la conferma del suo arrivo nel pomeriggio
del 19 luglio 1992.
3) Perché, il giorno della strage di Capaci, fu detto agli ufficiali
di leva di stanza a Roma che, in quel momento si trovavano fuori sede,
di tenersi pronti in qualsiasi momento a rientrare?
4) Nei giorni scorsi l'allora ministro Scotti ha affermato che, in
quel periodo, si rischiò il golpe da parte della mafia (cosa ben
diversa dalla trattativa ...). La stagione delle stragi fuori dalla
Sicilia ebbe iniziò dopo l'assassinio di Salvo Lima, politico della
corrente DC di Andreotti che la mafia non considerava più utile come
esecutore politico, e si concluse con la mancata strage dell'ottobre
1993 allo stadio Olimpico di Roma durante Lazio - Udinese. All'ultimo
momento la bomba non esplose. Da quel giorno il silenzio fuori dalla
Sicilia. Cosa era cambiato dal giorno della morte di Lima all'ottobre
1993. Perché il rischio di golpe rientrò?
In chiusura mi permetto di sottoporvi lo scambio articolo-epistolare
tra Antonella Serafini, collaboratrice tra gli altri di Riccardo
Orioles (memoria storica dell'antimafia, avendo collaborato in passato
con Mauro Rostagno, Pippo Fava e Peppino Impastato, e oggi animatore
di moltissimi gruppi di denuncia antimafia), e Massimo Ciancimino.
Antonella ha scritto alcuni articoli sul suo sito Censurati.it.
Ciancimino ha risposto con due lettere all'agenzia stampa imgpress.it.
I fatti narrati e le opinioni espresse sono facilmente verificabili su
decine di siti e blog ufficiali.
E ora, per cercare la verità sulla mafia, si chiede una mano a Totò Riina.
http://www.censurati.it/?q=node/3885
Ciancimino risponde ad Antonella Serafini
http://www.censurati.it/?q=node/3887
Signora mia, non ci sono più i mafiosi di una volta
http://www.censurati.it/?q=node/3888
MASSIMO CIANCIMINO SCRIVE A IMG PRESS SU STRAGI & POLEMICHE
http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=43978&idsezione=3
MASSIMO CIANCIMINO: HO CERCATO DI FAR EMERGERE LE ANOMALIE DI UN PROCESSO
http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=44004&idSezione=3
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